Le posizioni di Salvini e Meloni sul Recovery Fund sono ridicole. Il sovranismo va estirpato dall’Ue. - THE VISION
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Durante le trattative per la nascita del governo gialloverde fece molto discutere la bozza di contratto di governo che conteneva misure che, con ogni probabilità, avrebbero portato l’Italia fuori dall’Euro. Nonostante la pronta smentita della Lega e del Movimento 5 Stelle, l’aria che si respirava all’interno dei partiti di maggioranza era densa di scetticismo verso le istituzioni europee. In poco più di due anni sembra essere cambiato tutto: l’Europa ha infatti lanciato una serie di misure necessarie per sostenere il sistema economico messo a dura prova dagli effetti della pandemia. Dopo la riforma del Fondo salva stati, il rafforzamento della Banca europea degli investimenti e la creazione del fondo Sure contro la disoccupazione, il Consiglio Europeo ha finalmente trovato un’intesa di portata storica sul famoso Recovery Fund, denominato “Next Generation EU”. Il negoziato andato in scena a Bruxelles ha visto in primo piano un duro scontro tra il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e Mark Rutte, il suo corrispettivo olandese. Alla fine, dopo giorni intensi e notti insonni, l’Europa ha battuto un colpo che ha decisamente messo in difficoltà i nazionalisti di casa nostra.

Le reazioni della destra sovranista in Italia non si sono fatte attendere: Matteo Salvini è riuscito a citare il Mes anche in questa occasione, paragonando le risorse stanziate dal Consiglio europeo a una maxi versione del fondo salva Stati. Dopo gli innumerevoli appelli al cuore immacolato di Maria, adesso il segretario della Lega vuole assumere le vesti di santo protettore degli italiani per evitare lacrime e sangue, patrimoniali, tagli, riforma delle pensioni e chiusure di ospedali. Una visione decisamente pessimista a fronte di un accordo che, tra sussidi e prestiti, attribuisce all’Italia 209 miliardi di euro. Giorgia Meloni ha invece ammesso che Conte è uscito in piedi dalla trattativa, ma ha criticato il premier per i risultati inferiori alle aspettative che l’Italia avrebbe dovuto portare a casa da Bruxelles. Gianluigi Paragone, con un tempismo discutibile, ha approfittato dell’occasione per lanciare il suo partito che si propone esplicitamente di traghettare l’Italia fuori dall’Euro. Per l’ex senatore del Movimento 5 Stelle il compromesso siglato dai capi di governo è il miglior accordo possibile per mantenere in vita l’inganno europeo.

Gianluigi Paragone

Le critiche delle opposizioni di matrice sovranista nascono dalla necessità di presidiare l’elettorato più critico nei confronti dell’Unione europea a fronte di un accordo che rappresenta un importante passo in avanti per l’integrazione comunitaria. Il Fondo per la ripresa raccoglierà sui mercati internazionali 750 miliardi di euro, utilizzando come garanzia il bilancio pluriennale dell’Unione. Queste risorse saranno distribuite agli Stati membri attraverso una quota di sussidi, pari a 390 miliardi di euro e la restante parte in prestiti, che ammontano a 360 miliardi. Si tratta di un passaggio storico: per la prima volta la Commissione europea può indebitarsi per conto dei ventisette Paesi che compongono l’Ue con l’obiettivo di distribuire somme importanti per la ricostruzione. La creazione di un debito comune dovrebbe anche costituire un incentivo a creare una vera capacità fiscale europea per rendere più agevole il rimborso.

In autunno l’Italia dovrà presentare un piano triennale coerente con le raccomandazioni specifiche che la Commissione richiede per ogni singolo Paese. I nostri sforzi dovranno essere concentrati nella lotta all’evasione, alla corruzione e al lavoro sommerso, dobbiamo ridurre i tempi dei processi ed è necessario rafforzare il ruolo delle politiche attive per i lavoratori che perdono la loro occupazione. Per raggiungere questi obiettivi, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un governo di matrice sovranista. La destra ha infatti da tempo deciso di cavalcare i problemi senza prospettare soluzioni in grado di migliorare la vita dei cittadini, come hanno dimostrato le polemiche sul Mes. In questa fase l’opinione pubblica dovrebbe discutere delle riforme in grado di cambiare il nostro Paese. Matteo Salvini sembra non avere alcun interesse a partecipare al dibattito e continua ad aizzare i suoi seguaci un giorno contro i migranti, l’altro contro un esponente della maggioranza strumentalizzando le sue dichiarazioni. Basta aprire una qualsiasi delle sue pagine social per rendersi conto che questo è ormai il livello su cui ormai si attesta la comunicazione del segretario il segretario di quello che, stando ai sondaggi, è ancora il primo partito italiano.

Anche a livello comunitario, abbiamo assistito a una divaricazione tra le posizioni della Germania di Angela Merkel – che ormai si è resa conto di come i tedeschi stiano bene soltanto se anche l’Europa gode di buona salute – e l’intransigenza dei Paesi del nord Europa che sono rimasti fermi su posizioni volte a tutelare il loro esclusivo interesse nel breve periodo, con pretese molto simili alle posizioni dei sovranisti italiani. I Paesi “frugali” del nord Europa sono riusciti infatti a limitare la porzione di risorse da distribuire a titolo di sussidi, passando dai 500 miliardi proposti dalla Commissione europea ai 390 concordati al termine del negoziato. Non si tratta dell’unica concessione fatta alla coalizione guidata dall’olandese Mark Rutte e dal premier austriaco Sebastian Kurz. I nordici hanno anche ottenuto dei consistenti sconti – i tanto discussi rebate – sui versamenti che dovranno effettuare annualmente a favore del bilancio dell’Unione europea. La dimensione del Recovery Fund è stata preservata a discapito di importanti programmi di finanziamento europeo destinati all’ambiente e alla salute. Per esempio, i fondi di Next Generation EU per il programma HorizonEurope, che riguarda diverse attività di ricerca, passano da 13,5 a 5 miliardi. Ora queste attività dovranno essere finanziate dai singoli Stati, con il rischio di creare notevoli diseguaglianze nei prossimi anni. Per la verità, le diseguaglianze si sono create anche in passato con il finanziamento diretto da parte della Commissione, ma delegare la gestione dei singoli programmi a ventisette governi non sembra risolvere il problema.

Sebastian Kurz

Infine c’è il tema della governance che riguarda il controllo sulle spese dei singoli Stati. La pressione dei “frugali” ha comportato la previsione del “super freno di emergenza” grazie al quale i rappresentanti dei governi acquistano un ruolo di primo piano a discapito della Commissione europea. Nonostante la condivisione del debito, gli egoismi nazionali sembrano giocare ancora un ruolo di primo piano all’interno dell’Europa. Nel complesso, il baricentro delle finanze si sposta verso i singoli Stati, nonostante la decisione storica di creare del debito comune. Le posizioni sovraniste hanno così ancora ampio spazio all’interno dell’Ue. L’accordo sul Fondo per la ripresa è un ottimo punto di partenza ma è proprio adesso che abbiamo bisogno di più dialogo e non dell’isolamento predicato dai nazionalisti. Chi in questo momento si pone l’obiettivo di uscire dall’Euro, oltre a essere isolato, è dalla parte sbagliata della storia.

Il duro negoziato che ha visto contrapposti gli Stati del sud contro quelli del nord ha però messo in secondo piano le concessioni che sono state fatte a Visegrad e a Paesi come l’Ungheria e la Polonia. Originariamente, i finanziamenti del Fondo per la ripresa erano condizionati al rispetto dei princìpi dello Stato di diritto, ma sul rispetto di questo vincolo è stato raggiunto un compromesso fortemente al ribasso. Il testo che è stato approvato è ambiguo e lascia spazio a diverse interpretazioni. Ci si limita a sottolineare l’importanza dello stato di diritto senza prevedere delle condizionalità specifiche per ottenere i sussidi e i prestiti previsti da Next Generation EU. In un momento in cui si prevedono forti tensioni sociali in tutta Europa non ci possiamo permettere di trattare con superficialità la tenuta delle istituzioni democratiche e l’esultanza di Orbán per essere riuscito a proteggere il proprio orgoglio nazionale non è certo un bel segnale per il futuro della democrazia. La ripresa economica non deve pregiudicare i diritti dei cittadini e i principi sui quali si fonda la nostra civiltà. Ancora una volta, sono le posizioni sovraniste assunte da tempo da alcuni Paesi dell’Est a mettere a rischio l’unità europea. L’opinione pubblica italiana si sta rendendo conto, con fatica, che il dialogo con i nostri partner è l’unica via praticabile per non precipitare, ma questo processo è minacciato dalle posizioni della destra che continuano a raccogliere consensi nel nostro Paese. Posizioni che non tengono conto dell’importanza degli aiuti che sono stati stanziati da Bruxelles. Un governo guidato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, isolato e senza risorse, avrebbe già con ogni probabilità un piede dentro il precipizio.

Viktor Orbán

La centralità che l’Europa sta progressivamente acquisendo nel dibattito di queste settimane è una svolta da accogliere con favore. Le posizioni sovraniste si trovano schiacciate di fronte all’azione di Bruxelles che ha reagito tempestivamente all’impatto della pandemia. L’ideale di una federazione europea in grado di consentire ai cittadini di vivere liberi da condizionamenti esterni, economici e politici, passa soprattutto dalla buona riuscita di Next Generation EU. La crisi economica ha investito tutte le economie europee ma il nostro livello di debito pubblico ci rende particolarmente esposti alle turbolenze finanziarie che potranno verificarsi nei prossimi anni. Dalla capacità di gestione delle nostre istituzioni dipende il futuro della nostra democrazia. Non possiamo permetterci di farci rappresentare da chi vuole portarci alla rovina. Uscire dall’Euro non è mai stata una via praticabile per il nostro Paese e continuare a illudere i cittadini in tal senso è irresponsabile e pericoloso. Abbiamo finalmente ottenuto un’Europa disponibile al dialogo. Alcide De Gasperi sosteneva che mentre un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni. Chi vuole ancora uscire dall’Euro può essere definito in tanti modi ma di certo non è uno statista. Faremmo bene a ricordarlo.

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