Giorgia Meloni continua a ripetere da settimane che i suoi avversari politici la attaccano a causa delle ideologie e dei preconcetti e non delle sue proposte, danneggiando a suo modo di vedere tutta l’Italia. Dunque, leggere il programma elettorale della coalizione di centrodestra dovrebbe fugare ogni dubbio e far capire meglio agli italiani che tipo di Paese avremmo in caso di vittoria, assai probabile, di Meloni e alleati alle elezioni del 25 settembre. Dopo aver analizzato il documento dalla prima all’ultima pagina, la prospettiva in effetti è piuttosto chiara: il programma è perfetto, se puntiamo ad avere i diritti civili dell’Ungheria e l’economia del Venezuela.
Il testo si intitola Per l’Italia ed è composto da quindici paragrafi. Già dal primo sembra scritto più per essere letto dall’establishment straniero che dagli elettori. Si apre infatti con la politica internazionale: atlantismo, sostegno totale all’Ucraina e addirittura accenni di orgoglio europeista. Concetti che stonano con la storia dello stesso centrodestra, considerando che i riferimenti politici e culturali di Salvini e Meloni sono Orbán e Bannon e che per anni hanno dipinto Bruxelles come un covo di mostri. Anche sull’Ucraina e la Russia iniziano già a esserci le prime crepe, con Salvini a chiedere di togliere le sanzioni a Mosca e Meloni contraria. Come sappiamo, la Lega ha firmato un accordo politico con Russia Unita di Putin ed è ancora coinvolta in vicende poco trasparenti, con indagini in corso per finanziamenti e rubli sospetti al vaglio della magistratura. Meloni ha invece il sostegno della cricca repubblicana statunitense, riallacciandosi all’infinito – e oggi anacronistico – maccartismo, che al tempo portò anche il suo padrino Giorgio Almirante ad appoggiarsi alla galassia yankee. L’unico punto del paragrafo che mette d’accordo Salvini e Meloni è l’ultimo, che recita: “Difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa”. Curioso, essendo l’Italia uno Stato laico.
Nel secondo paragrafo si parla dei fondi del PNRR. Tirando le somme sulle votazioni tra Bruxelles e il Parlamento italiano per assegnare i fondi europei all’Italia, il partito di Meloni si è astenuto quattro volte, quello di Salvini due, mentre nel programma c’è scritto “Pieno utilizzo delle risorse del PNRR”. Per mascherare questa ipocrisia, il paragrafo rilancia una proposta che in Italia circola dagli anni Sessanta e che Berlusconi rispolvera a ogni campagna elettorale dai tempi della sua discesa in campo: la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Considerando che Berlusconi ha vinto le elezioni tre volte e che la Sicilia è da sempre un fortino del centrodestra, viene da chiedersi perché dovrebbero realizzarlo proprio adesso, quando dal 1994 non si è mossa una foglia.
Il programma continua con una proposta scritta senza fronzoli: “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Presidenzialismo, Berlusconi che già minaccia di mandare Mattarella in soffitta e un bel nome proposto dalla destra da mettere in bocca ai cittadini. Ricordiamo che gli ultimi due candidati ufficiali di Salvini e Meloni per il Quirinale sono stati Vittorio Feltri, nel 2015, e Silvio Berlusconi, nel 2022. Il Paese non è pronto a tutto questo. Il paragrafo continua con alcuni contentini all’ala leghista parlando di autonomie, per arrivare poi alla riforma della Giustizia. Viene riproposto qualcosa di simile a quello che gli italiani hanno di fatto bocciato allo scorso referendum. Però la destra persevera, soprattutto Berlusconi, nonostante la condanna in via definitiva per frode fiscale e il coinvolgimento in diversi processi ancora pendenti.
Il paragrafo successivo è il più pericoloso per le casse dello Stato, trattandosi del concetto piuttosto naïf di economia del centrodestra. In una nazione flagellata dall’evasione fiscale, con oltre 100 miliardi di euro l’anno evasi in media negli ultimi dieci anni, il programma ripropone una “pace fiscale” o “saldo e stralcio”, ovvero l’ennesimo condono senza neppure tratteggiare un piano concreto da mettere in atto. Si continua poi con uno dei cavalli di battaglia di questa campagna elettorale: no alla patrimoniale e sì alla flat tax. Il potere persuasivo della destra è riuscito a far credere all’elettorato che la patrimoniale sia “l’ennesima tassa di una sinistra che mette le mani nelle tasche dei cittadini” e la flat tax un vantaggio per il ceto medio-basso. È una distorsione grottesca, considerando che la patrimoniale colpirebbe solo i redditi milionari e la flat tax è una misura iniqua che avvantaggia i più ricchi e penalizza proprio quel ceto medio-basso che invece da anni ha abbandonato la sinistra cedendo alle sirene della destra. Per quale motivo un operaio dovrebbe essere contrario alla patrimoniale e favorevole alla flat tax, non è dato sapersi. Così come restiamo all’oscuro delle coperture per le altre proposte del paragrafo, come la “riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi”. In generale, in tutto il programma non si parla mai della provenienza dei fondi per finanziare certe misure. Vengono usate frasi a effetto, spesso di breve durata, senza mai entrare nel dettaglio. Nessun meccanismo viene spiegato; ma d’altronde le misure si autofinanziano e i soldi crescono sugli alberi.
Quando si passa al paragrafo sulla famiglia, ci si accorge che le donne non ne hanno uno a loro dedicato, e che nel programma vengono citate solo in quanto madri. “Tutela del lavoro delle giovani madri”, ad esempio. E si preme su un piano di sostegno alla natalità. Tutto il paragrafo è un’ode alla famiglia tradizionale – quella che Berlusconi, Salvini e Meloni non hanno ma che propagandano nei vari Family Day. Non è un caso che la figura femminile sia messa ai margini. Qualche giorno fa Natalia Aspesi ha scritto un lucido articolo nel quale viene spiegato il modo di ragionare “al maschile” di Giorgia Meloni. La leader di FdI ha risposto su Facebook scrivendo: “Mi detestano perché ho la pretesa di competere con i maschi al loro livello”. Con quel “al loro livello” Meloni ha confermato la tesi di Aspesi, probabilmente senza nemmeno accorgersene. Le conferme arrivano anche sul territorio, con le battaglie contro l’aborto che nella regione Marche, guidata dalla destra, sono arrivate a un punto di non ritorno per i diritti delle donne. Anche Chiara Ferragni ha preso posizione su questa causa, contibuendo ad amplificare l’eco della denuncia all’ostruzionismo che il partito di Meloni sta facendo in una ragione in cui, per una serie di decisioni sulla sanità fatte negli ultimi anni, il diritto all’aborto è arrivato a essere di fatto non esercitabile.
Il primo punto del sesto paragrafo è: “Decreti sicurezza”. Senza aggiungere altro, anche per loro basta il nome, come se non fossero già stati disumani quelli realizzati da Salvini durante il governo con i grillini. Si parla poi di “blocco degli sbarchi”, senza alcun riferimento a ciò che invece prevedono in materia i trattati e le normative sull’argomento. È il solito spauracchio sui migranti, un revival di ciò che Salvini aveva promesso nella campagna elettorale del 2018, quando parlava di 600mila rimpatri. Poi, come ministro dell’Interno, ci furono non solo meno rimpatri del governo Renzi-Gentiloni (comunque non qualcosa di cui andare fieri), ma dei 600mila promessi si arrivò solo alla cifra di 3.299. Questo perché ci sono normative internazionali che surclassano i post su Facebook e quando si è trattato di rinegoziare il Trattato di Dublino la Lega ha comunque preferito assentarsi. Tutto il paragrafo usa toni apocalittici per parlare di “sicurezza”, fino ad arrivare al punto – spudorato – sulla “lotta alle mafie”. Un passaggio più che ambiguo, considerando i rapporti di alcuni soggetti legati a Forza Italia con Cosa Nostra e gli affari di alcuni esponenti di Lega e Fratelli d’Italia con la ‘ndrangheta. A livello di credibilità è come se in questi giorni Donald Trump facesse uno spot per lodare l’operato dell’FBI.
Se il settimo paragrafo è una pappardella abbastanza inconsistente – perché privo, ancora una volta, di un piano concreto d’azione — sulla Sanità, la stessa che ha subito tagli più volte durante i governi Berlusconi ed è stata sempre più privatizzata nelle regioni guidate dal centrodestra –, l’ottavo e il nono tornano su temi economici, mantenendo la stessa opacità di fondo. Ad esempio quando si cita la proposta di alzare il limite del contante, direzione opposta a quella che gioverebbe alle casse dello Stato. Ma ormai è risaputo: la destra non ha interesse a mettersi contro gli evasori. Viene poi proposto di togliere il Reddito di cittadinanza e sostituirlo con “altre misure”. Un altro tipo di sostegno, peccato che non venga spiegato quale.
I paragrafi successivi assomigliano sempre di più agli elenchi di Salvini. Si lodano le eccellenze italiane e il Made in Italy con parole da cartolina per i lettori stranieri. Discorsi sui boschi e sulla natura – nessuna palude da bonificare, almeno quello. Sull’argomento Berlusconi ha promesso un milione di alberi da piantare, quando già il PNRR ne avrebbe previsti sei. Siamo ormai ai filler del programma, i riempitivi retorici, come quando si parla di agricoltura con toni da Mussolini che trebbia il grano in un filmato dell’Istituto Luce.
Nel penultimo capitolo finalmente si parla di scuola. Gli ultimi governi di centrodestra hanno avuto al ministero dell’Istruzione Letizia Moratti e Mariastella Gelmini: non il miglior biglietto da visita e a parlare sono i fatti, ovvero i 10 miliardi di euro tagliati alla scuola durante l’ultimo governo di centrodestra o le migliaia di cattedre cancellate dalla riforma Moratti. Vengono promesse ristrutturazioni degli edifici scolastici e addirittura “l’eliminazione del precariato del personale docente”. Anche stavolta però il programma non spiega come. Viene indicato un tema ma la proposta resta indefinita, un astrattismo legato a slogan e parole chiave intollerabile in un documento che dovrebbe dare risposte ai cittadini. L’ultimo paragrafo, con discorsi altrettanto generici, viene riservato allo sport, che per Fratelli d’Italia serve a sconfiggere le “devianze”, tra cui anoressia e obesità, messe sullo stesso piano della criminalità. È un po’ l’Italia che ha in mente Meloni: paragrafi interi dedicati allo sport, persino ai boschi, ma nessuno sui diritti civili. Avremo la prima premier donna della storia repubblicana, ma è la stessa che pubblica sui social il video di uno stupro e per giorni rivendica il suo diritto di non scusarsi.
È difficile riassumere un programma che al suo interno non contiene alcuna spiegazione sulle misure e non parla mai di coperture finanziarie. Quello che emerge è però il ritratto di un progetto di Paese arretrato, conservatore e nazionalista. Una proiezione del Texas in salsa italiana, dove le minoranze saranno ancor più discriminate, i ricchi diventeranno più ricchi e i poveri più poveri. Gli evasori continueranno a prosperare e l’economia rischierà un tracollo come quello del 2011, quando arrivammo a un passo dal default. All’epoca, al governo c’erano Forza Italia, Lega e Meloni come ministra. Adesso avremo lo stesso esecutivo, ma a trazione sovranista. Saremo quindi membri di Visegrad ad honorem. Leggendo questo programma, Mattarella si è messo già alla ricerca del prossimo tecnico che dovrà mettere le toppe ai danni della destra. Come undici anni fa, quando gli stessi personaggi affossarono il Paese.