Lo scorso 26 aprile il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha comunicato in un tweet che il suo ministro dell’Educazione, Abraham Weintraub, sta valutando l’ipotesi di tagliare i fondi alle facoltà di filosofia e sociologia del Paese per trasferirli a dipartimenti che garantirebbero un immediato ritorno al contribuente, come veterinaria, ingegneria e medicina. In realtà l’iniziativa di Bolsonaro è solo l’ultima di una lista di provvedimenti simili. Nel 2015, per esempio, il ministro della Cultura giapponese, Hakuban Shimomura, ha costretto più di 50 università a ridurre il personale o addirittura a chiudere le loro facoltà umanistiche.
Le materie umanistiche, come la filosofia, stanno affrontando un periodo di profonda crisi e sfiducia, spesso accusate di essere inutili. Tuttavia, non è stato sempre così. In passato, gli eredi al trono e i figli delle famiglie benestanti avevano come precettori filosofi illustri (basti pensare ad Alessandro Magno e Aristotele, o Nerone e Seneca), che in molti casi erano anche matematici, astronomi e diplomatici. In molti si chiedono perché in questo periodo storico la filosofia abbia perso gran parte della sua considerazione se per secoli è stata vista come indispensabile.
La risposta è più semplice di quanto si possa pensare: la filosofia non vende e non permette di comprare nulla. In una società capitalistica come la nostra, la logica del mercato è pervasiva e investe qualsiasi settore, dalla vendita di beni di consumo a servizi come l’istruzione e la salute. La qualità della vita dell’individuo dipende da quanto riesce a inserirsi e a trarre vantaggio dalla logica di mercato, e chi o cosa non vi si adegua ne viene immediatamente escluso. La filosofia viene considerata inutile perché non offre un servizio che sia quantificabile, non convertibile in un prezzo. La decisione di Bolsonaro e del ministro Weintraub, infatti, punta a un ritorno di reddito per garantire il benessere delle famiglie. Nella logica di mercato, il benessere va di pari passo con ciò che un singolo o una famiglia possono permettersi. Questa è la ragione più evidente dell’attuale crisi della filosofia, ma non l’unica.
Con la salita al potere di Bolsonaro, ma anche di Trump o della nuova classe dirigente italiana, si sta diffondendo a livello globale una politica che rivendica le vittorie del passato e l’etica nazionalista. I suoi leader insistono su valori come forza e cambiamento, sfruttando la paura degli elettori per l’immigrazione o la crisi del lavoro e dei mercati. Tutti fattori che nutrono la diffidenza verso l’altro e verso il futuro e spingono verso politiche protezioniste. Perché questo corso politico sia credibile non può incontrare ostacoli e per questo la filosofia diventa suo nemico. La filosofia, infatti, che stimola un pensiero libero e critico, è un esercizio rigoroso di analisi delle condizioni di vita e lo sforzo di immaginare un futuro che sia migliore. La filosofia si occupa dell’essere umano e dei possibili modi in cui può vivere e, soprattutto, scegliere. Per questo è vista come una minaccia da una politica che basa tutto il suo potere sull’autorità. Si tratta di un meccanismo che ha origini antiche, a partire dalla morte di Socrate per mano della democrazia ateniese, ma che si replica ancora oggi.
Succede ad esempio in Ungheria, dove il governo di Orbán ha anticipato l’ascesa dei nazionalisti europei. L’Ungheria vanta il più grande fondo di scritti editi e inediti del filosofo marxista György Lukács, che si è scagliato duramente contro il metodo di produzione tipico del capitalismo. Nel 2017, il governo Orbán ha rimosso la statua di Lukács dalla sua sede di Budapest, e ha ordinato la chiusura del fondo che conserva i suoi scritti, rischiandone così la dispersione. Il pensiero di Lukács è uno dei più grandi ostacoli a una politica di estrema destra. Nella sua opera, Storia e Coscienza di classe, Lukács si è infatti scagliato contro il capitalismo e una logica di mercato profondamente disumanizzante, che predilige una vita che sia solo quantità di tempo dedicata al lavoro e non qualità di esperienze.
Nel caso ungherese la filosofia è considerata tanto inutile quanto pericolosa, perché la sua capacità di analisi mette in luce l’inadeguatezza della classe politica, presentando delle alternative al sistema di governo vigente. La filosofia fa proprio questo: mostra delle possibilità. In sostanza, ricorda che un certo potere può cambiare o morire. Se la politica è autoritaria fonda tutto il suo potere sull’impossibilità di sostituirla e cercherà di contrastare in tutti i modi ciò che la mette in discussione o in ridicolo. Le reazioni alla scelta del direttore del museo nazionale di Varsavia, Jerzy Miziolek, di rimuovere le installazioni dell’artista Natalia LL dimostra proprio questo. L’artista ha presentato un filmato in cui una ragazza, con un atteggiamento palesemente erotico, mangia una banana marcia per poi vomitarla. La critica al comunismo e alle sue politiche restrittive (politiche autoritarie quanto quelle del governo polacco in carica) espressa nel video ha spinto il direttore a ordinarne la censura. Il risultato è stato l’opposto di quanto sperava. Insegnanti, studenti e artisti hanno espresso il loro dissenso, facendosi fotografare con una banana e prendendosi gioco della classe dirigente del Paese. Più grande è lo sforzo della politica di contrastare ciò che la contraddice, più aumenteranno il potere dell’arte e della filosofia nel resisterle. È una lotta che dura da secoli e che ha riempito i libri di storia con i nomi di intellettuali dissidenti, nata quando la politica ha dimenticato il suo scopo.
Anche la politica è una disciplina umanistica, che deriva dalla filosofia, nata per prendersi cura dell’essere umano nella sua dimensione sociale e cittadina. Nel farlo deve seguire la filosofia perché unica disciplina in grado di offrire una visione del mondo, ovvero quella capacità di guardare criticamente la realtà e costruire la sua versione migliore. La filosofia è la matrice di idee che la politica ha la possibilità di metterle in pratica. Nel momento in cui la politica si occupa esclusivamente della crescita economica e della protezione di una categoria rispetto a un’altra, si svuota di senso rivelandosi fragile e pericolosa, fino a corrompersi in dittatura.
Guardando alla logica di mercato con occhio critico, è evidente che stia avvicinandosi al collasso. La crisi del lavoro, dell’immigrazione e persino del clima dimostrano che il capitalismo sta logorando il mondo e gli esseri umani. Ma a causa dell’illusione di immortalità di un determinato modo di governare, la politica sta esasperando la logica di mercato, nutrendo la stessa crisi che dovrebbe provare a combattere. Privata dell’elemento umano, è diventata ottusa e incapace di immaginare soluzione alternative che siano di reale vantaggio per i cittadini. La politica ha bisogno della filosofia per rinascere, rigenerarsi e trovare una nuova via da percorrere per il benessere degli esseri umani e del pianeta. Opporsi al cambiamento la condannerà solo a diventare un complice sempre più colpevole del meccanismo che è nata per combattere.