Mi capita spesso di pensare a quale sia il tratto più distintivo della destra contemporanea, l’azione portante della sua politica. Ci sono certamente delle differenze da nazione a nazione, ma credo che una costante a livello globale ci sia, ovvero non poter fare a meno di crearsi nemici immaginari. È infatti un espediente di cui ha ciclicamente bisogno per distrarre l’elettorato e nascondere le inefficienze dei suoi stessi governi o la limitatezza dei relativi rappresentanti. Prima sono stati i migranti, l’Europa, i poteri forti, l’euro, la sostituzione etnica, i rave, i comunisti, adesso è subentrato il boss finale: il pensiero unico. Storicamente questo concetto dovrebbe rappresentare l’egemonia culturale, politica e sociale di un’ampia maggioranza uniformata, con pochi soggetti a “pensarla diversamente”. Per la destra attuale, invece, è un parente stretto del “politicamente corretto”, che fa sbuffare all’unisono al motto di “Non si può più dire niente”. I politici e gli elettori che abbracciano questo concetto associano giustamente il pensiero unico all’omologazione delle opinioni, ma in maniera del tutto faziosa e distorta, finendo addirittura per equipararlo a un processo che limiterebbe la libertà di espressione, fino ad arrivare a coniare il termine “dittatura del pensiero unico”. In estrema sintesi, comunque, alla destra in realtà non va semplicemente giù che nel 2024 “negro” e “frocio” non siano più considerati degli epiteti da pronunciare in allegria e che ci siano differenze sostanziali tra opinioni e fatti, tra l’esclusione come idea e le pratiche discriminatorie. È dunque stato fabbricato questo astrattismo in vitro che dovrebbe tentare di assolverli da ogni slancio razzista, omofobo o misogino.
È molto svilente assistere al calpestamento da parte della destra del termine “libertà”. Intanto perché spesso viene confuso con un lasciapassare per poter fare o dire qualsiasi cosa. Durante le Olimpiadi di Parigi, Matteo Salvini – insieme a molti altri destrorsi che sembrano aver orchestrato il caso – ha rilanciato sui suoi profili social una fake news, definendo Imane Khelif “la pugile trans dell’Algeria”. I suoi seguaci hanno iniziato a definire Khelif come “un trans” o un uomo. Quando la magistratura francese ha aperto un’inchiesta che riguarderebbe il reato di cyberbullismo aggravato, tirando in ballo anche Elon Musk, J.K. Rowling e diverse figure pubbliche, i destrorsi hanno commentato sui social con frasi come: “Limitare la libertà di parola. Obbligare tutti al pensiero unico”, “Ormai esiste solo il pensiero unico! Non si può pensare diversamente! È gravissimo!”, “Hanno rotto con questo politicamente corretto”. Quello che non capiscono è che dire che una donna sia un uomo o “un trans” non è un pensiero, è una diffamazione, una bugia, un attacco di genere. Inoltre, la destra che chiede più libertà – un ossimoro storico – è la stessa che censura programmi della televisione pubblica e fa fuori alcuni dei suoi massimi protagonisti proprio perché non allineati alle politiche di governo. Dunque a un “pensiero unico”, sì, quello destrorso.
Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato più volte di pensiero unico come contrapposizione alle sue idee politiche. Sempre in modo improprio, ovvero con la mistificazione di chi lascia intendere che ci sia una censura mondiale contro la destra. Tutto è molto più limpido: ogni cittadino ha il diritto di esprimere la propria opinione fino a quando la sua libertà non intacca quella degli altri e non lede, discrimina o calunnia il prossimo. Io sono libero di scendere in piazza e dire che il vero autore della Gioconda sia Caravaggio, come conseguenza però mi prenderebbero per pazzo e magari proverebbero a mettermi di fronte alla realtà dei fatti. Allo stesso tempo, un fascista è libero di presentarsi nello stesso luogo e dire che l’Olocausto non è mai esistito e che tutte le imbarcazioni che trasportano migranti irregolari dall’Africa meriterebbero di affondare nel Mediterraneo. Come conseguenza prenderebbe una vagonata di denunce. Ecco: la destra finge di non conoscere il rapporto tra causa ed effetto – mentre ne è perfettamente consapevole e semplicemente lo usa come strumento propagandistico.
In una democrazia nessuno vuole mettere un bavaglio alle persone, ma la libertà d’espressione e la libertà di offendere non possono e non devono essere sullo stesso piano. Se scrivi in un libro che gli omosessuali non sono normali non sei un ribelle contro il pensiero unico, sei un omofobo intollerante. Riportato qui come forma scritta sembra una conclusione ovvia, un 2+2 lapalissiano, ma a quanto pare per molti non è così, come dimostra un altro caso. Il secondo esempio recente, infatti, riguarda l’arresto di Pavel Durov, il fondatore di Telegram. Salvini, ancora lui, ha commentato così la vicenda: “In Europa siamo alla censura, viva la libertà di pensiero”. Il popolo della destra si è indignato perché non è stato Durov a commettere i reati per cui viene accusato. Ovvio che no, e infatti non è accusato di aver organizzato uno stupro di un minore di sette anni nel Sudest asiatico, ma di non aver rispettato i parametri di controllo e sicurezza sulla sua piattaforma, un’app di messaggistica di cui è responsabile e che non è conforme a norme internazionali molto rigide. Anche stavolta, quindi, non esiste alcun attacco alla libertà di pensiero e Salvini si è schierato di nuovo dalla parte sbagliata della Storia. I più maliziosi potrebbero pensare che l’abbia fatto per la sua vicinanza a Mosca o perché una parte del suo elettorato si è nutrito in prima persona di complottismi nati sui gruppi Telegram, che hanno meno controlli a livello di crittografia rispetto a quelli su Whatsapp. Nonostante tutti i suoi difetti, Meta per esempio oggi non permette l’apertura su Facebook o su Instagram di una pagina di nazisti con l’immagine dei cancelli di Auschwitz come immagine di copertina o un gruppo di sostenitori espliciti del Ku Klux Klan. Telegram sì. Se per Salvini o chi per lui questo è sinonimo di libertà allora bisogna ricalibrare i valori della nostra civiltà e chiederci se diritto di parola e diritto di diffamazione siano sullo stesso piano.
Io continuo a non capire come la destra di tutto il mondo – dai politici nostrani a Trump, da Netanyahu a Orbán – possa avere una visione così retriva. La libertà d’espressione è stata conquistata con fatica dopo secoli di disuguaglianze e dittature liberticide e riguarda un complesso di diritti acquisiti spesso troppo tardi. In Italia fino al 1946 le donne non potevano votare, fino a poco più di quarant’anni fa non potevano abortire e oggi in alcuni Paesi non possono guidare, mostrare il volto o addirittura, come in Afghanistan dopo una recente legge dei talebani, far sentire la propria voce in pubblico – letteralmente. E non è solo una questione di genere: anche gli uomini in passato non potevano dire la loro. Sotto il fascismo non potevano fondare altri partiti, non potevano criticare il regime o ribellarsi alla dittatura in atto. In parecchi Paesi del mondo i nostri social sono vietati e non si può esprimere alcuna critica contro i governanti. Per quanto ogni Paese abbia la sua storia e non si possano fare paragoni sbilanciati, una limitazione reale alla libertà va riconosciuta, e non è di certo l’indignazione di fronte a frasi razziste o a bufale scambiate per opinioni.
Il punto è che Salvini, Meloni e compagnia non sono dei sovversivi ai margini della società: occupano le più alte cariche dello Stato, che è una repubblica, una democrazia. Lo spirito d’emulazione dei loro seguaci crea un linguaggio violento e dà vita a comportamenti legittimati proprio dai loro stessi rappresentanti. E così da settimane Khelif è considerata dalla massa di destra “un uomo”, Durov un novello Assange imbavagliato e l’intolleranza è ormai sdoganata. Chi osa contrastare tutto ciò è “uno schiavo del pensiero unico”. Già il fatto che tutta la destra abbia una visione diversa non rende più “unico” questo pensiero, direbbe monsieur de La Palisse. E i venti destrorsi sono quelli che soffiano maggiormente in tutto il mondo in questo periodo storico, persino in uno Stato come la Germania che per decenni ha tenuto a bada i suoi “nostalgici” e ora si ritrova con il pericoloso exploit di AfD in casa. Quindi, ancora una volta, è semmai il pensiero di destra a rappresentare la maggioranza. E i loro rappresentanti possono, ahinoi, pronunciare frasi abominevoli sulle SS, come i neofascisti nostrani possono fare revisionismo storico sul Ventennio e diventare la seconda carica dello Stato. Però per loro ogni pensiero, anche se falso o aberrante, rientra nella libertà d’espressione. Va bene, allora, se vale tutto, potrei dire che al governo siedono diversi rettiliani, che ogni sera si ritrovano per banchettare. Io probabilmente beccherei una querela, ma che goduria presentarsi davanti al giudice e appellarsi alla libertà d’espressione contro il pensiero unico.