Perché in Italia comunisti e fascisti si sono uniti nel nome del sovranismo?

I fan dei sovranisti nostrani potrebbero aver sbagliato tutto. Potrebbero semplicemente aver puntato sul leader sbagliato. Pensavano – loro, gli elettori con la Patria nel cuore e la bandiera italiana nella foto profilo – che l’uomo giusto fosse Matteo Salvini. Li ha ammaliati con l’ipotesi di uscire dall’euro, dall’Unione Europea, dalla Nato, dalla Terra, dall’intero sistema solare, convincendoli del suo spirito patriottico nonostante i trascorsi. Adesso però di fantomatiche uscite (da tutto) lui non ne parla più. Allo stesso modo pensavano – loro, i presunti guardiani della sovranità nazionale – che CasaPound potesse rappresentare la risposta a tutte le loro domande. Volevano persino invadere la Libia, poi si sono ritrovati a fare tavole rotonde con Mentana e Formigli. Nessuno di loro si è accorto di una verità nascosta e incontrovertibile: la forza politica più sovranista, in Italia, si chiama Partito Comunista.

No, non è quel Partito Comunista, ma una reincarnazione sghemba nata nel 2009 in seguito alla guerra fratricida all’interno del Partito dei Comunisti Italiani – a sua volta, per onor di cronaca, altra reincarnazione sghemba dell’universo falce e martello. Tutto nacque dallo scontro tra Marco Rizzo, segretario generale dell’attuale Pc, e Oliviero Diliberto, ex ministro di Grazia e giustizia del governo Prodi. Il big bang comunista del terzo millennio non appassionò particolarmente nemmeno gli addetti ai lavori, e non c’è da biasimarli. In pratica Rizzo venne accusato dal partito di aver appoggiato Gianni Vattimo, dell’Italia dei Valori; come risposta lui chiese chiarimenti sul rapporto tra Diliberto e Giancarlo Elia Valori, ex membro della P2. Volarono minacce, ipotesi di querele e infine Rizzo venne espulso dal partito. Fondò Comunisti – Sinistra Popolare, che poi diventò Comunisti Sinistra Popolare – Partito Comunista e, finalmente, nel 2014, semplicemente Partito Comunista. Mentre oggi Diliberto insegna stabilmente diritto romano ai cinesi dell’università di Wuhan, alle elezioni del 2018 il Partito Comunista ha preso lo 0,3%. Meno del listone Forza Nuova – Movimento Sociale – Fiamma Tricolore.

Marco Rizzo

Nonostante lo scarso riscontro elettorale è utile rispolverare il programma che il Pc ha portato alle scorse elezioni, anche solo per un semplice motivo: a una prima, distratta lettura potrebbe essere scambiato per quello di CasaPound. Balzano subito all’occhio le voci riguardanti la politica estera, ovvero: uscita dell’Italia dall’Unione europea, dall’euro e dalla Nato. Anche nella sfera dell’economia le similitudini con il programma di CasaPound sono evidenti, soprattutto quando si parla di “cancellazione unilaterale del debito pubblico e degli annessi interessi” e di “cancellazione vincolo del pareggio di bilancio”. Per quanto riguarda l’immigrazione, è lo stesso Rizzo a spiegare il suo pensiero: “Nei processi migratori si crea un esercito industriale di riserva per abbattere in un sol colpo i diritti dei lavoratori autoctoni”. Continua accusando il centrosinistra di essere composto da “schiere di radical chic che si infiammano per i banali sermoni di uguaglianza di chi regna in Vaticano o di chi pensa che la dignità proletaria possa essere ricostituita costruendo moschee”. Sentendo queste parole, in confronto Salvini e Di Stefano sembrano Bonino e Fratoianni.

Certo, alcune differenze con CasaPound ci sono, e non potrebbe essere altrimenti. Soprattutto per alcune voci bizzarre che rendono il programma del partito di Di Stefano un vero spasso. In primis, fa sorridere l’ultimo punto, che si intitola “Per un’applicazione reale della Costituzione”. Costituzione antifascista, che pone già CasaPound in una posizione simile a un intruso in terra straniera. Esilarante anche il passaggio in cui si chiede “Un’edilizia pubblica stile Ventennio che cancelli dalle nostre città gli obbrobri pseudo-architettonici di stile sovietico realizzati da costruttori democristiani e architetti comunisti al solo scopo di mortificare l’essere umano, creando disagio e ghetto”. Dunque il compromesso storico non era altro che un complotto architettonico, con i famosi costruttori democristiani appassionati di edifici sovietici alleati con architetti mangia-bambini. Meraviglioso, come anche il passaggio sull’ambiente, dove si riporta: “L’ambiente siamo noi e non viceversa. Il vero problema non è non inquinare, bensì respirare insieme al cosmo”. Questa, a livello razionale e linguistico, non l’abbiamo capita – forse per nostra fortuna. CasaPound vorrebbe inoltre il rilancio del cinema nostrano con “Il potenziamento dell’Istituto Luce Cinecittà Spa, fino a proporre concorrenza culturale alla mitologia hollywoodiana”.

Simone Di Stefano

In generale, i due programmi vedono le maggiori differenze nella cultura militare. CasaPound preme per il “Ripristino della leva obbligatoria per tutti, uomini e donne, al compimento del diciottesimo anno d’età, con richiami quinquennali di addestramento fino al compimento del quarantacinquesimo anno d’età”. Sprizzano già felicità da tutti i pori, i ragazzi di oggi, all’idea di dover fare il militare ogni cinque anni. Il Partito Comunista è invece contrario a qualsiasi intervento militare, e chiede il ritiro delle truppe italiane dalle missioni Onu e Nato. Inoltre, quest’ultimo giustifica il suo nome nelle voci che riguardano il lavoro, con la richiesta di un salario minimo di 10 euro l’ora, 32 ore settimanali in contratto, ripristino dell’Articolo 18 e parità salariale e di diritti tra uomo e donna.

È altresì lecita la condanna del Partito Comunista alle politiche messe in atto dal centrosinistra negli ultimi anni. Tutto parte dalla constatazione della mutazione, all’interno della sinistra – una trasformazione genetica, a tratti antropologica – che ha segnato il passaggio dal comunismo al centrosinistra attuale. D’altronde, dalle sirene keynesiane alle politiche neoliberiste c’è tutta la differenza del mondo, e lo stesso Pd racchiude anime variegate, comprese quelle che provengono da un’eredità democristiana. L’unico reale vincitore di una tornata elettorale (anzi, due) per il centrosinistra – cioè Prodi, visto che per Bersani si è trattato sostanzialmente di un pareggio – è un figlio della stagione scudocrociata. Il Pd ha dunque ispirazioni più vicine a Blair e Obama che al suo passato remoto. Allo stesso tempo, la storia del Partito Comunista è costellata di rimandi a una sovranità nazionale, priva però delle macchie xenofobe e vagamente fasciste del sovranismo odierno.

Romano Prodi

Antonio Gramsci fu tra i primi a capire che l’internazionalismo andava collegato alla questione nazionale e che, parole sue, “La sovranità deve essere una funzione della produzione”. Queste parole non devono però trarre in inganno, vanno contestualizzate e inserite in un quadro più ampio. Gramsci parlava sì di sovranità e di questione nazionale ma, come ha scritto nei Quaderni, “la prospettiva è internazionale e non può essere che tale”. Gramsci riteneva infatti antistorico il protezionismo, spesso presagio di nazionalismi chiusi e lontani dalla sua idea di politica. Non a caso ha scritto, sempre nei Quaderni: “Esiste oggi una coscienza culturale europea ed esiste una serie di manifestazioni di intellettuali e uomini politici che sostengono la necessità di una unione europea: si può anche dire che il processo storico tende a questa unione e che esistono molte forze materiali che solo in questa unione potranno svilupparsi. Se tra x anni questa unione sarà realizzata, la parola nazionalismo avrà lo stesso valore archeologico che ha l’attuale municipalismo”. Quindi Gramsci, dimostrando tutta la sua lungimiranza, ha dato la sua benedizione a un’unione di stati pur parlando dei pericoli delle derive nazionaliste. Ovvero, ha previsto quello che sta succedendo oggi in Europa, dove quei valori “archeologici” purtroppo stanno tornando a galla.

Un fraintendimento c’è stato anche con Palmiro Togliatti, quando diceva: “Assai spesso i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo”. Questo perché nella visione di Togliatti la classe operaia non era di certo estranea agli interessi della nazione, e l’amore per il proprio Paese non era una prerogativa dei nefasti giorni fascisti, tutt’altro. Rimarcava però la differenza tra un patriottismo claustrofobico e respingente, e un patriottismo d’ampio respiro, legato invece a un internazionalismo che non mirava a uno svilimento della propria nazione.

Palmiro Togliatti

Il problema basilare è nella distorsione del concetto di patria che abbiamo oggi, quando sovranismo e sovranità vengono visti come sinonimi. Il popolo è sovrano, non sovranista. Il sovranismo si riallaccia più ai temi della chiusura, del nazionalismo caro ai conservatori del secolo scorso, ed è intriso di quel razzismo latente che forgia le forze politiche di estrema destra. Lo stesso Partito Comunista di Rizzo fa tre passi indietro rispetto ai tempi di Berlinguer, che invece era l’emblema di un’apertura quasi epocale. In Italia il primo segnale fu il compromesso storico, ovvero il tentativo di avvicinamento tra Pci e Democrazia Cristiana per ammorbidire un Paese devastato dalle stragi degli anni di piombo. Berlinguer cercò l’appoggio degli esponenti più a sinistra della Dc, e tra questi Aldo Moro. Questo causò un moto di dissenso all’interno del Pci, tra i socialisti di Craxi e, purtroppo, tra le fila dei gruppi terroristici. Le Brigate Rosse rapirono e uccisero Moro, cadde il governo Andreotti IV e la Dc archiviò qualsiasi possibilità di accordi con il Pci.  Ma fu soprattutto a livello internazionale che Berlinguer diede una svolta al partito. Il suo intento di ottenere un’indipendenza dall’Unione Sovietica si unì a una virata verso un partito più occidentale. Se per il Pci inizialmente lo slogan era “Via la Nato dall’Italia e via l’Italia dalla Nato”, Berlinguer si era avvicinato a chi da decenni si sobbarcava il peso e la responsabilità della difesa militare nell’Europa occidentale – pur mostrando contraddizioni non indifferenti. Quando arrivò a dichiarare di “sentirsi più al sicuro sotto l’ombrello della Nato”, molti compagni di partito lo videro come un tradimento. Era invece una visione più ampia, un superamento di certi dogmi appartenenti al passato comunista che andavano svecchiati.

Enrico Berlinguer

Oggi Rizzo compie una giravolta sfiduciando la politica di Berlinguer. Lo fa in un periodo in cui è tornato in auge, più che altro a livello mediatico, grazie alle feroci critiche contro i “sindaci dissidenti”. Ha dichiarato: “Questi fessi dov’erano quando c’era da fare dure battaglie per le case e il lavoro?”, senza capire che il benaltrismo non sarà mai la soluzione per la rinascita di una sinistra estranea al Pd, così come l’allineamento con gli umori della pancia del popolo. Non a caso le sue dichiarazioni hanno ricevuto il plauso di Diego Fusaro, che ha definito Rizzo “l’unico comunista ad aver capito l’inganno dell’immigrazione”. Diventare la versione progressista di CasaPound, o quella anacronistica di Potere al popolo, è un assist per i reali sovranisti. Perché non basta avere falce e martello nel simbolo per riportare alla luce un passato ormai sepolto. Soprattutto quando dietro la speranza di apparire come novelli Gramsci si nasconde lo spettro di una versione annacquata di Orbán.

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