Da mesi si registra un aumento delle disuguaglianze nel nostro Paese accelerato dalla pandemia. L’aumento del commercio online ha portato aziende come Amazon ad aumentare i loro utili, mentre moltissimi giovani e donne hanno perso il loro posto di lavoro nel corso degli ultimi mesi. Per fronteggiare la crisi economica generata dall’emergenza sanitaria, il governo è stato costretto a fare massiccio ricorso al deficit, autorizzando spesa a debito per oltre cento miliardi di euro, portando il debito pubblico italiano sopra il 160% del Pil. In questo contesto, aumentano coloro che chiedono una riforma fiscale basata su criteri di equità che ridistribuiscano una parte della ricchezza presente nel Paese.
Non si tratta di richieste motivate da invidia sociale provenienti da estremisti di sinistra. Anche alcuni milionari hanno mostrato la loro disponibilità a pagare più tasse per mitigare l’impatto che il Covid-19 sta avendo sulle fasce più deboli della popolazione. Il finanziamento della sanità pubblica, dell’istruzione e della sicurezza sociale è infatti essenziale per garantire a tutti i cittadini la possibilità di vivere un’esistenza libera e dignitosa. In una democrazia ogni persona deve contribuire alle spese pubbliche secondo le proprie capacità contributive. È la nostra stessa Costituzione a prevedere che il sistema fiscale debba essere improntato su criteri di progressività, per cui chi ha di più è chiamato a contribuire maggiormente al bilancio dello Stato. In quest’ottica è stato presentato un emendamento alla legge di bilancio che vuole riformare le imposte sulla ricchezza accumulata in Italia, chiedendo un contributo in più a chi può permetterselo.
La proposta di riforma è stata presentata a fine novembre da alcuni deputati di Liberi e Uguali e del Partito Democratico, tra cui Nicola Fratoianni, Matteo Orfini e Giuditta Pini. L’obiettivo è quello di cancellare gran parte delle “mini” imposte patrimoniali già presenti nel nostro ordinamento, dall’Imu sulle seconde case all’imposta di bollo su conti correnti e conti deposito, introducendo un sistema progressivo che tassa chi ha un patrimonio superiore a 500mila euro con un’aliquota pari allo 0,2%, che cresce fino al 2% per chi possiede patrimoni oltre i 50 milioni di euro. La proposta ha due obiettivi: da una parte si semplifica la legislazione tributaria, eliminando la miriade di piccole tasse sulla ricchezza che ogni anno i cittadini devono versare. In questo senso la proposta riduce il carico fiscale che riguarda le persone che possiedono immobili di valore inferiore a 500mila euro. Il secondo scopo della proposta è dare piena attuazione alla Costituzione, recuperando il valore della progressività fiscale nel nostro ordinamento.
Quasi tutti gli esponenti politici hanno accolto con ostilità l’ipotesi. Per il Partito Democratico si tratta di un’iniziativa individuale di alcuni deputati che non impegna il gruppo parlamentare in alcun modo. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha definito l’emendamento una follia. Una posizione molto simile a quella di Davide Faraone, capogruppo al Senato di Italia Viva. La destra utilizza toni ancora più critici con Giorgia Meloni che definisce i firmatari dell’iniziativa “nemici dei cittadini” e Matteo Salvini che parla addirittura di crimine e di arresto immediato. L’aumento della progressività del nostro sistema fiscale è una questione che però non può essere liquidata con la superficialità mostrata da tutte le principali forze politiche parlamentari.
L’aumento delle diseguaglianze registrato negli ultimi decenni ed esasperato dalla pandemia è dovuto anche alla riduzione della progressività fiscale che per decenni ha retto i Paesi occidentali. Economisti come Thomas Piketty, per esempio, hanno denunciato come le aliquote sui redditi più alti siano crollate nel corso del tempo. In Italia sono stati ridotti sia il numero di scaglioni, che sono passati da 32 a 5, sia le aliquote massime applicate ai redditi più elevati. Negli anni Settanta un “paperone” italiano arrivava a pagare fino al 72% sui redditi percepiti mentre oggi tale percentuale si attesta al 43%. Progressivamente si è visto un trasferimento di risorse a favore delle classi agiate che ha danneggiato il welfare e le persone maggiormente in difficoltà. La proposta di una patrimoniale progressiva presentata in Parlamento non è la soluzione definitiva di questa situazione, ma va nella giusta direzione.
L’introduzione di un’imposta patrimoniale deve affrontare una serie di nodi irrisolti. In primo luogo, nel nostro Paese è assente un’anagrafe patrimoniale per i cittadini comuni. Metterla a punto è importante per avere un sistema fiscale certo, che consenta di identificare i ricchi presenti sul territorio nazionale per massimizzare il gettito derivante dall’applicazione dell’imposta, già oggi stimato intorno a 18 miliardi di euro. Inoltre, l’imposta sul patrimonio trova le critiche di chi non vuole tassare ulteriormente i redditi già sottoposti a prelievo quando vengono percepiti. Per molti, l’introduzione di una patrimoniale è vissuto come un’ingiustizia in un Paese dove l’evasione fiscale supera i 100 miliardi di Euro l’anno. Per questo ogni misura deve essere accompagnata da una strutturale lotta all’evasione fiscale e dall’adozione di provvedimenti per limitare le pratiche elusive delle aziende.
I valori di una sinistra moderna dovrebbero essere rivolti alla solidarietà e alla giustizia sociale per proteggere i soggetti più vulnerabili della nostra società che in questo momento sono in larga parte rappresentati da donne, giovani e stranieri. Non è possibile continuare a produrre deficit e debito pubblico da scaricare sulle future generazioni senza riformare il sistema fiscale. Dopo trent’anni in cui tutte le forze politiche hanno adottato come unico mantra la riduzione delle tasse per tutti i ceti sociali è difficile sovvertire in breve tempo la narrazione dominante. L’ortodossia neoliberista vuole uno Stato ridotto al lumicino che non interferisca con la ricchezza e il successo degli individui. Per l’ideologia egemone del nostro tempo, tassare le ricchezze accumulate nel tempo è inconcepibile. Cambiare prospettiva è un processo culturale che richiederà tempo. Da qualche parte, però, bisogna pur iniziare.
L’ex presidente del Consiglio Mario Monti, non certo un bolscevico che ha partecipato alla rivoluzione d’ottobre, ha ammesso che a partire dal crollo dell’Unione Sovietica il sistema capitalistico ha generato i suoi effetti peggiori. Tra questi c’è l’aumento senza controllo delle diseguaglianze. Un’analisi costruttiva dei limiti dell’attuale sistema economico è quindi il presupposto da cui partire per adottare riforme che redistribuiscano la ricchezza e arginino la crescita dell’esclusione sociale.
L’introduzione di un’imposta patrimoniale progressiva sulle grandi ricchezze presenti in Italia è giusta oltre a essere necessaria per la tenuta dei conti pubblici. Mai come in questo momento è necessario che i grandi patrimoni contribuiscano a ridurre le diseguaglianze sempre più acute nel Paese. In uno dei passaggi più significativi della nostra Carta costituzionale si legge che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Tutti i cittadini possono contribuire a rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra gli individui più deboli e la loro possibilità di essere inclusi nella vita economica del Paese. Chi è riuscito ad accumulare ricchezza nel corso del tempo non può restare indifferente di fronte alla crisi sociale che ci aspetta nei prossimi mesi. È il momento di sostituire l’individualismo con la responsabilità collettiva. In gioco c’è la qualità della nostra democrazia.