“È colpa del PD”, sì, ma anche i partitini di sinistra hanno da tempo le loro belle responsabilità - THE VISION

Al Partito Democratico abbiamo attribuito tutti i difetti possibili, perché in effetti li aveva e lo conferma il tonfo alle ultime elezioni dopo una campagna elettorale strutturalmente fallimentare. C’è però qualcosa che non torna quando il PD viene accusato di essere il colpevole della crisi della sinistra italiana, ovvero il fatto che il peso ricada esclusivamente su un partito dichiaratamente di centro che racchiude varie anime e che all’interno accorpa persino ex democristiani o teodem. Alcune persone non sono andate a votare, cosa che non fanno da anni, perché “il PD non è abbastanza di sinistra”. Ma sembrano dimenticarsi che una sinistra più vicina a un certo ideale esisterebbe anche, incarnata da piccoli – piccolissimi – partiti che chissà perché non sembrano meritarsi il voto di questi astenuti puristi. Se dal 1994 nessuno di questi è riuscito a intersecare la delusione degli elettori di sinistra e a ottenere risultati elettorali che non fossero movimenti da funamboli sul precipizio della soglia di sbarramento, forse la colpa non è del PD.

Dopo il crollo del muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica, Tangentopoli e la disgregazione del PCI – che emotivamente era iniziata già con la morte di Enrico Berlinguer – la forza alternativa di sinistra agli albori della Seconda Repubblica era rappresentata da Rifondazione Comunista, con Fausto Bertinotti come segretario. Dopo il primo governo Berlusconi, la vittoria di Romano Prodi alle elezioni del 1996 segnò una svolta, o almeno quello era l’auspicio. L’appoggio esterno di Rifondazione si rivelò però un’arma a doppio taglio. Bertinotti iniziò a pungolare Prodi sin dai primi mesi, entrando in conflitto con un’ala del suo stesso partito, quella di Cossutta e Diliberto, che invece intendeva supportare l’esecutivo. Prevalse la fazione bertinottiana, Rifondazione sfiduciò il governo e i cossuttiani abbandonarono Rifondazione, fondando il PCI (Partito dei Comunisti Italiani). La caduta di Prodi, dopo le esperienze da traghettatori di D’Alema e Amato, riconsegnò poi l’Italia nelle mani di Berlusconi.

Fausto Bertinotti, Romano Prodi e Armando Cossutta
Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti

Bertinotti non fu solo il Bruto della situazione, ma rappresentò negli anni l’ambiguità di una sinistra salottiera incline all’autolesionismo. Da compagno di ferro diventò un estimatore di CL, dichiarando la morte del movimento operaio ed esaltando la vitalità del mondo cattolico. Nel frattempo fece da testimone di nozze a Valeria Marini e da tovarish si trasformò in un signore mondano, tra soubrette, monsignori e parvenue. I successivi partiti a sinistra dell’Ulivo prima e del PD poi non hanno avuto fortune migliori. Mentre il PD si arrabattava affannosamente per tenere unite varie creature politiche e accedere ai piani alti delle istituzioni, alla sua sinistra nascevano partiti come funghi. Molti di questi duravano il tempo di un’elezione; qualcuno resisteva giusto per farsi un giro in Parlamento per una o due legislature – spesso aggrappandosi al PD stesso: ma nessuno lasciava il segno. Cambiarono nomi, simboli e leader, ma era un continuo riciclo delle stesse facce, che tentavano di ergersi in quanto “sinistra ideale” contro il neoliberismo del PD. La Sinistra Arcobaleno, L’Altra Europa con Tsipras, La Sinistra, Rivoluzione Civile di Ingroia, il redivivo PC a guida Rizzo o il più recente Unione Popolare di De Magistris. Ovvero quella presunta “vera sinistra” che gli elettori disgustati dal PD avevano sempre cercato, ma che – chissà poi perché – non hanno quasi mai votato.

Marco Rizzo
Alexis Tsipras
Antonio Ingroia

Anche alle ultime elezioni, oltre alla creatura di De Magistris, si sono presentate forze di sinistra alternative al PD. Alcune sono entrate nella coalizione di centrosinistra, come l’accoppiata Verdi-Sinistra Italiana, l’unica forza a superare (di poco) la soglia di sbarramento. Unione Popolare, Italia sovrana e popolare, PCI e Partito comunista dei lavoratori hanno ottenuto percentuali da prefisso telefonico e sono rimaste fuori dal Parlamento. D’altronde, tra questi partiti c’era anche chi chiedeva di uscire dall’Euro, dalla Nato, dall’Unione Europea e paradossalmente su molti temi aveva più punti in comune con il programma di CasaPound che con quello del PD – un rossobrunismo ambiguo e anacronistico che non è stato premiato dagli elettori. La stessa Sinistra Italiana si è dimostrata opaca su alcuni argomenti, specialmente sulla politica internazionale. Non a caso, in questi mesi, nelle discussioni sulla guerra in Ucraina, i virgolettati di Fratoianni spesso non si distinguevano da quelli di Salvini o Conte. Il leader di Sinistra Italiana, infatti, non solo ha votato contro l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato, ma si è anche opposto all’invio delle armi in Ucraina.

Luigi De Magistris
Nicola Fratoianni

È come se una certa sinistra non avesse mai abbandonato un’ideologia retroattiva che tuttora eleva la Russia a entità da proteggere sempre e comunque, anche di fronte alle peggiori mostruosità. Ed è un peccato, perché all’interno di questi partiti ci sono anche personaggi di rilievo, che portano avanti battaglie sacrosante, come confermano le candidature di Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro. Eppure, queste realtà sembrano usare lo stesso PD come parafulmini e scudo per evitare ogni forma di critica. Nessuno ha mai puntato il dito contro La Sinistra Arcobaleno o Rivoluzione Civile, perché agli occhi degli italiani soltanto il PD deve portarsi la croce dell’eredità di sinistra, certamente per via della grandezza del partito e per il suo potere mediatico, ma anche perché perfetto punching ball su cui sfruttare la frustrazione sociale, in assenza della “sinistra di una volta”. D’altronde, le altre realtà appaiono per la maggior parte come stampelle ininfluenti, alcune delle quali poi – dopo tante critiche – scodinzolano in prossimità delle elezioni per poter avere qualche seggio dal partito alveare.

Ilaria Cucchi
Aboubakar Soumahoro

Gli elettori di sinistra, sempre più delusi dal PD, hanno sperato per anni che qualcuno gli lanciasse un’altra ancora di salvataggio, un’alternativa valida. La sinistra “vera”, appunto. Eppure, nessuno tra questi partiti gliel’ha mai garantita, perché non sono stati in grado di rimettere insieme i cocci di un’anima frammentata e di dar vita a una rivoluzione politica concreta. E il difetto non è quello di essere un partitino dai numeri bassi, non conta la quantità: un gruppo dal nome parecchio sovietico – con un frontman che adesso frequenta Atreju di Meloni e ambienti ben più cattolici di quelli di Bertinotti – parlava di “questione di qualità”. Il punto è che queste forme di sinistra, raccogliendo consensi irrisori, non sono mai state criticate, a differenza del PD, sempre sotto i riflettori. Le vicissitudini di via del Nazareno sono state analizzate a fondo, è stata quasi un’opera di speleologia politica, sociale, culturale. Importanti intellettuali si sono concentrati sulle macchie di chi negli anni si è assunto la responsabilità di governare, incappando in errori – fisiologici o imperdonabili – ma raramente è stata fatta un’analisi sull’assenza di una concreta alternativa a sinistra, sulle scissioni di forze politiche che hanno generato figli incapaci. Perché hanno sempre avuto carta bianca o indifferenza. Si sono dunque divisi, contraddetti, si sono messi a vicenda i bastoni tra le ruote e hanno preteso l’esclusività identitaria di una sinistra che il PD non ha saputo o potuto rappresentare. Pretesa che inevitabilmente avrebbe dovuto portare a un’ammissione di colpa che non c’è mai stata. Se in Francia chi detesta Macron può affidarsi al porto sicuro di Mélenchon e negli Stati Uniti gli allergici a Biden e ai Clinton possono rifugiarsi sotto le coperte di Sanders o Ocasio-Cortez, in Italia ci guardiamo intorno e ci accorgiamo che non abbiamo nessuna figura simile e che dietro la scelleratezza del PD non c’è nulla a cui rivolgersi.

Alexandria Ocasio-Cortez

Se ci fosse stato un partito di sinistra solido, credibile e con un progetto al passo coi tempi, lo stesso PD si sarebbe probabilmente ridimensionato e i disillusi avrebbero trovato il loro luogo. Invece, c’è chi non si sente rappresentato da chi, come un qualsiasi partito di estrema destra, chiede di uscire dall’Unione Europea, da chi mette in dubbio la matrice di certe stragi in Ucraina e giustifica l’invasione parlando di provocazione della Nato. Non si sente rappresentato nemmeno da chi loda le scelte green di certi Paesi nordici e poi ostacola in ogni modo la costruzione di un termovalorizzatore, evidentemente avendo visitato Copenaghen solo su Google Maps; o si lamenta perché l’eolico modifica il paesaggio. Se nessuno di questi partiti è riuscito a sconfinare in un territorio fuori dall’orbita del PD, allora, forse la colpa è solo sua e non di qualche complotto dei poteri forti e dei giornalisti. Forse ad alcune battaglie molto lodevoli e urgenti ne sono state alternate altre meno condivisibili, di pari passo a scissioni infinite o dogmatismi nocivi.

Quel che è certo è che il PD non è del tutto di sinistra. Serve una sinistra vera. La maggior parte delle realtà che compongono l’orbita della sinistra attuale, con le stesse facce di chi negli anni ha cambiato solo nomi dei partiti e simboli, senza mai contribuire a spostare l’elettorato verso altri lidi, evidentemente non ha le capacità per assumere questo ruolo. Anche perché non è nemmeno riuscita ad arginare l’esodo delle classi meno abbienti della popolazione verso Meloni e Conte. E se non c’è riuscita la “sinistra vera”, non si capisce come avrebbe potuto farlo il PD dell’agenda Draghi, il centrosinistra che ha governato sempre con democristiani (conclamati o eredi spirituali) al vertice, ovvero Prodi, due volte, e Renzi – tolte le parentesi dei traghettatori. Dunque, se il senso di rappresentanza a sinistra ha spento i suoi fanali e ci ritroviamo al buio, nascondersi dietro al ritornello “È colpa del PD” è una semplificazione meschina.

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