Camminando per le vie di Roma, in un qualsiasi mercato è possibile incontrare quel personaggio verace, che si lancia in un’invettiva contro i politici e contro “er monno infame”. Gesticola in modo teatrale, lancia improperi contro figure astratte, spesso violando la lingua italiana. È una figura folcloristica, casereccia, persino necessaria e nobile nei suoi intenti, e trova il suo corrispettivo in tutte le regioni dello Stivale. Aizza le folle tra gli sgombri e i calamari, propugnando le sue tesi argomentandole con il buon vecchio “Piove, governo ladro”. Il problema sorge quando la difettosa macchina della democrazia diretta prende quel personaggio, diciamo una signora, e la fa diventare vicepresidente del Senato della Repubblica. Benvenuti nell’era delle Paola Taverna al potere.
Svolgeva da tredici anni il suo tranquillo lavoro di segretaria in un laboratorio di analisi, quando un giorno ha scoperto il blog di Beppe Grillo. Ha colto l’occasione al volo, abbracciando la causa del M5S senza remore. Il suo percorso per entrare nelle stanze dei bottoni è simile a quello di Luigi Di Maio, che grazie a 189 voti online è passato dal nulla a tenere le redini del Paese. Taverna è stata quindi eletta nel 2013 al Senato della Repubblica, nella commissione Igiene e Sanità. Una posizione delicata, soprattutto per chi ha sempre avuto opinioni discutibili – molto discutibili, per non dire prive di qualsiasi fondamento scientifico – sui vaccini.
Taverna rispecchia in pieno l’archetipo della politica evanescente del M5S. Quando Beppe Grillo ha dichiarato che “I parlamentari andrebbero estratti a sorte” non stava facendo le prove per un nuovo spettacolo comico: era tremendamente serio. La concezione dell’uomo qualunque al potere affonda le sue radici nel lontano 1944, quando il commediografo Guglielmo Giannini fondò il Fronte dell’uomo qualunque. Il movimento di Giannini si basava sull’antipolitica, sul populismo di destra e quel trasversalismo che poteva essere tradotto con una totale assenza di ideologie. In pratica, era il padre naturale del M5S. La fine di questo progetto venne decretata quando fece un’alleanza con il Blocco nazionale, una coalizione di centrodestra, esponendosi politicamente come ha fatto oggi il M5S in seguito all’alleanza con la Lega.
In un affresco del genere, la parola “politico” diviene inevitabilmente un insulto, ed è la stessa Taverna a dimostrare questa tesi. Quando gli abitanti di Tor Sapienza hanno manifestato contro l’apertura di un centro migranti nel quartiere, il M5S ha mandato Taverna in avanscoperta. Di fronte alle contestazioni, lei ha rispolverato l’animo coatto, con tanto di ditino alzato, urlando: “Te risulta che io da Quarticciolo so’ venuta a fa’ politica per i cazzi mia?” Per poi alimentare l’impeto melodrammatico e lanciarsi in affermazioni che, dette da un esponente del primo partito d’Italia, fanno molto ridere: “Io so la gente de Quarticciolo, io nun so politico! Tu nun te poi permette de chiamamme politico!”
È il cortocircuito generato da chi è allergico alle istituzioni ma fa parte di esse. La stessa Taverna, in uno status su Facebook, ha scritto: “Non si ferma la storia e la storia è fatta di rivoluzioni democratiche o meno. A voi la scelta. Noi siamo pronti a tutto. Io sono pronta a tutto.” La nemmeno troppo velata minaccia è preoccupante, soprattutto per quel “democratiche o meno”. Quando poi però è giunto il momento di diventare i paladini della Costituzione, con il solo scopo di defenestrare il governo Renzi, i grillini si sono riscoperti alfieri della democrazia e fini costituzionalisti. Salvo essere smascherati alla prova dei fatti, almeno per quanto riguarda Paola Taverna. Durante una puntata di Otto e mezzo, Marco Damilano ha impugnato una dichiarazione di Grillo sulla scarsa conoscenza della Costituzione da parte degli italiani, cercando di capire se i rappresentanti politici avessero una preparazione migliore. Ha quindi chiesto a Taverna quale fosse l’articolo in cui si parla di libertà di stampa, l’Articolo 21. Lei ha risposto: “Mi sta facendo un esame?” per poi ammettere di non sapere la risposta. Per la cronaca, per Grillo, chi non avesse avuto sufficiente conoscenza della Carta, non avrebbe nemmeno dovuto avere il diritto di voto. A quanto pare però, è lecito che presieda il Senato.
Ma è sul palco che la ruspante Taverna offre il meglio di sé. Durante la scorsa campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Roma, ha messo in piedi uno spettacolo di imprecazioni degno di un personaggio da cinepanettone, roba da far impallidire “Er Cipolla”. Dal monologo di Molly Bloom a quello di Paola Taverna il passo è breve: parlando dei problemi di Roma, si è infervorata fino a esclamare (rivolta non si sa bene a chi): “Ma va a mori’ ammazzato, me stai a rompe li cojoni.” Era forse un intercalare, una licenza poetica. O forse il sintomo di una nuova classe politica rustica e caciarona, quando in realtà non ci si improvvisa politici, e la Taverna è l’esempio lampante dell’ascesa senza formazione.
Quando il M5S stava trattando con il Pd per la formazione di un governo, prima dell’accordo con la Lega, Taverna è stata incalzata su alcuni insulti da lei scagliati in passato verso il partito avversario. Nel 2015, ad esempio, aveva detto, rivolta agli esponenti del Pd: “Mafiosi, schifosi, siete delle merde, ve ne dovete annà, dovete morì.” La duchessa di Quarticciolo ha quindi smorzato i toni, dichiarando: “Oggi è un altro momento e al Pd stiamo proponendo un contratto, non mi ci devo fidanzare.” Dopo la trovata dell’obbligo flessibile, va di moda anche l’ideologia flessibile. Come direbbe il popolo della Taverna: ‘ndo cojo cojo. Anche questo è lo specchio dell’antipolitica: la frammentazione degli ideali fino alla loro distruzione, in un’epoca in cui conta più seguire l’andamento della pancia del popolo che le necessità di un Paese.
Memorabile e surreale anche lo spot del 2015, in cui il M5S auspicava l’uscita dall’euro, mostrando una Taverna sorridente che trasforma una moneta da un euro in una banconota da mille lire, dicendo: “Il M5S sta realizzando il tuo sogno, uscire dall’euro è possibile.” Senza voler considerare la qualità dello spot, girato probabilmente da un Renè Ferretti sotto acidi, risulta comica anche solo la giravolta dei grillini, che adesso giurano e spergiurano di non aver mai detto di voler abbandonare l’eurozona.
Nell’ultimo periodo la Taverna è balzata agli onori della cronaca per la vicenda relativa a sua madre, che ancora abita in un alloggio popolare pur non avendone diritto, poiché possiede altri immobili. Il 6 marzo le è stato chiesto ufficialmente di liberare la casa, e il 14 giugno – non avendolo fatto ha ricevuto un decreto di rilascio dell’immobile. A riguardo, la Taverna ha dichiarato: “Ha adito le vie legali perché ritiene di averne diritto. Credo che mia madre a 80 anni abbia tutto il diritto di desiderare di morire nella stessa casa nella quale è vissuta.” Questo rientra nella solita retorica grillina, distante dall’abbecedario delle leggi. Se la madre della Taverna risulta comproprietaria di altri immobili, e la figlia ha guadagnato grosse somme, prima come senatrice, adesso come vicepresidente del Senato, è lapalissiana l’incongruenza nell’occupazione di una casa popolare che spetterebbe a persone meno abbienti.
D’altronde, il M5S è quel mondo fatato dove Di Battista può permettersi di parlare con boria di macroeconomia, senza alcuna competenza in materia e dove Castelli e Sibilia occupano posizioni di rilievo mentre la prima non ha ancora capito cosa pensa dell’euro e il secondo usa Gianna Nannini come guida alla riflessione socio-politica. È l’ideale del “Fanno tutti schifo, quindi ci proviamo noi, senza avere i giusti strumenti ma con tanta onestà.” Quando rompiamo l’automobile, può capitare di trovare un meccanico truffaldino. Magari anche il secondo ci fa la cresta sul prezzo. Non per questo ci rivolgiamo a un panettiere o a un dentista, con la pretesa di radere al suolo l’intera categoria dei meccanici. I grillini sono invece un coacervo di panettieri e dentisti, con la Taverna in prima linea come prototipo perfetto, mentre l’automobile Italia avrebbe soltanto bisogno di un meccanico capace.
Taverna non ha colpe se è diventata vicepresidente del Senato, rientra nel meccanismo perverso della democrazia diretta esasperata fino a smembrare il ruolo del politico e della politica. D’altronde, Davide Casaleggio ha detto che “In futuro forse il Parlamento sarà inutile,” quindi non c’è da stupirsi se le istituzioni diventano sempre di più il luogo di ritrovo di chi un tempo si limitava a strombazzare i suoi populismi nei bar di paese. È l’era politica di Paola Taverna, simbolo di un bug del sistema.