Tutti i partiti, anche quando non lo dichiarano, hanno un blocco sociale di riferimento verso cui rivolgono un’attenzione particolare. Come noto, il blocco di riferimento storico della Lega è composto da imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi con un reddito alto, quelli che più sarebbero favoriti dalla flat tax. Queste categorie inoltre – lo dicono le statistiche ufficiali del governo – soffrono in alta percentuale di forti amnesie al momento di compilare la dichiarazione dei redditi. Per tutti gli sbadati, la Lega ha pensato a un bel condono che permetterà loro, versando una piccola somma, di chiudere i contenziosi con il fisco. L’hanno chiamata pace fiscale, ma non è altro che la resa dello Stato a chi da anni si rifiuta di versare quanto dovuto, rendendo l’Italia uno dei Paesi più indebitati d’Europa e del mondo.
Secondo l’ultimo rapporto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 2017, nel periodo 2012-2014 sono sfuggiti al fisco oltre 107 miliardi di euro all’anno. Sono numeri così grandi che è difficile capire di quanti soldi si tratti in concreto. Facciamo qualche esempio: gli 80 euro in busta paga ai lavoratori dipendenti più poveri distribuiti dal governo Renzi – la sua misura più popolare – costano circa nove miliardi l’anno; il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle, nella sua versione originale, costa circa 30-35 miliardi; tutta l’istruzione scolastica, 46 miliardi l’anno.
Secondo le stime del ministero dell’Economia, la differenza tra il potenziale gettito fiscale italiano, se tutti dichiarassero il vero, e quello effettivamente raccolto dai maggiori enti tributari nazionali, denominato tax gap, è in media del 23,5%. Considerando esclusivamente il lavoro autonomo e l’impresa (Irpef, Ires, Iva e Irap), la propensione media al gap è sensibilmente più elevata e pari al 34,3%. In particolare, per la sola Irpef versata da lavoro autonomo e imprese, il tax gap vola al 66,6%. Vuol dire che manca all’appello più della metà di quanto dovuto.
La Lega, che è populista con la pancia e alto-borghese con il portafoglio, sa bene che il fisco è una bella rogna per il suo blocco sociale di riferimento, quello di cui fa gli interessi a dispetto delle roboanti dichiarazioni sul popolo italiano che va difeso prima degli immigrati. Per questo, insieme alla flat tax, ha piazzato nel contratto di governo una misura denominata pudicamente “pace fiscale”, che avrebbe dovuto permettere ai poveri piccoli imprenditori strozzati dalla crisi di rientrare nella legalità. Cito dal programma di governo: “È opportuno instaurare una ‘pace fiscale’ con i contribuenti per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica. Esclusa ogni finalità condonistica, la misura può diventare un efficace aiuto ai cittadini in difficoltà ed il primo passo verso una ‘riscossione amica’ dei contribuenti.”
Nelle dichiarazioni iniziali, si parlava della possibilità di chiudere i contenziosi con il fisco versando una quota tra il 6% e il 25% di quanto dovuto con un tetto massimo di 100-200mila euro. Già così era un condono, anche se la chiamavano pace fiscale, ma era solo il primo passo. I 200mila euro di tetto sono prima lievitati a cinque milioni e poi si sono nuovamente ridotti a un milione. Difficile definire come “piccolo imprenditore in difficoltà ” chi riesce ad accumulare contenziosi con il fisco fino alla notevole cifra di un milione di euro. Il sottosegretario Massimo Bitonci (dottore commercialista) ha dichiarato che sarà previsto inoltre un nuovo meccanismo per il rientro di capitali dall’estero e che, soprattutto, si punta a una pace “più ampia possibile”. Potrebbe infatti prevedere, ma siamo ancora alle ipotesi, la possibilità che il versamento della quota blocchi futuri accertamenti. Spiegato meglio: mi contestano 20mila euro di evasione, io ne pago duemila e la Guardia di Finanza non può più mettere le mani nelle mie cartelle fiscali, magari per scoprire che stavo evadendo molto di più di quanto scoperto fino ad allora.
Sarebbe cioè un condono tombale, come quello approvato l’ultima volta nel 2002. Anche allora al governo insieme a Berlusconi c’era la Lega. l ministro dell’Economia era Giulio Tremonti che, nella sua vita precedente di editorialista del Corriere della Sera, scriveva che “In Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni. Ma mutando i fattori il prodotto non cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge.” Poi deve aver cambiato idea visto che, da ministro, ha approvato il condono.
C’è un aneddoto che racconta meglio di molte teorie quello che non funziona nei condoni. Nel 2002 dovevano entrare nelle casse dello Stato 26 miliardi. Un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano scoprì però che anni dopo all’appello ne mancavano ancora cinque, poi ridotti a tre e mezzo. In altre parole: chi aveva aderito al condono aveva evaso pure le (misere) sanzioni. E questo è inevitabile: ogni condono, che sia edilizio o fiscale, rinforza nel cittadino l’idea che essere corretti non paga, tanto ci sarà sempre una sanatoria. L’evasione cresce, la tentazione di un nuovo condono sale. In una catena infinita.
Per chi ha i soldi ed è abbastanza disonesto da nasconderli al fisco, in Italia con la Lega la pacchia non finisce mai. Attento a monitorare ogni singolo movimento dei richiedenti asilo sul suolo italiano fino a rincorrere gli sbarcati dalla Diciotti in giro per la Penisola – senza poi poterli arrestare perché la legge glielo vieta – il ministro Matteo Salvini è stranamente più liberale quando si parla di soldi. Fosse per lui, ha dichiarato, non ci sarebbe nessun limite all’uso del contante. Cosa che per chi fa affari in nero sarebbe un sollievo non da poco. Comprese le organizzazioni criminali mafiose che tanto dichiara di detestare.
D’altronde, per farsi venire qualche sospetto sulle reali intenzioni del partito, basterebbe dire che uno dei padri rei confessi di questo nuovo condono è Armando Siri, uno che nelle interviste parla di “Pace fiscale per i più deboli” e che, come racconta L’Espresso, nella fedina penale ha una condanna patteggiata per bancarotta fraudolenta. Secondo i giudici la società è stata svuotata prima del crac, i soldi trasferiti all’estero, nel Delaware. Il curriculum adatto per siglare la pace per i contribuenti dello Stato.