Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno spiegato per anni come sarebbe stato il loro modello di Paese se fossero saliti insieme al potere, nonostante entrambi siano già stati ministri in precedenti (e disastrose) esperienze. L’hanno plasmato prendendo spunto da alcune nazioni straniere, mettendo nel carniere tutti gli ingredienti tipici della loro visione politica: sovranismo, conservatorismo e nazionalismo su tutti. Il loro pigmalione è stato Viktor Orbán, leader del partito Fidesz e Primo ministro dell’Ungheria dal 2010. È più volte venuto in Italia a trovarli, li ha lodati, e loro hanno fatto altrettanto, dipingendo il modello Ungheria come l’eldorado della civiltà.
Ora che il loro momento, con molta probabilità, sta per arrivare, Salvini e Meloni devono affrontare una realtà impossibile da omettere: per il Parlamento Europeo l’Ungheria “non può più essere considerata una democrazia”.
De facto non lo era più già da dodici anni, da quando Orbán ha iniziato a smantellare tutti i valori fondanti di una democrazia, ma adesso c’è stata una votazione a sancirlo. Il rapporto approvato ieri dal Parlamento Europeo con 433 voti favorevoli, 123 contrari e 28 astensioni definisce l’Ungheria “un’autocrazia elettorale” in contrasto con i principi dell’Unione Europea. A dichiararsi contrari sono stati i gruppi Identity and Democracy (sovranisti ed estremisti di destra) ed European Conservatives and Reformists Group (conservatori, euroscettici ed altri destrorsi). Non è una sorpresa, ma nel primo gruppo rientra la Lega e nel secondo Fratelli d’Italia, che si sono quindi opposti al report contro l’Ungheria.
Il risultato della votazione mette inevitabilmente pressione al Consiglio Europeo, chiedendo fermezza sull’unica decisione che può essere presa. Infatti, a livello giuridico, non si può espellere uno Stato membro dall’Unione Europea ma, secondo il Trattato di Lisbona del 2007, può essere sospeso in caso di gravi violazioni del Trattato sull’Unione Europea. In particolare ci si concentra sull’articolo 2, riferito a “il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. Ovvero violazioni che l’Ungheria ha perpetrato nel tempo. Nel caso attuale, il Parlamento ha anche raccomandato la sospensione dei fondi stanziati per la ripresa dell’Ungheria “finché il Paese non si allineerà alle raccomandazione dell’UE e alle decisioni della giustizia comunitaria”.
Le reazioni dei suoi delfini politici italiani non si sono fatte attendere. Matteo Salvini, con invidiabile nonchalance e il solito benaltrismo, ha commentato: “Mi occupo di Italia e vorrei salvare i posti di lavoro in Italia. Lascio ad altri occuparsi di Ungheria, Turchia, Russia o Cina”. Risposta ipocrita, visto che giusto poche settimane fa lo stesso Salvini si occupava eccome di Ungheria, dichiarando in piena campagna elettorale: “Sulla famiglia il mio modello è quello dell’Ungheria”. Ovvero il modello dei diritti negati, dell’antiabortismo sfrenato e persino delle donne accusate di essere colpevoli del calo delle nascite, perché “sono in troppe a laurearsi”. Considerando le politiche sull’aborto applicate dalla destra in regioni come Marche e Umbria, non possiamo neanche dire che “ci attendono anni bui”, perché sono già in atto nei luoghi governati da esponenti dei loro partiti.
La reazione di Fratelli d’Italia è stata altrettanto bizzarra. Il partito ha diramato una nota ufficiale che recita, tra gli altri passaggi di disappunto: “Riteniamo che un prerequisito di tale rapporto dovrebbe essere l’obiettività, l’uso di criteri chiari e la stretta aderenza ai fatti, ma ciò ancora una volta non è accaduto. Infatti la relazione si basa su opinioni soggettive e affermazioni politicamente distorte”. I fatti che Fratelli d’Italia finge di non vedere sono in realtà sotto gli occhi di tutti, tra leggi anti-Lgbtq (già condannate lo scorso luglio dal Parlamento Europeo), corruzione, censura e limitazioni alla libertà d’espressione e al pluralismo dei media, atti discriminatori contro migranti e richiedenti asilo e modifiche alla costituzione ad personam, garantendo a Orbán i pieni poteri. Forse il partito di Meloni le considera normali azioni politiche, legittimando i soprusi e l’ostruzionismo. D’altronde non possiamo aspettarci altro da una leader che dichiara, riguardo l’aborto, di “non voler togliere diritti ma di aggiungerne, come il diritto per le donne di non farlo”. Il diritto di non abortire è una novità abbastanza eccentrica, non esistendo alcuna legge che impedisca il parto. È come se domani Meloni si svegliasse e dichiarasse: “Non vogliamo togliere diritti agli omosessuali, ma aggiungerne, come il diritto di diventare eterosessuali”.
Sono idee strettamente legate alla politica ungherese. Pochi giorni fa, infatti, il governo di Orbán ha approvato una norma che obbliga i medici a far ascoltare alle donne desiderose di abortire “il battito del cuore del feto”. Una pratica che forse a qualcuno può sembrare distante dalla nostra realtà, e invece non è così. Sono stati denunciati in Umbria, Marche e Abruzzo episodi analoghi a quelli diventati obbligatori in Ungheria, per quelle che sono delle vere e proprie pratiche costrittive che ostacolano il diritto all’interruzione di gravidanza. Il Ministero della Salute sta valutando delle ispezioni nelle regioni menzionate. Il fatto inquietante è che tutto ciò stia avvenendo prima ancora del 25 settembre, quando la destra probabilmente prenderà il potere e potrà completare la sua opera di ungherizzazione dell’Italia.
Ricordiamoci che quando parliamo di Orbán ci rifacciamo a una persona che questa stessa estate ha dichiarato di “non voler diventare una razza mista”. Un amarcord nero che fa tanto 1938 e che l’Europa non avrebbe mai voluto rivivere. L’Ungheria è un corpo estraneo nell’UE non per chissà quale complotto anti-sovranista, ma perché lei stessa, con uscite del genere e con tutte le violazioni ai diritti più basilari, si è emancipata, restando aggrappata al suo utile carrozzone solo per i fondi che negli anni sono arrivati da Bruxelles. Il fatto di non poter essere espulso dall’UE pone Orbán nelle condizioni di poter ricattare gli altri Stati membri, in una situazione analoga a quella di Erdogan con la NATO, che usa l’arma dei migranti per minacciare l’organizzazione, e chissà quanti curdi l’Occidente sarà disposto a sacrificare per le pretese del leader turco. Orbán agisce pedissequamente ricalcando le orme di Erdogan, pur avendo meno potere economico e politico. Eppure da anni c’è una fascinazione della destra italiana nei confronti di questo autocrate. Ed è anche inutile la presa di posizione di Silvio Berlusconi, che ha dichiarato di tirarsi fuori dalla coalizione di centrodestra se Meloni e Salvini dovessero scalfire la stabilità europea. Qualche anno fa, a una precisa domanda sulla politica italiana, Orbán rispose: “Sono un uomo vecchio stile, leale, in Italia il mio amico è Silvio Berlusconi”.
Non sono astrattismi i punti di congiunzione tra la nostra destra e la politica di Orbán, e vale per tutti i campi. A livello economico la proposta di Salvini sulla Flat tax al 15% è stata attuata in Ungheria già nel 2011. Risultato: sono stati favoriti i ceti medio-alti e distrutti quelli inferiori, aumentando a dismisura la fascia dei lavoratori che guadagnano meno della metà del minimo salariale. Ovviamente un altro punto in comune è la propaganda sull’immigrazione, con un nemico in comune: George Soros. Orbán ha chiuso i suoi uffici a Budapest, con Meloni che già nel 2018 chiedeva una “legge anti-Soros” anche in Italia. Se la nostra futura premier parla, impropriamente, di blocco navale, Orbán, non avendo il mare, si è attrezzato costruendo barriere di filo spinato lungo i confini con Serbia e Croazia e ha legiferato contro le ong. Sui diritti civili le similitudini sono altrettanto preoccupanti, con il governo ungherese che, attraverso diversi provvedimenti, ha impedito alle coppie non sposate, senza figli o omosessuali di avere gli stessi diritti delle coppie sposate con figli, negando loro anche la definizione di “famiglia”. Anche da noi la famiglia deve essere “tradizionale”. Quella degli altri, però, non quella dei tre leader del centrodestra.
Quando in questi anni abbiamo assistito alle partecipazioni di Orbán ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, abbracciando Meloni, o ai selfie con Salvini, abbiamo probabilmente pensato a una farsa folcloristica tra politici retrogradi e anacronistici. Forse non li abbiamo nemmeno presi troppo sul serio. Adesso, con la destra – quella più estrema – alle porte e un’Ungheria di fatto sfiduciata dal Parlamento Europeo, ci rendiamo conto che il nostro Paese è in pericolo, con il rischio che vengano anche qui smembrati i fondamenti di un sistema democratico e civile. Non è più una messinscena tra sovranisti ai margini dell’Europa. Riguarda noi, un futuro che è dietro l’angolo. D’altronde basta ribaltare di qualche grado la bandiera dell’Ungheria per ottenere quella italiana.