A chi gli chiedeva se Possibile avrebbe mai potuto allearsi con il Partito Democratico guidato da Nicola Zingaretti, Giuseppe Civati ha risposto: “È un problema che nemmeno si pone”. Sulla stessa posizione si trovano anche Potere al Popolo, che il giorno delle primarie del Pd ha attaccato pesantemente il segretario neoeletto, e il Partito Comunista di Marco Rizzo, che per bocca della sua testata La Riscossa ha definito Zingaretti “un grande bluff” e “un nemico dei lavoratori”. Pur essendo tra loro molto lontane, tutte le formazioni politiche a sinistra del Pd sono concordi sul fatto che non sia nemmeno pensabile provare a instaurare un dialogo con l’unico partito del centrosinistra italiano che, piaccia o no, raggiunge la doppia cifra alle elezioni.
Per le elezioni politiche del 2018 erano complessivamente diciotto le liste collocate a sinistra del Pd, tutte con programmi molto simili tra loro: per esempio il Pc di Rizzo, Potere al Popolo, Stefano Fassina di Sinistra Italiana e Paolo Ferrero segretario di Rifondazione Comunista, pur essendo concordi sulla maggior parte delle questioni economiche, come quella di chiedere una rinegoziazione del debito pubblico, non considerano l’idea di allearsi in una coalizione. Più che sui contenuti, la divisione della sinistra italiana è il risultato di una serie di personalismi e tatticismi che si replica da decenni. Come nel caso della scissione da Rifondazione Comunista del Partito dei Comunisti Italiani (Pdci) fatta solo per tentare di salvare il primo Governo Prodi e per vecchie ruggini fra Armando Cossutta e l’allora segretario Fausto Bertinotti. Gli attriti interni hanno portato a disgregarsi anche lo stesso Pdci con il litigio fra Oliviero Diliberto e Marco Rizzo che, una volta fuoriuscito, ha fondato nel 2012 il Pc.
Le dichiarazioni contro Nicola Zingaretti sono solo l’ultima dimostrazione di un atteggiamento sempre più insostenibile del mondo della sinistra italiana: il frazionismo. Già nel 2010 Corrado Guzzanti, nei panni dell’ex segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti, ironizzava sulla tendenza dei partiti di questo schieramento politico a dividersi continuamente, annunciando la nuova strategia dello ”scindersi anche se la si pensa allo stesso modo” contro quella dell’“uniti nella diversità” del Pd. A distanza di quasi dieci anni, quello sketch lascia ancora di più l’amaro in bocca, perché è seguendo questa tattica che la sinistra si è oggi relegata a ruolo di spettatrice della scena politica italiana.
È scegliendo la via della scissione che astri nascenti come Pippo Civati, Nicola Frantoianni e Roberto Speranza si sono condannati a un’irrilevanza elettorale resa ancora più grave dall’avanzata in tutta Europa delle destre xenofobe, ben rappresentata in Italia dalla Lega. Se infatti è vero che il Pd in questi anni ha abbandonato molti temi sociali e narrazioni popolari proprie della sinistra, sorge spontaneo chiedersi cosa abbia fatto chi era alla sua sinistra, per evitare che ciò accadesse o per raccoglierne l’eredità. In tutti questi anni gli oppositori della corrente liberista del Pd hanno preferito all’opposizione interna delle scissioni che hanno portato alla nascita di schieramenti le cui percentuali elettorali non superano la soglia dell’un per cento.
La febbre da scissione non è iniziata oggi, ma è diventata sempre più evidente negli ultimi 30 anni che, dopo lo scioglimento del Partito Comunista Italiano, hanno visto la nascita del Partito Democratico di Sinistra (uno degli antenati del Pd) e di Rifondazione Comunista, da cui sarebbero poi nate tante, sempre più microscopiche, formazioni politiche in continua gara fra loro per occupare il posto idealmente più a sinistra dello schieramento. Se uno schema simile è stato in qualche modo sostenibile negli anni del berlusconismo e del bipolarismo, l’ascesa del Movimento 5 Stelle e delle destre sociali impone oggi alla sinistra un deciso cambio di rotta per continuare a contare qualcosa a livello elettorale. Se il Pd sembra essersene reso conto dando un segnale con l’elezione a segretario di Zingaretti, questa realtà non sembra scalfire minimamente le certezze degli intransigenti all’interno e a sinistra del partito. Eppure, per capire che dividersi e insultarsi a vicenda porta acqua unicamente al mulino della destra, basterebbe guardare al fatto che l’unico telegiornale in cui appare Marco Rizzo, segretario del pluriscisso Pc, è il Tg2 sovranista di Gennaro Sangiuliano, ben felice di ospitare le sparate a zero del segretario di un Partito Comunista che con il suo 0,32% non fa certo paura alla destra. Le accuse di Rizzo sono quasi sempre un fuoco amico verso tutti i suoi vicini di schieramento come il Pd, bocciato senza appello perché neoliberista, o i sindaci come Leoluca Orlando e Luigi De Magistris che si sono ribellati in questi mesi al Decreto Sicurezza di Matteo Salvini e la cui protesta è stata definita “fuffa di pseudosinistra”. Tutti assist per i sovranisti nostrani sicuramente ben felici di sponsorizzare chi nell’altro campo semina divisione e disorienta l’elettorato. Si tratta della replica dello stesso schema che vedeva l’allora segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti ospite fisso a Porta a Porta, dove non si aspettavano altro che le sue bordate contro le politiche del centrosinistra. Bordate che nel corso degli anni non hanno prodotto alcun effetto se non aumentare il consenso di Silvio Berlusconi e allontanare sempre più elettori dai partiti di centrosinistra, stanchi delle continue liti tra i suoi rappresentanti.
L’ultimo esempio di quanto le vicende interne nei partiti di una certa sinistra siano sempre più surreali è stato dato dalla fuoriuscita della componente di Rifondazione Comunista da Potere al Popolo. Una decisione che ha fatto infuriare i suoi elettori, costretti a vedere un partito dato al 2% scindersi invece di cercare alleanze con altre forze politiche per cercare di avere un maggior peso nel proprio schieramento e nel Paese. Eppure, proprio la nuova segreteria di Nicola Zingaretti dovrebbe essere raccolta come segno di un possibile dialogo da parte della sinistra che, se non vuole assumersi la responsabilità di riconsegnare il più grande partito progressista italiano nelle mani dei liberaldemocratici, ha il dovere di dialogare con il governatore del Lazio. Le posizioni dei vari Pap, Possibile e Pc sarebbero probabilmente bollate come scempiaggini da Vladimir Lenin, che nel suo Estremismo: malattia infantile del comunismo del 1920 definiva così il comportamento dei “sinistri” tedeschi che non volevano entrare nei sindacati reazionari per il timore di perdere la loro purezza ideologica. Forse anche oggi, per i nostri “rivoluzionari” varrebbe la pena dare ascolto alle parole di uno che, alla fine, la rivoluzione l’ha fatta davvero.
Foto in copertina di Alessandra Benedetti