Stiamo assistendo alla normalizzazione della estrema destra al potere. E non battiamo ciglio. - THE VISION
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La mia generazione, quella dei trentenni alla ricerca di se stessi e di un posto nel mondo, ha trascorso tutta l’esistenza a chiedersi come fosse possibile avere come rappresentati politici certi personaggi. In quanto “nativi berlusconiani”, abbiamo assistito agli sbeffeggiamenti dall’estero per aver avuto un premier del genere. La nostra stessa incredulità iniziale si è trasformata in una sorta di accettazione di un evento teoricamente inconcepibile che è però diventato prassi: Berlusconi al potere non più come anomalia, ma come normalità. Eppure, se vent’anni fa mi avessero detto che un giorno avremmo avuto al potere un partito neofascista con la fiamma tricolore nel simbolo, avrei stentato a crederci. Mi sarebbe sembrato un evento ancora più inverosimile di un membro della P2 circondato da personaggi a contatto con ambienti mafiosi come leader del mio Paese, eppure è successo, e a quasi un anno dall’insediamento del governo Meloni, sembra che quel processo di normalizzazione si sia ripetuto anche con quest’ultima, forse in modo ancora più rapido e pericoloso.

Silvio Berlusconi

Al termine della seconda guerra mondiale, diversi fascisti che avevano partecipato in modo attivo al regime mussoliniano iniziarono a nascondersi vivendo in clandestinità: tra questi c’era Giorgio Almirante. Quando fondò il Movimento Sociale Italiano, nel 1946, fu lasciato – giustamente – ai margini della vita politica, con il suo partito che in seguito non partecipò alla scrittura della Costituzione. Con gli anni, però, cercò di ripulirsi l’immagine, e un trentennio dopo riuscì parzialmente anche ad aver voce in capitolo sulle vicende politiche del Paese, pur restando inconcepibile l’idea che ci fosse una sua creatura al potere. I figli e nipoti di quei fascisti costretti a nascondersi dopo il crollo del regime furono definitivamente riabilitati da Silvio Berlusconi, che dichiarò senza fronzoli di essere stato lui ad aver portato al governo i fascisti. Li chiamò proprio così: fascisti. Si riferiva ai La Russa e alle Santanchè, ai membri di Alleanza Nazionale che, sotto la guida di Gianfranco Fini, in quegli anni tutto sommato tenevano ancora le penne abbassate. Fini, però, ripudiò il fascismo, definendolo il male assoluto, gli ex missini seguivano i dettami di Berlusconi e, in generale, non rispolveravano motti nostalgici in pubblico, quantomeno cercando di non palesare del tutto le loro simpatie per il Ventennio, seppur evidenti. Non dovevano più nascondersi, sì, ma nemmeno esporsi troppo, anche perché gli altri alleati di destra dell’epoca, i leghisti del periodo bossiano, detestavano i fascisti allo stesso modo dei meridionali. Con il disfacimento di AN, quasi tutti gli ex missini sono salpati sulla nave di Fratelli d’Italia e Meloni, in pochi anni, ha trasformato la clandestinità di un pensiero a tutti gli effetti criminale in un’azione politica esposta alla luce del sole e dei riflettori.

Daniela Santanchè
Ignazio La Russa

Purtroppo è un fenomeno che non è avvenuto soltanto in Italia. Il vento dell’estrema destra soffia in tutto il mondo, anche nei Paesi più insospettabili. Noi non abbiamo mai avuto un processo di Norimberga, la Germania sì. Per decenni i tedeschi hanno coltivato il sentimento della vergogna usandolo anche come leva per rinascere e qualsiasi riferimento al nazismo veniva bandito sotto ogni forma. In questi giorni sono venute a galla vecchie vicende riguardanti Hubert Aiwanger, vicepremier e ministro della Difesa bavarese: volantini nazisti con frasi antisemite come “Vinci un volo dentro le ciminiere di Auschwitz”. In altri tempi, nella Germania che lottava per debellare anche solo il ricordo di certi tempi oscuri, Aiwanger sarebbe stato silurato e consegnato al pubblico ludibrio. Oggi, invece, il suo partito Freien Waehler ha guadagnato quattro punti nei sondaggi in vista delle elezioni di ottobre.

A livello globale, secondo il politologo olandese Cas Mudde questa è la quarta ondata di quella che definisce l’ultradestra, che ha iniziato a germogliare all’inizio del millennio per poi farsi sempre più strada negli ultimi anni. Rispetto alle altre ondate, questa si caratterizza per l’istituzionalizzazione di certe realtà politiche che in passato erano marginalizzate e non influenzavano in modo così netto il dibattito pubblico. Questo è avvenuto anche in seguito a una diversa impostazione culturale, partita anche dai media e veicolata attraverso l’uso di nuove piattaforme, come i social network. Restando all’Italia, per esempio, tra i media nessuno definisce Fratelli d’Italia un partito di estrema destra (al contrario dell’estero, dove far right è il termine che gli viene comunemente attribuito). Dato che i nostri giornali, le televisioni e il web martellano i cittadini associandolo a un semplice partito conservatore, manco fosse l’ala più a destra della Democrazia Cristiana, i cittadini assorbono questa etichetta più tranquillizzante e la accettano. In realtà, però, i programmi politici di Meloni, e persino di Salvini, non sono tanto distanti da quelli di CasaPound, solo che la percezione di massa ha legittimato le loro proposte facendole rientrare in modo canonico nell’arco costituzionale, nonostante siano basate spesso su odio e discriminazione verso le minoranze. In tal modo ci si è abituati a un’immagine dell’estrema destra camuffata da realtà liberale, per poi giungere all’assuefazione e a non accorgersi più dei pilastri su cui poggiano le ideologie di questi partiti, ovvero le ceneri del sogno littorio proiettate nel terzo millennio.

Matteo Salvini

La normalizzazione va a braccetto con la mancanza di indignazione. Di recente ho letto una frase di Marco Paolini – tratta da uno spettacolo dedicato a un tema tornato in auge in questi giorni, “La strage di Ustica”, che recita: “A noi italiani l’indignazione dura meno dell’orgasmo. E dopo viene sonno”. Se il sonno della ragione genera mostri, la breve durata dell’indignazione – e, aggiungerei, della memoria storica – comporta un lifting culturale, con gran parte della popolazione che accetta passivamente i pensieri inculcati dagli estremisti e li assimila come verità. Se il nuovo governo propaganda idee becere lasciandole passare come atti di buonsenso, termine usato e abusato da Salvini in primis, si ha la percezione che ci siano dei leader forti che proteggono i cittadini, sostanzialmente da nemici immaginari e da narrazioni create ad hoc per innalzare il loro potere incondizionato.

Così cianciano frasi sul blocco navale e lasciano intendere che la lotta al migrante sia un vantaggio per la condizione economica e sociale del cittadino italiano, quando ovviamente non è così. Legiferano aggrappandosi ai condoni con frasi sui poveri artigiani tartassati dalle tasse, quando in realtà sono favori agli evasori che sconquassano ulteriormente le casse dello Stato. Fanno leva sul concetto di famiglia tradizionale come se le altre fossero realtà aliene dannose per la società, quando invece non intaccano in alcun modo le scelte degli altri individui e vorrebbero solo vedere i loro diritti rispettati. Trattano il tema dell’aborto lasciando credere di voler proteggere le donne, ma invece negano loro diritti conquistati decenni fa. Fingono che il cambiamento climatico non esista e che siano solo teorie da terrorismo mediatico, quando la scienza li smentisce. Cannibalizzano la RAI e gli enti pubblici con la scusa della pluralità contro il fantomatico “pensiero unico”, volendo in realtà diffondere solo il loro censurando gli altri. E se prevaricano il cittadino stesso contrastando le sue libertà, sono, per dirla come Arisa, “delle mamme severe che rimproverano i propri figli”. A partire dal lessico e dal modo in cui i media veicolano questi messaggi, tutto attecchisce su cittadini che ormai danno per assodato il ruolo istituzionale di chi ideologicamente e concretamente le istituzioni le calpesta.

Il discorso legato alla RAI è il paradigma di un’appropriazione del servizio pubblico e dei mezzi legati allo Stato. Allontanare le figure scomode, distanti dal pensiero caro alla destra, significa monopolizzare un ente pubblico e azzerarne il dibattito. Dopo i casi dei mesi scorsi – tra i più noti ricordiamo Fazio, Littizzetto e Saviano – si è aggiunto anche quello di Maurizio Mannoni, volto storico di Rai Tre con la trasmissione Linea Notte, che è stato accompagnato alla porta dalla RAI targata Meloni. Lui stesso ha dichiarato che un servizio pubblico così monocolore non si vedeva nemmeno ai tempi di Berlusconi, ed effettivamente stiamo assistendo alla costruzione di una televisione pubblica non più voce dello Stato e dei cittadini, ma della maggioranza di governo. In tal modo, i messaggi vengono veicolati secondo le direttive della destra, le critiche ammorbidite o evitate, le azioni di governo pompate all’inverosimile creando uno scenario che non trova riscontro effettivo nella realtà. La timidezza delle opposizioni sul tema RAI ha di fatto consegnato alla destra il potere di muoversi incontrastata, orientando l’opinione pubblica a suo piacimento.

Maurizio Mannoni

Lo spostamento del mondo a destra, però, non significa automaticamente che i cittadini siano contenti dei loro governanti. Anzi, secondo una ricerca dell’European Values Studies, solo un terzo degli europei pensa che il proprio Paese sia governato democraticamente, e soltanto il 20% è soddisfatto dal funzionamento del sistema politico. Anche in Italia la luna di miele con il governo Meloni sembra stia già finendo, con i giudizi negativi sul suo operato che superano quelli positivi. L’aumento degli sbarchi, la mancata promessa sulle accise della benzina, il caro prezzi, le affermazioni del compagno, il giornalista Andrea Giambruno, che ha rilasciato dichiarazioni pubbliche riconducibili al victim blaming. Stiamo parlando però della stessa Meloni che durante la campagna elettorale pubblicò sui social il video di uno stupro.

Andrea Giambruno

È strano parlare di qualcosa che non sarebbe dovuto succedere, ovvero l’estrema destra al potere, a un anno di distanza da una scelta democratica della popolazione italiano. Non stiamo però nella sfera della rosicata per la vittoria di un avversario politico: l’analisi è sulla tendenza a legittimare forme di espressione e di azioni politiche che in passato non avremmo nemmeno preso in considerazione. C’è sempre stato il tizio che diceva che “i gay non sono persone normali” e che “non esistono neri italiani”, solo che lo faceva dal bancone di un bar in periferia dopo qualche bicchiere di troppo, e le sue uscite non avevano un’eco mediatica tale da vendere centinaia di migliaia di copie. Il problema, infatti, è il normalizzare il cialtrone da bar e averlo come servitore dello Stato, militare o politico che sia. Non siamo diventati all’improvviso una popolazione di Vannacci, siamo gli stessi italiani di prima, che però vengono plasmati sul modello della forza politica predominante. Adesso è il modello dell’estrema destra, e lo sbaglio sta alla radice, ovvero l’aver lasciato che si diffondessero pensieri fascisti, razzisti e omofobi considerandoli opinioni legittime. A prescindere dalla differenza tra una discriminazione e un’opinione, o una falsità e un’opinione, a fregarci è stato il processo osmotico che rende gli italiani simili ai loro rappresentanti. Vent’anni fa, l’italiano medio voleva diventare Berlusconi, oggi vuole affondare i barconi dei migranti e impedire alle minoranze di avere accesso ai loro diritti fondamentali. Basterebbe solo accorgerci di aver legittimato il neofascismo e di essere governati da un partito di estrema destra. Esporre questa realtà senza edulcorare la pillola. Il giorno in cui il Bruno Vespa di turno accoglierà in studio Giorgia Meloni con la frase “abbiamo come ospite la prima premier di estrema destra della Storia repubblicana”, automaticamente crollerebbe la normalizzazione di ciò che è in realtà fuori dall’ordinario. Sapendo che questo probabilmente non avverrà mai, assumiamoci almeno le nostre responsabilità civili e sociali, altrimenti ci aspettano altri anni della peggiore delle destre.

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