
Quando l’altro giorno ho visto Giuseppe Conte avvicinarsi al Parlamento Europeo di Strasburgo insieme alla compagine grillina, mi sono interrogato su quale sua versione si sarebbe palesata. Il camaleontismo del leader del Movimento Cinque Stelle è imprevedibile: abbiamo il Conte sovranista, il Conte progressista, il Conte trumpiano, il Conte compagno, il Conte salviniano. Dopo poco ho capito di trovarmi davanti alla versione Conte figlio dei fiori. L’europarlamentare del M5S Danilo Della Valle, dopo un discorso sulla pace nel mondo simile a quello di una Miss Italia neoeletta, ha lasciato una bandiera della pace sul banco vuoto occupato precedentemente da Ursula von der Leyen. Durante il resto della seduta, i grillini hanno alzato cartelli contro la guerra e fatto un po’ di caciara. I colleghi europarlamentari si sono guardati un po’ straniti, soprattutto per un motivo: da quelle parti, e a Bruxelles, hanno visto per anni i grillini votare le peggiori porcate pro Putin.

Fuori dal parlamento, Conte in versione summer of love ha parlato con la stampa. “Non vogliamo l’Europa delle armi, vogliamo l’Europa della pace”. Una giornalista finlandese, che il nemico ce l’ha alle porte, gli ha chiesto timidamente il suo piano per avere una sicurezza europea senza le armi. Conte ha dunque risposto parlando di “dialogo e mediazione”. Come se in questi tre anni non c’avesse provato nessuno con Putin, da Erdogan al papa. La giornalista, schiena più dritta rispetto a molti suoi colleghi italiani, ha insistito chiedendogli un modo per negoziare con Putin. Il leader grillino ha dunque risposto: “Trump sta negoziando per noi a Riad”. Siamo dunque in buone mani.
Forse bisognerebbe accorgersi che l’Europa è sempre più ai margini nei negoziati proprio perché a prevalere è la prepotenza di Trump e Putin, e per tornare ad avere voce in capitolo è necessario ricostruire l’Europa dai pilastri di Ventotene, a costo di smarcarci da alleati che si sono dimostrati ben poco affidabili. E se per ottant’anni non siamo stati attaccati è stato grazie anche alla deterrenza, allo scudo di una Nato che ora si sta sbriciolando sotto l’arroganza trumpiana.

Il giorno dopo, al momento delle votazioni, non soltanto il M5S ha votato compatto contro il piano Rearm Europe – e fin qui nessuna sorpresa – ma anche contro la risoluzione sul sostegno UE all’Ucraina sulla sicurezza e l’assistenza. Su Rearm Europe si è spaccato anche il PD, con la confusione tra i voti favorevoli, chi si è astenuto e chi “c’aveva judo”. Gli altri socialisti europei hanno votato a favore. Così come i Verdi, ad eccezione degli italiani di AVS, che hanno dato voto contrario. Tralasciando le beghe secolari della sinistra italiana, e anche il fatto che il piano di von der Leyen sia tutto fuorché perfetto, in quanto sarebbe stata meglio una difesa comune invece di armare singolarmente i 27 Stati, il Movimento Cinque Stelle ha mostrato ancora una volta la sua vera natura. D’altronde anni di vicinanza con Russia Unita non si cancellano con un colpo di spugna.
Ciò che mi fa inorridire delle azioni grilline è soprattutto l’appropriazione culturale, etica e identitaria del termine “pace”. Quella che utopisticamente dovrebbe essere la parola più bella del mondo, è stata usata in questi tre anni dal M5S come sinonimo di resa – del popolo ucraino. Questo anche attraverso i suoi canali esterni (e nemmeno troppo), come la martellante propaganda degli Orsini, dei Travaglio e dei Di Battista, intenti a prendersi beffa di Kiev e a chiedere implicitamente di alzare bandiera bianca. Fosse stato per loro, Zelensky avrebbe dovuto consegnare il suo Paese a Putin dopo pochi giorni, e oggi l’Ucraina non esisterebbe più. Non hanno capito che se esiste ancora, e se può permettersi di sedersi a un tavolo per negoziare, è perché ha resistito per tre anni grazie alle armi occidentali. Io me li immagino i grillini dopo il 1943 a chiedere ai nostri partigiani di non usare i fucili contro i nazifascisti, magari criticandoli per non essere a un tavolo di “pace” con le SS.

Secondo questa stessa logica, c’è un altro termine che in questi tre anni è stato distorto: “guerrafondai”. Ormai è nel lessico comune l’uso e l’abuso di questa parola in contesti casuali, senza un’attinenza con la discussione in corso. È un guerrafondaio chi sostiene la resistenza ucraina, chi parla di deterrenza o di difesa comune, chi si oppone a criminali di guerra condannati dalla Corte Penale Internazionale, chi ha capito che senza cannoni non si possono mettere manco i fiori. È guerrafondaio un europeista, per i grillini. Loro che con un referendum volevano uscire dall’Europa e dell’euro. E, soprattutto, loro che in quel parlamento hanno seguito l’agenda di Putin, l’uomo più distante sulla faccia della Terra dalla bandiera della pace.
La storia dei rapporti tra il M5S e Russia Unita è molto complessa. Prima del 2014, sul blog di Beppe Grillo erano incessanti le critiche a Putin, considerato un assassino senza giri di parole. Poi qualcosa è cambiato: le visite all’ambasciata russa a Roma, le missioni di Di Battista e compagni alla Duma, i legami con i membri di Russia Unita, l’arrivo sul blog pentastellato dei post di Russia Today e Sputnik, tutti abilmente cancellati da Casaleggio jr. dopo la salita al governo del Movimento nel 2018. E in Europa le votazioni parlamentari sono state esplicite. Nel 2020, quattro anni prima della sua morte, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per indagare sull’avvelenamento di Alexei Navalny. Nonostante la stragrande maggioranza dei voti favorevoli del resto dei parlamentari, il M5S si è astenuto in massa. Lo stesso è avvenuto quando a Strasburgo è stata approvata a larga maggioranza una risoluzione sulla non legittimità del potere di Lukashenko in Bielorussia, fantoccio di Putin. Ancora una volta, il M5S si è astenuto – insieme ai Patrioti per l’Europa, gruppo composto da partiti anch’essi vicini a Russia Unita. E in questo caso si tratta di votazione recentissima, di questo gennaio.

Lo scorso settembre il M5S si è opposto a una risoluzione europea sugli aiuti militari all’Ucraina, con l’europarlamentare grillino Danilo Della Valle a parlare di una volontà degli Stati membri di bombardare la Russia e a ribadire la condanna a “ogni consegna di armi e supporto militare nel conflitto”. Inutile dire che negli anni, anche prima dell’invasione, hanno sempre votato in Europa contro le sanzioni alla Russia. In pratica è come se a Strasburgo e Bruxelles ci fossero stati Lavrov e Medvedev a votare al posto loro.
Proprio per questi precedenti, e per una vicinanza squallida con Russia Unita, non possiamo sorbirci la retorica del Movimento Cinque Stelle sulla pace, termine che non può essere associato al regime criminale di Putin e che non si raggiunge tramite bandiere e cartelli di facciata. Come se noi europeisti volessimo chissà quale guerra, e la narrazione di quella fazione è ormai diventata questa. Noi siamo i cattivi, osiamo difenderci e non a mani nude, ci opponiamo alla pressione che oggi giunge da Est e da Ovest. Loro sono i puri, gli immacolati della fu “onestà” e che oggi hanno il ramoscello d’ulivo in bocca proteggendo chi ha sventrato una nazione e non cessa di farlo. E così da anni dobbiamo sentire le filippiche della galassia grillina sulla spudoratezza di Kiev che ha osato difendersi e noi europei che li abbiamo persino aiutati a non soccombere.

La verità è che il Movimento Cinque Stelle, oltre ad aver rappresentato in Italia i lati peggiori del populismo e dell’incompetenza, è a livello internazionale una testa d’ariete di Putin per sfondare in Europa esattamente come la Lega o altri partiti europei che hanno ceduto alle sirene di Russia Unita. Protestassero sotto l’ambasciata russa mettendo sul marciapiede le bandiere della pace e chiedendo il cessate il fuoco in Ucraina. Troppo facile fare i bastian contrari nelle strutture della democrazia, protetti da una propaganda filoputiniana sempre più incessante. Almeno la smettessero con la pace “a targhe alterne”. Per gli avvelenamenti e i massacri russi chiudono gli occhi e votano seguendo il vento del Cremlino; per la resistenza di un popolo parte l’indignazione. Forse riconoscere i veri guerrafondai, ovvero chi invade una nazione, potrebbe essere il primo passo per uscire dall’ignominia.
