Dopo anni di proclami, di “Prima l’Italia” e “Prima gli italiani” come colonna portante di un’ideologia di dubbio spessore, era inevitabile che il sovranismo e la realtà giungessero a una collisione. Con la destra al gran completo al governo da più di un anno, ora assistiamo ai risultati. Quasi sbalorditi, Meloni e Salvini hanno ringhiato quando i tedeschi hanno minacciato di agire secondo il motto “Prima la Germania”, stesso modus operandi d’altronde dei francesi, degli austriaci, dei polacchi e, ovviamente, dell’Ungheria del loro amato Orbán. D’altronde sono quasi tutti figli dello stratega Steve Bannon, colui che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca al grido di America first e che ha ispirato anche Jair Bolsonaro. Ma per capire dove sia andata a infrangersi l’onda sovranista, basta ricordare la sorte toccata ai suoi protagonisti. Bannon e Trump sono stati arrestati, Bolsonaro è fuggito dal Brasile per non finire in carcere, Orbán ha trasformato l’Ungheria in un’autocrazia. Sul fronte italiano, Meloni e Salvini alla prova dei fatti sono rimasti imbrigliati nelle loro promesse e farneticazioni, isolando sempre di più l’Italia e trovandosi impreparati sul tema dell’immigrazione.
Senza girarci intorno, il termine sovranismo è uno stratagemma linguistico per non usare il più temuto nazionalismo, ma di fatto sono sinonimi. L’amor di patria viene sbandierato per aizzare i cittadini contro tutto ciò che provenga dall’esterno dei confini, che siano altri esseri umani o pensieri, soprattutto se anche solo vagamente progressisti. Così abbiamo avuto la restaurazione di una fobia, quella del Diverso, che ha indotto i politici di varie nazioni a progettare blocchi navali, muri da innalzare, confini blindati e forme di detenzione per i migranti. Senza una reale cooperazione tra gli Stati, ognuno ha tentato di alimentare il culto del patriottismo arroccandosi sui precetti dell’esclusione. Venendo meno la solidità della comunità internazionale, i governi in carica – soprattutto quelli di destra, e così anche il nostro – sono stati smascherati di fronte all’evidenza. Non soltanto gli sbarchi sono notevolmente aumentati da quando Meloni è al potere; i piani per invertire il trend sono misure che avremmo considerato disumane anche nel 1938, figuriamoci nel 2023.
Pochi giorni fa, infatti, il governo ha partorito un decreto che prevede il trattenimento dei migranti in un Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) durante la valutazione della richiesta d’asilo. Una detenzione nuda e cruda e nemmeno corta, visto che può arrivare anche fino a diciotto mesi. Non paghi della poco brillante idea di far passare i migranti da un inferno a un suo surrogato italiano, i governanti hanno deciso si inserire un ulteriore elemento di discriminazione: niente cpr per chi verserà la somma di 4.938 euro. Chiamasi cauzione, o se volete distinzione tra migranti di Serie A e Serie B, con il denaro a segnare il destino dei singoli individui. Quindi magari il parente poco limpido dello scafista pagherà la somma, mentre chi non ha nulla e fugge dalla fame è costretto a restare intrappolato in una sorta di lager – no, non mi vengono altri termini per descrivere un luogo dove vieni tenuto in ostaggio per settimane o mesi e privato della libertà.
Sempre secondo il decreto, la cifra potrà essere versata dai migranti provenienti da Paesi “sicuri”. Un aggettivo aleatorio, considerando che spesso vengono considerati tali anche quelli dove non sono rispettati i diritti umani di base. Il pagamento dovrà inoltre avvenire attraverso una fideiussione bancaria e servirà un documento d’identità valido. Documento che un rifugiato difficilmente possiede, cosa che tra l’altro pone il problema degli adolescenti – spesso non accompagnati – che devono dimostrare la loro minore età e rischiano di finire a sedici anni nello stesso Cpr degli adulti. Il Garante per l’infanzia ha già bocciato il decreto governativo proprio per la questione dei minori, e le opposizioni hanno promesso battaglia per evitare questa modalità di (non) accoglienza. In mezzo a tutto ciò, come se non bastasse, sembra che il governo sia a un passo dalla crisi diplomatica con la Germania. Il casus belli è stato rappresentato dal finanziamento della Germania ad alcune Ong che salvano vite in mare aperto. Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, si è lanciato in un vergognoso paragone con la Germania di Hitler: “Ottant’anni fa il governo tedesco decise di invadere gli Stati con l’esercito ma gli andò male, ora finanziano l’invasione dei clandestini per destabilizzare i governi che non piacciono ai social-democratici”.
Tralasciando la gravità e il semplicismo di questa affermazione, bisogna analizzare la questione ad ampio raggio per capire il fenomeno dei flussi migratori. La narrazione della destra che accusa l’Europa di mandare i migranti tutti in Italia è fuori da ogni logica, considerando che la stragrande maggioranza di chi arriva nel nostro Paese lo fa solo di passaggio, spostandosi poi altrove. Lo confermano i dati di Eurostat, che dimostrano come la Germania accolga in un anno quasi quattro volte il numero di richiedenti asilo dell’Italia. Quindi il presunto complotto dei tedeschi che finanziano le ong per penalizzare l’Italia è del tutto campato per aria, visto che poi queste persone arrivano nel loro Paese. Anche Francia e Spagna ne accolgono più di noi, come numero assoluto. Rapportando il numero dei richiedenti asilo con quello della popolazione, l’Italia è addirittura al quindicesimo posto sui ventisette Stati dell’Unione Europea. Quindi possiamo sfatare già il primo mito: no, l’Italia non è neanche lontanamente il Paese che accoglie più migranti.
La guerra del governo alle ong, poi, assume tratti grotteschi perché è lo stesso ministero dell’Interno a smentire la propaganda della destra. Tra i migranti sbarcati nel 2023 in Italia, soltanto il 4% è arrivato con imbarcazioni di ong. La maggioranza è sbarcata attraverso l’intervento della Guardia Costiera o con arrivi diretti attraverso imbarcazioni clandestine. Questo porta alla memoria l’esperienza di Salvini come ministro dell’Interno, quando si vantava di aver chiuso i porti e si lamentava di essere sotto processo per aver difeso i confini (difeso da cosa non è chiaro). Punto primo: Salvini non ha mai chiuso i porti, essendo un’azione, per fortuna, inattuabile, così come il blocco navale portato in auge da Meloni in campagna elettorale. Quello che avveniva durante il governo gialloverde era la conseguenza degli accordi – eticamente e moralmente discutibili – dell’ex ministro Minniti con la Libia.
Quindi l’iter era il seguente: i migranti continuavano a sbarcare clandestinamente o messi in salvo dalla Guardia Costiera, ma Salvini creava lo show sulla pelle degli esseri umani, bloccando per giorni un paio di navi delle ong in mare aperto e facendo credere al suo elettorato di aver frenato il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Ovviamente non era così: mentre le telecamere si concentravano sui poveracci lasciati in mare aperto senza motivo, se non quello di far guadagnare qualche voto al leader leghista, le altre imbarcazioni non legate alle ong, ovvero la maggioranza degli sbarchi, continuavano ad arrivare. Le soluzioni si possono trovare solo a livello comunitario, con tutti gli Stati dell’Unione Europea a rivedere i trattati in vigore e a organizzare una strategia condivisa.
Quattro anni fa intervistai Elly Schlein, all’epoca europarlamentare distante dal PD, e rimasi stupito dai suoi retroscena sui leghisti a Bruxelles. Mi disse che su ventidue riunioni europee per rinegoziare il trattato di Dublino, la Lega non aveva partecipato a nessuna di queste. Aggiunse inoltre: “La Lega in Europa, e di conseguenza il governo in Italia, si è condannata all’irrilevanza politica unendosi a un’internazionale di nazionalisti con la retorica di odio, muri e intolleranza che nasconde evidenti contraddizioni. Stanno ostacolando i nostri tentativi di riformare il regolamento di Dublino, ovvero la nostra intenzione di dividere equamente le responsabilità europee sull’accoglienza”.
Oggi Schlein è la segretaria del PD, e a destra non è cambiato nulla. Meloni e Salvini continuano a condannarci a quell’irrilevanza politica profetizzata da Schlein e ad alimentare il sentimento nazionalista dell’esclusione e della rabbia, concentrandosi più sugli slogan elettorali (pur essendo ormai al governo), che su una reale cooperazione tra Stati. D’altronde, non possono mettersi contro il loro mentore Orbán, colui che non rispetta i regolamenti dell’Unione Europea pur facendone parte. Prosegue dunque l’era del sovranismo, nonostante abbia già superato da tempo lo zenit del successo, avviandosi al tramonto tipico di quei fenomeni che non sono in grado di dare risposte e soluzioni. È inevitabile: il sovranismo di uno Stato andrà sempre a scontrarsi con quello di un altro Paese, e il bene comune non potrà essere raggiunto proprio per l’autoreferenzialità autoritaria di questi sistemi ideologici.
Il fallimento conclamato del sovranismo si ripercuote dunque sulla credibilità del nostro governo, su un’estrema destra che ha sfruttato l’onda lunga dell’opposizione per poi mostrare inaffidabilità una volta giunta al potere. Fuori dalla narrazione dei nemici immaginari e delle fortezze Bastiani dove si costruisce lo scenario dell’assalto dei Tartari, ciò che resta è la desolazione di una destra incapace di gestire la cosa pubblica. Come per Bannon, Trump e Bolsonaro arriverà anche il declino dei sovranisti nostrani, ma intanto siamo noi cittadini a pagare il prezzo delle nefandezze di chi, fuori dall’odio e dalle chiusure, non riesce a concepire un progetto per risanare un Paese alla deriva.