Se il 2020 è stato un anno drammatico e spesso all’apparenza privo di senso, l’inizio del 2021 non sembra essere da meno. Proprio in corrispondenza del primo anniversario dell’arrivo della pandemia in Italia, il protagonista del nostro dibattito pubblico è una persona che credo nessuno si sarebbe aspettato di rivedere emergere con questi toni e queste pretese, in modo particolare con una crisi di governo durante una pandemia globale. Un personaggio che meno di cinque anni fa dichiarava davanti alla Nazione che l’esito di un referendum costituzionale avrebbe potuto decretare la fine della sua presenza in politica. Matteo Renzi, che sempre pochi anni fa in televisione si lamentava dei sotterfugi velenosi di partiti marginali con intenti sabotatori, è tornato alla ribalta nel pieno della seconda ondata per dare voce al dissenso di una parte del Paese.
Si dice che il tempo è galantuomo, e in tutta onestà comincio a voler credere che forse Matteo Renzi, senatore e leader di Italia Viva, sia un po’ come Severus Piton della saga di Harry Potter, che per sette libri crediamo essere un malvagio doppiogiochista e solo alla fine scopriamo che ha sempre e solo agito in funzione di un bene superiore. Quando ci troviamo di fronte a un plot twist simile, tutto assume senso, i puntini si uniscono e anche le azioni più assurde e inspiegabili prendono una nuova luce: subentra il senso di colpa per aver giudicato con malizia l’operato di qualcuno che invece, contro ogni pregiudizio, stava solo componendo i pezzi di un puzzle più grande. Un personaggio che nel mezzo di una crisi di governo da lui stesso scatenata si reca in Arabia Saudita per incensare un uomo politico sospettato di aver dato l’ordine di assassinare e fare a pezzi un giornalista critico verso il regime di Riad, dichiarandosi addirittura geloso del costo del lavoro di un Paese in cui la schiavitù è sostanzialmente resa legale, per esempio, potrebbe essere uno di quei piccoli pezzi di mosaico che oggi non hanno alcun senso, ma domani invece sì, e siamo noi in cattiva fede a non capirlo. Del resto, stiamo parlando della stessa persona che ha pensato di insegnare il valore del lavoro agli studenti italiani obbligandoli a svolgere mansioni gratuitamente, piuttosto che studiare; ottima idea per meglio abituarsi subito agli stage non retribuiti o ai lavori sottopagati e privi di diritti che li aspettano nel loro futuro professionale.
Se il tempo dunque può essere galantuomo, per Matteo Renzi siamo ancora tutti in attesa di questo colpo di scena che renderà chiaro il significato ultimo delle sue gesta che fino a questo momento sembrano più i deliri di un mitomane piuttosto che scelte fatte per il bene dell’Italia. Nel frattempo però, in questa storia lunga e piena di risvolti inaspettati, c’è un personaggio che è stato graziato dal tempo, a riprova dell’insensatezza di un’altra vicenda che ha coinvolto il leader di Italia Viva e l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino.
Le vicende legate a quei ventotto mesi di mandato di Marino, medico di fama internazionale che da qualche anno ha comprensibilmente preferito allontanarsi dalla vita politica italiana, sono infatti un tassello emblematico per comprendere il modus operandi di Matteo Renzi. Partendo da un presupposto fondamentale, ossia che non siamo in un romanzo di Harry Potter né in una favola per bambini e dunque non esistono cattivi e buoni, ma persone che agiscono in modo più o meno egoistico rendendo la politica un gioco di personalizzazione, è giusto sottolineare che Ignazio Marino è il sindaco di Roma succeduto nel 2013 a Gianni Alemanno, coinvolto nello scandalo di Mafia Capitale. Chiaramente, gestire la Capitale è forse una delle sfide politiche più grandi che si possano affrontare nel nostro Paese, e se questa sfida si combina con un’eredità simile le cose si complicano ulteriormente.
Marino, da subito battezzato il “sindaco marziano” – una definizione che prende spunto dal racconto di Ennio Flaiano, Un marziano a Roma – per via delle sue politiche progressiste e forse, per molti aspetti, visionarie, criticabili, ma anche oggettivamente innovative per l’assetto della città, è caduto in una trappola tesa dal suo stesso partito. L’ex sindaco di Roma eletto con il Pd, rimasto in carica dal 2013 al 2015 per poi lasciare la città a Virginia Raggi, è stato il capro espiatorio del partito dell’allora segretario Matteo Renzi, che in quel periodo galoppava nella sua corsa per il consenso all’insegna della rottamazione e di alcune strategie che, come è facile notare a distanza di anni, non ha smesso di replicare.
“Pugnalato alle spalle” – come ha dichiarato lui stesso – da 26 consiglieri comunali, Ignazio Marino ha dato le dimissioni dopo essere stato coinvolto in due scandali da cui è stato poi assolto perché il fatto non sussiste; due scandali che hanno il sapore di un servizio di Striscia la notizia con Staffelli che consegna il Tapiro d’Oro o di un reportage sensazionalistico de Le Iene realizzato in più parti dal giornalista Dino Giarrusso, ex consulente per la comunicazione della Regione Lazio e ora deputato al Parlamento europeo del M5S. O forse, peggio ancora, ha il sapore di vicende talmente marginali che ricordano il grillismo della prima ora fatto di indignazione spicciola e dita puntate sul mostro da sbattere in prima pagina. Il famoso “Pandagate” con l’utilitaria del sindaco parcheggiata in Ztl e delle relative multe non pagate fu infatti la scusa per scatenare contro Marino lo pseudo-moralismo da bar in cui si tuffarono a capofitto giornalisti, oppositori politici e commentatori vari. Di quella vicenda si ricordano la macchina rossa, le multe, lo “scandalo”, ma l’unica cosa che dovrebbe rimanere nella storia è il fatto che si tratta solo di un pretesto, dal momento che era frutto di un semplice ritardo nel database del comune e di un attacco informatico per screditare Marino.
Ad aggiungere un’altra dose di indignazione a buon mercato alle vicende del “sindaco marziano” famoso per la sua ostinazione ciclistica arrivò anche lo scandalo degli scontrini: Ignazio Marino venne accusato di peculato per aver utilizzato la carta di credito del comune per cene e spese non previste dai compiti istituzionali. La Cassazione ha annullato nel 2019 qualsiasi condanna nei confronti dell’ex sindaco per quanto riguarda queste spese, alcune migliaia di euro che Marino ha restituito prima ancora dell’esito della sentenza. Non che non sia grave e condannabile un comportamento scorretto nei confronti delle spese improprie da parte di un rappresentante eletto, ma fa specie l’accanimento di partiti che in altre circostanze hanno tollerato “sviste” molto più gravi da parte dei loro rappresentanti. Anche perché, proprio di recente, nel novembre del 2020, si è tornati a parlare di Ignazio Marino e delle ragioni che lo hanno spinto alle dimissioni in un servizio di Report su Roma in cui emerge che l’ex sindaco, cercando di arginare gli abusi dei vigili urbani di Roma e l’assurda questione degli straordinari, sia stato vittima di un’azione mirata. Vigili urbani e Pd – come emerso dalle intercettazioni di Renato e Raffaele Marra, quest’ultimo consigliere di Raggi – hanno unito le forze per eliminare un personaggio che stava toccando un ben consolidato status quo. Sta di fatto che sia la questione degli scontrini che quella della Panda si sono risolte in un nulla di fatto.
Ignazio Marino non è un santo, non è un eroe, non è il personaggio positivo di un romanzo né di un film, così come Matteo Renzi non è lord Voldemort. Marino non sarà stato né Giulio Argan né Luigi Petroselli, ma il modo in cui è stato costretto alle dimissioni è il sintomo di un sentimento che dovrebbe essere estraneo a qualsiasi partito, destra o sinistra che sia, ossia quello della personalizzazione e dello strapotere del singolo a danno della collettività. Il culto di qualsiasi “-ismo”, che sia renzismo o salvinismo, è il segnale di una direzione sbagliata del fare politica. Quando prevale l’impulso personale e individualistico in una realtà che dovrebbe essere la traduzione materiale di una collettività, le scelte sono per forza di cose viziate; il modo di fare politica di Matteo Renzi, dall’inizio della sua carriera a livello nazionale sino a oggi, è la prosecuzione diretta di questa tendenza dannosa, egoistica e narcisistica. La vicenda di Ignazio Marino e del sabotaggio che ha subito da parte del Pd di Renzi non fa di lui un sindaco perfetto, ma una vittima di una tendenza che corrode gli ideali che dovrebbero guidare la politica fatta per il bene di un Paese e dei suoi cittadini. E anche se fosse tutto parte di un piano superiore, di un qualche stratagemma che Matteo Renzi coltiva da anni per traghettarci in un mondo migliore, comincio ad avere i miei dubbi su quanto sia giusto sperare nella galanteria del tempo mentre il presente cade a pezzi.