Il Movimento 5 Stelle è diventato definitivamente ciò che diceva non sarebbe mai stato - THE VISION

La forza politica con più eletti in Parlamento, il Movimento Cinque Stelle, ha sciolto le riserve riguardo l’appoggio al governo Draghi. In seguito al Sì di 44.177 utenti sulla piattaforma Rousseau, i grillini hanno concesso al Paese di fare un passo avanti per la creazione di un nuovo esecutivo, ma al prezzo di quello che rimane della credibilità del Movimento.

La votazione online ha rasentato la farsa in molti suoi passaggi. Dopo sospensioni e rinvii, ieri la base grillina ha potuto votare. Come già accaduto in passato, il quesito era formulato per orientare in modo neanche troppo velato la risposta: “Sei d’accordo che il Movimento sostenga un governo tecnico-politico che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal Movimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. L’imparzialità della domanda non è mai stata una prerogativa di Grillo e Casaleggio.

Mario Draghi

I 74.537 votanti sui 119.544 legittimati sono diventati il mezzo di un referendum con toni molto simili allo spot pubblicitario. Il Sì ha vinto con una percentuale del 59%, una percentuale molto più bassa di quella che ha dato la sua approvazione sia al governo Lega M5S che al successivo formato con il Pd. In questi giorni le analisi politiche si sono concentrate sull’ipocrisia di chi prometteva di non mischiarsi mai con “gli altri”, per ritrovarsi in seguito a fare un governo con la destra, poi con la sinistra e infine con uno dei volti più autorevoli dei “tecnocrati di Bruxelles”. La responsabilità di un elettorato online che ha sempre appoggiato le scelte dei vertici, anche in aperta contraddizione l’una con l’altra, è il motivo che da anni porta molti a paragonare il M5S a una setta.

Nonostante il calo verticale dei consensi nelle ultime tornate elettorali, il M5S conserva uno zoccolo duro di sostenitori che segue le decisioni di Grillo e Casaleggio con la logica dell’affiliazione vincolante: anche di fronte alla più controversa giravolta ideologica, i seguaci appoggiano l’Elevato mossi da una fiducia cieca. Va però detto che anche questa inizia a vacillare, se per ottenere il 59% dei sì è stato necessario l’endorsement del premier uscente Giuseppe Conte, così come le dichiarazioni di Luigi Di Maio e dei principali esponenti del movimento. Beppe Grillo si è recato di persona a Roma per le consultazioni con Draghi, per poi rivendicare la paternità dell’idea del super-Ministero della transizione ecologica proposto da Mario Draghi. 

Beppe Grillo

Ancora una volta si è votato su Rousseau, una piattaforma che nel 2019 è stata multata dal Garante della privacy per non aver garantito la segretezza e la sicurezza del voto degli iscritti. Il concetto di democrazia partecipata è stato contaminato da una struttura piramidale che  dal 2016 ha al suo vertice l’Associazione Rousseau voluta da Gianroberto e Davide Casaleggio, di fatto la Casaleggio Associati, creando un cortocircuito nel triangolo Rousseau-Casaleggio-M5S che non consente agli iscritti di esprimersi senza un forte condizionamento causato dagli interessi della stessa direzione. 

Anche per questo non si spiega la schizofrenia delle votazioni, considerando che gli stessi iscritti nel giro di pochi mesi hanno salvato Salvini dal processo sul caso Diciotti per poi scegliere di allearsi con il Pd, o che in meno di un anno hanno votato per presentarsi autonomamente alle elezioni regionali per poi decidere, alla tornata successiva, di aprire alle alleanze locali. Il meccanismo è molto semplice: Grillo e Casaleggio decidono una linea, poi usano Rousseau come strumento di apparente democrazia diretta indirizzando gli iscritti a votare a favore della linea scelta. E ha sempre funzionato.

Davide Casaleggio

Vito Crimi, capo politico ad interim del M5S, commentando il risultato della votazione ha detto: “La democrazia nel M5S passa da un voto degli iscritti e il voto degli iscritti è vincolante”. Ha parlato del dopo, omettendo però il prima e il durante, ovvero le fasi che presentano le maggiori criticità all’interno della democrazia interna al movimento. Escludendo qualsiasi discorso sulla privacy e sulla validità legale del voto, resta un procedimento con parecchi limiti. Uno dei quali riguarda la rappresentanza: poche decine di migliaia di utenti online decidono per milioni di elettori e condizionano la direzione politica di un intero Paese. Inoltre resta il problema del conflitto interesse, in quanto l’associazione Rousseau non è  estranea alle dinamiche politiche del M5S. La piattaforma si finanzia infatti attraverso le “donazioni obbligatorie”  che gli eletti del Movimento devono versare mensilmente alla piattaforma e le verifiche delle votazioni non sono demandate a un ente terzo, ma ne è incaricato il notaio Valerio Tacchini, ex candidato con il M5S e amico della famiglia Casaleggio.

Vito Crimi

La votazione dell’11 febbraio ha ufficializzato una scissione all’interno del Movimento, con la decisione di Alessandro Di Battista di lasciare il partito. Da attivista della prima ora divenuto poi protagonista di rilievo nazionale del M5S, si presume che Di Battista sia consapevole dei meccanismi legati a Rousseau. Sono cambiate le alleanze politiche, le decisioni sui singoli temi e la direzione del partito, ma non il processo su cui si basa il legame M5S-Rousseau. Evidentemente a Di Battista andava bene quando questo era funzionale per approvare l’alleanza con la Lega o l’appoggio a Salvini, meno quando la base ha scelto una strada a lui sgradita. Un’opinione lecita, ma in aperta contraddizione con la retorica sulla democrazia partecipativa, già offuscata dall’operato di una società privata che guadagna sfruttando la promessa dell’uno vale uno.

Alessandro Di Battista

Tra le tante note di colore di questi giorni, non è sfuggita la riproposizione martellante sui social di una frase attribuita a Gianroberto Casaleggio, ma in realtà mai pronunciata: “Verrà un tempo in cui dovremo per forza accettare di convivere con chi ha causato il male del Paese, ma lavoreremo affinché tutti possano poi vedere cosa siamo capaci di fare e solo così potremo effettuare il cambiamento”. Non è mai un caso quando circola materiale simile riguardo al M5S, una forza politica che ha fatto della propaganda sul web il suo grimaldello per raggiungere il potere. Non stupisce dunque che questa frase sia stata postata non dagli avversari, ma dagli stessi strateghi del Movimento interessati a imporre alla propria base l’appoggio all’esecutivo guidato da Mario Draghi

Per ottenere il risultato dell’11 febbraio il M5S ha rimesso in campo tutto il suo arsenale retorico e social: dal tam tam sul web al ritorno di Grillo, dalle dichiarazioni dei leader di rilievo al tentativo di far passare la consultazione online come una dimostrazione di libertà, quando in realtà è da tempo una formalità che ricorda da vicino il plebisciti pilotati che nelle regioni del Sud Italia hanno decretato l’adesione al Regno d’Italia. Quanto visto nei giorni di consultazioni da parte di Mario Draghi è la prova che il M5S è guidato sin dalle sue origini da vertici che associano la democrazia diretta a un esercizio di potere, alimentato dall’illusione che la scelta del singolo sia significativa. Un partito governato con le stesse logiche dell’azienda privata. Esattamente come, sotto altre forme, fa Forza Italia, con cui il M5S si prepara a governare dopo la “benedizione” dei suoi ultimi e irriducibili sostenitori.

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