Luigi Di Maio è diventato negli ultimi anni la brutta copia, ma non meno estremista, del suo alleato di governo Matteo Salvini. Quando parla di immigrazione non ha più dubbi, mosso da certezze che non rispondono a un piano organico per gestire i flussi migratori, ma solo all’indice di gradimento del suo partito. Analizzare l’ideologia del M5S in materia di immigrazione è sempre più difficile, così come lo è ricostruire la sua evoluzione nel corso degli anni, viste le differenze tra i suoi vari esponenti di rilievo e le frequenti contraddizioni che si sono susseguite nel corso degli anni.
Nel 2002 il fondatore del M5S Beppe Grillo, che adesso vuole “sospendere i trattati di Schengen e rimpatriare tutti gli irregolari”, invitava a non alzare muri e a “ringraziare il cielo” per i migranti che “vengono in Europa per cercare lavoro e pagano le nostre pensioni al posto dei figli che non facciamo”. Ancora nel 2008, prima di dare vita al Movimento, sosteneva che “la gente va via per non morire, perché c’è una guerra, un maremoto, come fai a fermarli? Bisogna creare delle strutture intelligenti e inserirli piano piano, perché è gente straordinaria”.
Qualcosa è cambiato quando nel 2012 il Parlamento ha affrontato il dibattito sullo Ius Soli: sul suo blog Grillo (e anche Gianroberto Casaleggio, da sempre più rigido sul tema dell’accoglienza) ha scritto che “la cittadinanza a chi nasce in Italia è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi”. L’allora consigliere di Bologna Massimo Bugani osò ribellarsi ai diktat del comico sostenendo che “Non sono d’accordo con Beppe Grillo. Glielo dirò, lo chiamerò e poi affronterò le conseguenze. Al massimo torno a fare il fotografo”. Non sappiamo se veramente parlò con Grillo, ma di sicuro non è tornato a fare il fotografo, dato che è diventato uno degli uomini chiave del Movimento, socio di Rousseau (insieme a Davide Casaleggio) e vice capo della segreteria particolare di Luigi Di Maio.
Nel 2014, quando due parlamentari M5S hanno proposto l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, Grillo e Casaleggio, preoccupati di perdere il controllo sui loro parlamentari, hanno condannato l’idea sul blog mettendola ai voti con un referendum tra gli iscritti in cui ha trionfato il sì. Dopo l’autogol, Grillo non ha abbandonato la linea dura contro i migranti, ribadendola con un post intitolato Il ritorno delle malattie infettive #tbcnograzie. Dopo la denuncia del pericolo di malattie che sarebbero portate dagli immigrati, l’autore del post anonimo ha scritto che “i triti e ritriti confronti degli italiani come popolo di migranti che deve comprendere, capire, giustificare chiunque entri in Italia, sono delle amenità tirate in ballo dai radical chic e dalla sinistra che non pagano mai il conto e da chi non vuole affrontare il problema”.
L’attacco più duro del blog risale però al 2016, quando il terrorista responsabile dell’attentato ai mercatini di Natale a Berlino è fuggito in Italia dove è stato ucciso durante un controllo di polizia. In quell’occasione Grillo e il suo staff arrivano a sostenere che “l’Italia sta diventando un vivaio di terroristi” e che “adesso è il momento di agire e proteggerci”, con due misure proposte in precedenza solo dalla Lega. Prima: in caso di attentati in Europa, andava rivisto e sospeso in via temporanea il trattato di libera circolazione di Schengen. Seconda: “tutti gli irregolari devono essere rimpatriati subito a partire da oggi”. Per il nuovo Grillo i migranti non vanno più ringraziati, ma fermati con “una certa rudezza e assunzione di responsabilità”, perché è “giusto impedire lo spaccio di false speranze”, con buona pace dei sogni e delle aspirazioni di una vita migliore di quelli che poco più di dieci anni fa erano “uomini straordinari”.
Negli anni a venire le posizioni dei vari grillini sul tema migrazione sono state spesso il risultato di un mix di umori popolari e superficialità, come quelle del sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano, sostenitore di falsità come il fatto che noi italiani “non abbiamo una tradizione coloniale, non abbiamo sganciato bombe su nessuno” o che la nave Sea Watch 3 avrebbe dovuto riaccompagnare i migranti in Libia, che parte del governo si ostina a ritenere un porto sicuro.
Merita un discorso a parte Alessandro Di Battista che inaugurò la sua carriera parlamentare nel 2013 sfidando apertamente Grillo sullo Ius Soli sostenendo che “Lui non è un parlamentare. Io sono favorevole allo Ius soli”. Negli anni Di Battista ha rivisto la sua posizione in linea con quella dominante nel M5S accusando la stampa di aver stravolto ancora una volta le sue affermazioni. Nel primo anno di governo gialloverde Di Battista è stato identificato come uno degli esponenti di punta dell’ala moderata del M5S, anche se alla domanda su come spiegherà a suo figlio la vicenda della Sea Watch ha spiegato che “gli spiegherò che papà ha combattuto prendendo anche posizioni scomode”. Qual è la posizione scomoda? “Garantire il più possibile il diritto a casa propria”.
Di Battista ha sposato la propaganda contro le Ong cavalcata da Salvini e riproposto gli attacchi di chi le accusa di sfruttare mediaticamente le persone che salvano dal mare: “Anche per sfruttare quei disperati, la nave se ne sta 14 giorni al largo di Lampedusa quando poteva prendere quei disperati e magari portarli a Marsiglia. Ma in quel caso l’Europa avrebbe scoperto che Macron si sarebbe comportato nello stesso identico modo di Salvini”. Senza nessuna prova, nome o dato a supporto della sua tesi, Di Battista è arrivato anche a sostenere che l’immigrazione clandestina sia diventata una fonte di finanziamento pubblico per alcuni partiti, dato che “Ci sono personaggi politici che non riuscivano più a campare con i finanziamenti pubblici e si sono interfacciati con altre forme di business. Una di queste, appunto, è lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina”.
Su nessuna prova si basano anche le parole di Luigi Di Maio sui migranti. Nel 2017 il leader del M5S è stato il primo a coniare il termine di “taxi del mare”, basandosi sulle ipotesi infondate del pm di Catania Carmelo Zuccaro di contatti tra Ong e scafisti. Nell’aprile di quell’anno il futuro vicepremier ha scritto su Facebook: “Chi paga questi taxi del Mediterraneo? E perché lo fa?”, promettendo ai suoi sostenitori che “Presenteremo un’interrogazione in Parlamento, andremo fino in fondo a questa storia”. Quando Roberto Saviano criticò le sue parole, rispose con sicurezza che “A Saviano consiglio di ascoltare sempre le procure e la magistratura non solo quando parla (meritoriamente) di camorra nei suoi saggi e nei suoi film. Il M5S vuole la verità sulle Ong e andrà fino in fondo sia nelle sedi italiane che in quelle europee”. A distanza di due anni dalle indagini di Zuccaro e dalle premature sentenze politiche di Di Maio e del suo alleato di governo Salvini non è rimasto altro che la percezione distorta che molti italiani hanno del lavoro delle Ong.
Nell’epoca dei complottismi la verità giudiziaria non conta e Luigi Di Maio continua a portare avanti la sua crociata contro le Ong. Le sue parole finiscono spesso in secondo piano rispetto a quelle di Salvini, ma non sono meno preoccupanti: “Le Ong hanno trovato il nuovo palcoscenico”, ha sostenuto riferendosi alla nave Sea Watch. “Vanno nelle acque libiche, prendono persone che potrebbero essere salvate dalla marina libica, se le mettono in barca, vengono in Italia e iniziano lo show sulla pelle di questi poveri disperati”. In occasione del recente caso Mediterranea, il vicepremier non ha perso neanche l’occasione per accusare “i parlamentari Pd che stanno già mettendo il costume per tornare su quest’altra nave”, con un lessico che sembra un copia e incolla da una diretta Facebook del suo omologo Salvini. Quando il presidente della Camera Roberto Fico prova a ricordargli le differenze tra M5S e Lega sulla gestione dell’immigrazione e la tutela delle minoranze nel nostro Paese, Di Maio risponde sempre che “Io e Roberto su queste questioni siamo molto diversi”, e che sui porti chiusi “Quelle di Fico sono dichiarazioni che rispettiamo, ma non è la linea del governo”.
Proprio nell’azione di governo si trova la spiegazione del non pensiero del M5S in tema di immigrazione. In mancanza di una minima idea e visione sociale, economica, politica, storica, la condizione necessaria per la sua esistenza è la continua ricerca del consenso, anche quello più effimero ed estemporaneo. La linea dura del governo sulla gestione dei flussi migratori è il mezzo ideale per ottenerlo: un sondaggio realizzato da Ipsos per Il Corriere della Sera tra il 2 e il 4 luglio ha evidenziato che il 59% degli italiani condivide molto o abbastanza la scelta di Salvini di chiudere i porti alle Ong. Ma il dato davvero interessante per Di Maio e il suo partito è che tra gli elettori del Movimento l’approvazione nei confronti della scelta di Salvini sale addirittura al 77% (maggiore di quella tra gli elettori di Forza Italia). Solo il 15% di chi ha votato Di Maio non è per nulla d’accordo con la linea leghista, ma questi valgono poco per un partito che si è sempre definito fiero nell’essere privo di ideologie e, nella gestione dei migranti, anche privo di un’idea. Proprio per questo è un partito disposto a credere a tutto, e per questo sempre più pericoloso per la democrazia del nostro Paese.
Foto in copertina di Antonio Masiello