“Lula livre, Lula livre” era lo slogan dei sostenitori dell’ex presidente brasiliano Luíz Inacio Lula che ne chiedevano la scarcerazione davanti al Tribunal Fédéral di Curitiba per una condanna a detta loro ingiusta; oggi è un fatto concreto, dopo la decisione dell’8 marzo della Corte Suprema Brasiliana che annullando le condanne dell’ex-presidente ha riabilitato i suoi diritti politici.
Luíz Inacio Lula da Silva oggi ha 75 anni, ha governato il Brasile tra il 2003 al 2011 da leader e fondatore del Partito dei Lavoratori, la maggiore formazione politica della sinistra brasiliana. Durante la sua presidenza ha permesso a venti milioni di persone di uscire dalla condizione di povertà assoluta con il programma Bolsa Família, che ha garantito ai nuclei familiari più bisognosi un sussidio mensile. Durante gli anni del suo governo l’economia ha conosciuto una crescita speculare al crescere del benessere di molti brasiliani.
Durante la presidenza di Dilma Rousseff, la prima presidente donna del Paese, che ne aveva raccolto l’eredità politica, ha preso però il via l’indagine Lava-Jato, letteralmente “autolavaggio”, coinvolgendo la Petrobras, la maggiore azienda petrolifera del Paese. Arresti, condanne e indagini sono stati condotti dal giudice di Curitiba Sérgio Moro, poi diventato nel novembre 2018 ministro della Giustizia del governo di Jair Bolsonaro. Per molti analisti il processo che ha coinvolto Lula è stato un processo prettamente politico, condito di calunnie e dichiarazioni infondate.
La popolarità di Lula, nonostante i trascorsi, è al giorno d’oggi ancora molto grande in Brasile e secondo vari osservatori se si fosse potuto candidare alle elezioni del 2018 avrebbe facilmente vinto contro l’attuale presidente Jair Bolsonaro. Questo annullamento fa ben sperare per la corsa alle presidenziali del 2022 in un Paese che chiede un cambiamento mentre fa i conti con una delle più disastrose gestioni della pandemia di Covid-19 di tutto il Pianeta. In una recente intervista a El País, Lula si è spinto oltre le indiscrezioni: “Ricandidarmi? Ci sono tanti dirigenti più giovani e più bravi di me. Certo, se poi la gente mi volesse per forza, chiedendomi di tornare in campo, ecco io sono pronto. La politica è la mia vita, ho sempre fatto questo, solo quando morirò smetterò di farla”.
Nonostante il multipartitismo che rende il Brasile simile all’Italia da un punto di vista di schieramenti e di frammentazioni, all’orizzonte emerge uno scontro tra due blocchi. Da una parte il cosiddetto “Povo de Lula”, il “popolo di Lula”, che raccoglie intorno alla figura del leader l’ampio fronte della sinistra che va dalla borghesia istruita delle capitali agli abitanti delle favelas, passando per i sim terra, i braccianti poveri che lavorano per i grandi proprietari terrieri. A loro si oppone la destra sovranista di Jair Messias Bolsonaro, del Psl, il Partito Social-Liberale, espressione degli interessi di grandi latifondisti, imprenditori conservatori ed evangelici che hanno commentato la sentenza su Lula come uno scandalo in cui regna l’impunità.
Lo scenario che si prospetta per la corsa alle presidenziali del 2022 vedrebbe uno scontro diretto, tra Lula e il presidente uscente, protagonisti indiscussi della polarizzazione politica vissuta in Brasile negli ultimi anni. Secondo Claudio Couto, politologo e professore alla Fondazione Getúlio Vargas, l’antipetismo (l’odio nei confronti del Partido dos Trabalhadores fomentato dalla dura campagna elettorale di Bolsonaro) è ora un meccanismo indebolito. A suo avviso, quello spazio verrà colmato per il 2022 dall’avversione per il presidente in carica e per la sua mala-gestione della crisi pandemica. In uno scontro elettorale diretto Lula resta ampiamente favorito: secondo un recente sondaggio otterrebbe il 50% delle preferenze contro il 38% di Bolsonaro. “Lula è ora più competitivo di quanto sarebbe stato nel 2018. La brutta figura del bolsonarismo ha raffreddato l’antipetismo”.
Ci sono ritardi enormi nella distribuzione dei vaccini e chi ha votato per “O Capitão” nel 2018 se ne sta accorgendo. Il Partito Democratico Laburista Brasiliano (Pdt, di sinistra) ha addirittura presentato alla procura generale della Repubblica brasiliana una richiesta di interdizione del presidente Jair Bolsonaro dai pubblici uffici per “incapacità di intendere e di volere”. Il partito sostiene che durante la pandemia di Covid-19 Bolsonaro abbia messo a repentaglio la vita dei brasiliani, agendo in maniera contraria a come agirebbe una persona nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali.
Un’accusa forse più credibile di quella su cui è stato incentrato il processo a Lula, basato su un scandalo immobiliare. Il processo contro Lula era stato costruito attorno a un appartamento nella città di Guaruja, nello Stato di São Paolo, secondo l’accusa donato dal gigante delle costruzioni OAS in cambio di importanti commesse con la Petrobras. All’attico si aggiungeva una casa di campagna ad Atibaia, sempre nello stato di São Paulo. Per il primo caso, Lula era stato condannato a 12 anni di carcere, per il secondo a 17. Lula, dopo le condanne, è stato ristretto 580 giorni in prigione, ma è soprattutto stato privato dei suoi diritti politici. Il giudice Edson Fachin ha ora annullato tutti i quattro processi che coinvolgevano l’ex presidente. Il motivo sarebbe procedurale: il Tribunale che lo ha giudicato e condannato non aveva le competenze per farlo.
La regista brasiliana Petra Costa ha raccontato le vicende giudiziarie di Lula e Rousseff nel documentario Democracia em Vertigem, inserito dal Guardian nella rosa dei venti documentari da vedere per capire il mondo nel 2020, definendolo “un duro colpo di avvertimento sulla presa di potere dell’estrema destra in Brasile dalla risonanza internazionale”.
“L’inchiesta Lava Jato è morta. Ora si apre una seconda fase”, titolava l’8 marzo il quotidiano O globo commentando una notizia destinata a cambiare la politica brasiliana dei prossimi anni. Lula, salvo nuovi sviluppi, è ora libero di candidarsi per il 2022, allontanato un 2018 bis, quando l’ex sindaco di São Paulo Fernando Haddad non è riuscito a battere alle urne Jair Bolsonaro anche per un carisma molto più ordinario rispetto a quello di Lula.
Mentre il Brasile sta affrontando una seconda violenta ondata dell’epidemia di Covid-19, e ha ormai superato le 264mila vittime, con i governatori locali costretti ad adottare misure restrittive più severe di quelle imposte dal governo centrale, l’8 marzo una notizia ha allontanato per qualche ora l’attenzione dei brasiliani dalla pandemia. “Lula vale a luta”, “Per Lula vale la pena di combattere”, gridano i suoi sostenitori, preparandosi alle elezioni che nel 2022 potrebbero decretare la sconfitta di una delle ultime roccaforti internazionali del trumpismo.