Quando il centrodestra, trainato dal 26% di Fratelli d’Italia, ha vinto le elezioni nazionali, avevamo già chiara la direzione che avrebbe preso il Paese. Di certo non ci saremmo aspettati come presidenti della Camera e del Senato le reincarnazioni di Einaudi e De Gasperi, ma svegliarsi e rendersi conto di avere come seconda e terza carica dello Stato Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana – rispettivamente storico esponente del MSI e nostalgico fascista il primo, esponente ultra conservatore cattolico, omofobo e anti-abortista, il secondo – è stato un trauma difficile da metabolizzare.
Eppure, la giornata di ieri si era aperta con una delle pagine più belle della nostra storia repubblicana, ovvero Liliana Segre a presiedere la seduta al Senato, campanella in mano e voce emozionata ed emozionante per un discorso che difficilmente dimenticheremo. Per una strana ironia della sorte, dopo che Segre, vittima delle leggi razziali e sopravvissuta all’Olocausto, ha parlato di Matteotti, del centenario della Marcia su Roma e dell’importanza del 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo, l’aula ha però votato decidendo di eleggere come nuovo presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa, fiero collezionista di memorabilia – foto, busti e sculture – del Duce.
In poche ore si è passati dal candore e dalla lezione sulla memoria di Segre alla sua antitesi. È vero, siamo in democrazia e il centrodestra ha vinto le elezioni, spinto da un partito neofascista, dobbiamo ricordarcelo. Con i capricci di Forza Italia, lo sbotto di Berlusconi e il suo presunto vaffanculo, e qualche furbo all’opposizione che ha votato La Russa, il processo democratico è andato a compimento, nonostante un cortocircuito tipicamente italiano, ovvero il passaggio di consegne tra una reduce di Auschwitz e un nostalgico del fascismo. Giusto un mese fa diceva infatti che “siamo tutti eredi del Duce” e, in passato, ha criticato Fini per aver definito il fascismo “un male assoluto”, oltre ad aver considerato Mussolini “un grande statista” e ad aver mostrato alle telecamere la sua dimora piena di cimeli del Ventennio. D’altronde La Russa viene dal MSI, il che significa che non potevamo aspettarci altro. Eppure l’incredulità ci assale ugualmente, come se ancora non ci fossimo resi davvero conto dei risultati del 25 settembre, forse nel tentativo un po’ raffazzonato di negarli per far finta che non sia mai successo nulla in quella data.
Invece, quel che è successo dobbiamo imprimercelo bene nella mente, perché anche alla Camera abbiamo avuto un segnale dei tempi che corrono. Se il nome estratto da Fratelli d’Italia al Senato rappresentava l’archetipo dell’esponente del partito di Meloni, ovvero un nostalgico sdoganato al grande pubblico (un po’ per l’imitazione all’acqua di rose di Fiorello, un po’ perché in Italia i sussurri di Predappio sono ancora tollerati), la figura indicata dalla Lega è stata altrettanto legata all’immagine più bigotta del Carroccio. Lorenzo Fontana incarna infatti la quintessenza del leghismo salviniano, l’evoluzione del celodurismo diventato un oscurantismo da-Trieste-in-giù, buono un po’ per tutte le stagioni. Reazionario, sì, ma rasente il fanatismo. Prendete la galassia dei movimenti pro vita e aggiungete l’estremismo di Pillon e dei fan di Putin: otterrete Fontana.
Euroscettico, ammiratore del modello putiniano, antiabortista, contrario alle unioni egualitarie, al divorzio e all’eutanasia, la sua candidatura – come quella di La Russa – sembra una chiara provocazione della destra. Non che sia facile trovare all’interno di Lega o Fratelli d’Italia figure moderate, ma insistere su due nomi così divisivi, che rappresentano l’esasperazione dell’estremismo delle idee di questi due partiti, è stato un chiaro modo per spiegare all’opposizione, e al Paese intero, che qualcosa sta cambiando. Potevamo già intuirlo, ma una conferma così netta è un calcio morale all’essenza del nostro ordinamento democratico. Se a Mattarella venisse un raffreddore, sarebbe La Russa a fare le sue veci e – giustamente – all’estero non l’hanno presa bene, ricordando il suo amore per il nostro ventennio più buio, mentre in Italia i media sono stati ben più clementi, limitandosi a riportare l’elezione senza indugiare sul suo passato e su quelle passioni ancora accese, come la fiamma sul logo del suo partito. Anche per Fontana, d’altronde, ci si è quasi appellati a un istituzionalismo forzato alla proposta del suo nome. Pochi articoli al vetriolo in mezzo a un’acquiescenza capillare rassegnata, se non quasi omertosa. Forse a qualcuno va bene avere un presidente della Camera che partecipa alla Marcia per la Vita portando avanti lo slogan “l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo”. A me no.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che “hanno vinto loro”. Sì, è vero, tutto giusto, ma la Lega ha preso il 9% e impone alla Camera uno dei suoi uomini più estremisti, e anche Fratelli d’Italia poteva fare uno sforzo in più per virare su un altro nome. Crosetto avrebbe fatto meno rumore di La Russa; Giorgetti avrebbe spaventato meno di Fontana. Sembra però che il disegno fosse volutamente urtante e che la destra ci tenesse a far sapere che “noi siamo questi”, come se già non l’avessimo capito.
Il punto è che questo appare come un autogol anche a livello internazionale. Eleggere un personaggio come Fontana alla Camera in questo particolare periodo storico vuol dire dare un segnale preciso alla comunità internazionale, come a voler lanciare un guanto di sfida nascondendosi dietro il parapetto della sovranità nazionale. Le scelte italiane spettano a noi, ma nei delicati rapporti con gli altri Stati, a maggior ragione in questo 2022 segnato da crisi di ogni genere e dalla spaccatura con la potenza russa, questo non è di certo stato un messaggio di apertura a quell’Unione Europea che dovrebbe essere rassicurata. Ci ritroviamo invece con un alto rappresentante che non ha mai nascosto le sue simpatie per Putin e Orbán, e questo pone l’Italia in una condizione di “tacita vigilanza”, con gli occhi stranieri ancora più puntati addosso.
Se Segre ha parlato di diritti e libertà è un controsenso affidarci a chi quei diritti vuole cancellarli e a chi in passato ha dichiarato orgogliosamente di non festeggiare il 25 aprile. È come se le lancette del tempo si fossero fermate per tornare indietro. È la politica dei conservatori, ovvio, ma questo è un eccesso provocatorio, e conservatori in teoria non significa né fascisti né estremisti. Quando ero bambino immaginavo un 2022 con le automobili volanti, non con La Russa presidente del Senato e un omofobo alla Camera.
Meloni in campagna elettorale ha fatto di tutto per non apparire come una taglia-diritti, pur non risultando particolarmente credibile. Se avesse voluto smentire questa nomea, per prima cosa avrebbe depennato Fontana dalla lista dei papabili presidenti della Camera. Sempre in campagna elettorale, Meloni si è prodigata per tenere una certa distanza dai “nostalgici” – anche qui senza troppo successo – per poi imporre al Senato il nome di La Russa, il non plus ultra dei missini di ferro. Questo sta a significare che il prossimo esecutivo non soltanto confermerà i nostri timori su un’Italia arretrata e pericolosamente estremista, ma avrà un marchio di partenza che non potrà essere rimosso. Se anche il governo non dovesse durare per tutta la legislatura, infatti, come prevedono diversi analisti, Fontana e La Russa manterrebbero le loro posizioni per cinque anni, anche se dovesse tornare un esecutivo tecnico, esattamente come hanno fatto Fico e Casellati, che sono sopravvissuti a ben tre governi. Le votazioni di questi due giorni, quindi, erano importanti per marcare fin dall’inizio il territorio. Ormai, l’usanza di assegnare all’opposizione una delle due camere è andata persa, e la beffa è ancor più eclatante, perché La Russa è stato eletto proprio grazie ai voti dell’opposizione. Non si sa chi abbia tradito – tra Terzo Polo, grillini e PD – ma questo denota sia le prime crepe nella maggioranza, con i mugugni di Forza Italia, sia l’irresponsabilità di un’opposizione poco credibile già in partenza.
Lo sdegno esploso sui social per le nomine di Fontana e La Russa purtroppo rischia di essere soltanto un rumorino di fondo che non sposta nulla nello scenario politico. Qualcuno potrà anche asserire che “in questo momento abbiamo ben altri problemi”, come se prevalesse una visione a compartimenti stagni, ma in realtà stiamo parlando dei rappresentanti dello Stato, quindi di tutti noi cittadini, e tollerare un amante delle camicie nere e un ultra conservatore ai vertici della Repubblica vuol dire cedere all’ignavia, arrendersi ai tempi che corrono come se non fossimo noi stessi protagonisti attivi della cosa pubblica. Eppure le cose stanno così, la maggioranza degli italiani che hanno esercitato il loro diritto di voto hanno voluto questo. Forse, però, le nostre responsabilità non devono limitarsi a un timbro sulla scheda elettorale ogni cinque anni. Non dovrà essere la Francia a vigilare sulla nostra tenuta democratica e sul rispetto dei diritti sociali e civili, ma noi cittadini italiani che la pensiamo diversamente dagli altri, perché il timore è che questo sia solo l’assaggio di una cesoia che taglierà via un diritto dopo l’altro, senza che nessuno riesca a opporsi. Kant scriveva che “la violazione di un diritto avvenuta in un punto della Terra è avvertita in tutti i punti”. Sta a noi adesso registrarla, anche se dovesse riguardare temi a noi distanti, altrimenti rischieremmo di trasformare questo 2022 in quello che già da diversi segnali, nazionali e internazionali, profuma di 1938.