La storia degli immigrati italiani in America, da sfruttati a sfruttatori - THE VISION
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Da metà maggio, se riuscirà a ottenere conferma dal Senato, un italoamericano siederà sulla poltrona di segretario di Stato. Si tratta del direttore della Cia Mike Pompeo, già membro della Camera dei rappresentanti per il Kansas dal 2010 al 2017. Prima di essere capo dell’intelligence non era un deputato qualunque, ma uno dei politici più conservatori del Congresso: membro del Tea Party, sostenitore della guerra al terrorismo iniziata da Bush, contrario alla chiusura di Guantanamo, antiabortista e fermo oppositore dei matrimoni gay. Con un curriculum ideologico simile, non poteva che essere il favorito dei fratelli Charles e David Koch, primi finanziatori della destra liberista e della National Rifle Association. Pompeo non è certo l’unico italoamericano conservatore a essere asceso al vertice delle istituzioni politiche statunitensi; ci sono già stati un segretario alla difesa, Frank Carlucci, e due giudici della Corte suprema, Antonin Scalia e Samuel Alito, oltre a John Barrasso, uno dei leader repubblicani al Senato, e a molti altri governatori, deputati e sindaci–tra cui uno degli sponsor maggiori della campagna di Donald Trump nel 2016, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani. Pur non mancando anche esponenti progressisti– come la deputata democratica Nancy Pelosi, l’ex segretario alla Difesa Leon Panetta o l’ex capo dello staff della Casa Bianca di Bill Clinton, John Podesta– gli italoamericani sono una delle categorie ormai entrate stabilmente nel blocco dell’elettorato conservatore e, di conseguenza, quando entrano in politica, lo fanno nelle fila del Partito repubblicano.

Mike Pompeo
Antonin Scalia

Com’è stato possibile che, nel giro di poco meno di cent’anni, gli italoamericani, da reietti osteggiati da un provvedimento legislativo, l’Immigration Act del 1924–che mirava esplicitamente a stroncare il fenomeno migratorio dalla Penisola–siano diventati gli accesi sostenitori di un partito che fa della battaglia contro l’immigrazione uno dei propri capisaldi? Quella degli italoamericani è la storia di un lungo percorso osteggiato da un pregiudizio etnico e anticattolico, che ha avuto i suoi picchi drammatici e i suoi momenti di tregua. L’immigrazione verso gli Stati Uniti iniziò alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, quando i governi liberali italiani decisero di utilizzare l’emigrazione come necessaria valvola di sfogo per riuscire in parte a limitare il malcontento in alcune zone, in special modo l’ex Regno delle due Sicilie. Nonostante il background di partenza, in alcune aree degli Stati Uniti l’integrazione procedette meglio del previsto: in un articolo pubblicato dal New York Times il 6 ottobre 1895, sul quartiere di Little Italy a Manhattan, si affermava:Dopo aver imparato i nostri costumi, sono diventati cittadini industriosi”. Non tutti i migranti, però, furono così fortunati. Ci fu anche chi, sfruttando le proprie competenze in agricoltura, andò a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero in Louisiana, sostituendo gli schiavi liberati qualche anno prima. Sentendosi anche loro esclusi dalla società sudista, a larga maggioranza protestante, solidarizzarono spontaneamente con la comunità dei neri liberi, trattandoli da pari. Questo non fece che accrescere il pregiudizio nei loro confronti e quando il capo della polizia di New Orleans venne ucciso, funzionò da pretesto: alcuni picchiatori, organizzati e persino diretti da politici locali, linciarono gli 11 italiani sospettati di aver commesso il delitto. Nel 1899, sempre in Louisiana, a Tallulah, cinque italoamericani vennero sottoposti a violenze epoi impiccati perché, nel loro negozio, i neri venivano trattati da pari, serviti insieme ai bianchi.

Dopo la prima guerra mondiale, al pregiudizio di matrice etnica si sommò quello politico. La paura della rivoluzione bolscevica, che dalla Russia rischiava di contagiare gli Stati Uniti, si unì con facilità alla diffidenza nei confronti degli immigrati. Inizialmente furono i soli tedeschi a essere ostracizzati per le proprie simpatie comuniste, poi lo divennero tutte le etnie di recente immigrazione. Molti tra gli italiani appena sbarcati sul suolo statunitense avevano posizioni di estrema sinistra e anarco-insurrezionaliste, ma si trattava comunque di una minoranza. La bomba che tentò di uccidere il procuratore generale Mitchell Palmer il 2 giugno 1919, tuttavia, fu rivendicata dai seguaci dell’anarchico Luigi Galleani, direttore del periodico in lingua italiana Cronaca Sovversiva. Questa miccia scatenò un’ondata di indignazione e contribuì ad alimentare il sentimento di superiorità della “razza” anglosassone contro le contaminazioni delle etnie considerate inferiori. Gli italiani divennero il principale capro espiatorio di questa”paura rossa”. Nulla simboleggia meglio il clima di questo periodo della condanna a morte di Sacco e Vanzetti, avvenuta il 23 agosto 1927 dopo un processo viziato da errori e malafede. Ma questo fu solo l’apogeo di una lunga persecuzione. E a partire dall’anno successivo, qualcosa cambiò.

Alla convention democratica del 1928, la nomination per le elezioni presidenziali di quell’anno venne conquistata da Al Smith, governatore di New York. Smith era un politico di lungo corso ed era il perfetto prodotto della macchina elettorale di Tammany Hall, la principale associazione partitica che controllava la politica municipale newyorchese. Ma Smith portava con sé due caratteristiche uniche: era il primo cattolico ad arrivare così in alto, nonché il primo italoamericano. Suo padre si chiamava Alfred Emanuele Ferraro e scelse di anglicizzare il suo nome in”Smith” per evitare le discriminazioni. Questo andò a beneficio del figlio, che di fatto passò per un politico di origine irlandese. Una mezza verità, dato che la madre aveva proprio quella provenienza. Ma il semplice pregiudizio anticattolico bastò ad affossarne la candidatura, facendo trionfare il repubblicano Herbert Hoover. C’era comunque un importante cambiamento da tenere in considerazione, nel caso di Smith come in quello di molti altri politici italoamericani: il nuovo orientamento politico. Smith non era affatto un democratico di sinistra, ma centrista. Anni dopo, ai tempi del New Deal, divenne un democratico conservatore, scagliandosi con forza contro l’intervento pubblico nell’economia.

Al Smith

La maggioranza degli italoamericani, però, non seguì l’esempio di Smith. In quel periodo la comunità aderì con entusiasmo alla coalizione a sostegno di Roosevelt, il quale ricambiò il loro supporto usando belle parole nei confronti di Mussolini, definendolo “il gentiluomo italiano”. Il Duce, che già aveva espresso ammirazione per il popolo americano– come testimonia questo video–ordinò a Italo Balbo di salire su un volo Roma-Chicago, che dopo varie tappe riuscì finalmente a raggiungere il Nuovo Mondo, a suggello di quella che avrebbe dovuto essere una ritrovata amicizia tra l’Italia e gli Stati uniti. Persino quando i rapporti si deteriorarono, sfociando in conflitto aperto nel 1941, molti italoamericani combatterono e si distinsero sul fronte del Pacifico, contrastando le forze giapponesi. Altri invece–i 600mila italiani residenti che scelsero di non prendere la cittadinanza–vennero obbligati a portare carte d’identità che riportavano la dicitura”straniero residente”. Qualcuno venne anche internato, ma il fenomeno non ebbe le dimensioni di vera e propria persecuzione che interessò piuttosto la comunità nippo-americana.

A cambiare per sempre lo status della comunità italoamericana fu la Guerra fredda. Il pregiudizio anticattolico cadde ancor prima dell’elezione a presidente di John Fitzgerald Kennedy, grazie alla chiara posizione anticomunista di Papa Pio XII. Il pontefice era infatti un chiaro sostenitore della centralità americana nel nuovo ordine globale, tanto da nominare per la prima volta quattro cardinali americani nel concistoro del 1946 e il primo cardinale di Los Angeles nel 1953. L’industriosità italiana di cui parlava il New York Times nel 1895 diede i frutti sperati per molti degli emigrati dalla Penisola: poterono lasciare gradualmente i vecchi quartieri, le fatiscenti Little Italy,trasferendosi in case autonome, con tanto di automobile in garage. Fu questo nuovo benessere e il rinnovato attaccamento alla proprietà privata a far loro cambiare orientamento politico. Il trasferimento in massa nei sobborghi, dove i vecchi luoghi di aggregazione quali la piazza, la chiesa e il circolo venivano sostituiti dai centri commerciali, fece sì che a partire dagli anni’60 lo spostamento verso destra della comunità diventasse sempre più evidente. A questo contribuirono anche singoli episodi locali, come l’elezione a sindaco di Detroit dell’afroamericano Coleman Young, visto da alcuni italoamericani come un“suprematista nero” ostile al cattolicesimo.

Papa Pio XII
Coleman Young

Ronald Reagan fu il presidente che sancì il passaggio della comunità dalla coalizione del New Deal al blocco repubblicanoconservatore. La nomina da parte di Jimmy Carter a procuratore generale di Benjamin Civiletti non riuscì a invertire questo trend. Reagan nominò italoamericani in posizioni di rilievo: su tutti Antonin Scalia, designato alla Corte Suprema nel 1986, dove divenne il maggior fautore di un’interpretazione conservatrice e restrittiva delle leggi federali. Oggi, tre sostenitori chiave della campagna elettorale di Donald Trump del 2016–Paul Manafort, Chris Christie e Rudy Giuliani–hanno origini italoamericane. Così come lo sceriffo Joe Arpaio della contea di Maricopa, in Arizona: uno degli ufficiali più ostili agli immigrati irregolari, che è arrivato afar costruire perloro una “tendopoli” poi smantellata dal suo successore.  La trasformazione politica degli italoamericani dovrebbe far riflettere molto la destra populista statunitense, che vede nell’immigrazione e in alcuni, precisi, gruppi etnici la fonte di ogni male. I latinos che Trump osteggia potrebbero diventare ben presto suoi elettori. E in parte già lo sono diventati.

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