Il punto dieci del Programma per il governo del cambiamento di Lega e Cinque Stelle parla chiaro: l’appartenenza del nostro Paese all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti come alleato privilegiato, è confermata. Ma le parole alle quali dovremmo fare più attenzione sono quelle che vengono dopo. Il Programma prevede “una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen).” Il no alle sanzioni contro Mosca è una dichiarazione ideologica, più che di ordine economico. Il dato sul danno alle casse italiane, infatti, è discutibile.
Coldiretti, con un confronto tra l’export italiano in Russia prima e dopo le sanzioni, ha evidenziato una perdita di 10 miliardi di euro dal 2013 (anno in cui sono entrate in vigore) ad oggi, ma è una stima semplicistica per eccesso, visto che i fattori che influiscono sull’andamento dell’export sono diversi. Ci sono poi da tenere presenti gli effetti delle contro-sanzioni adottate da Mosca, come segnala l’Università degli Studi di Trento. Secondo Antonino Alì, professore della Facoltà di Giurisprudenza e della Scuola di Studi internazionali, “le sanzioni adottate dall’Unione Europea hanno avuto un impatto sugli scambi commerciali tra Italia e Russia più a causa delle contromisure russe che delle misure dell’Unione.” Infatti nell’agosto del 2014 è stata la Presidenza russa, con due decreti, a vietare l’import di alcuni alimenti prodotti in Europa e Stati Uniti. Altre categorie alimentari, come il vino italiano, continuano a essere vendute molto bene nel mercato russo, con un impatto decisamente inferiore.
Il valore simbolico è paradossalmente molto più concreto. È infatti l’elemento su cui si basa l’alleanza giallo-verde, il fondamento dell’idea dei sovranisti. Nel loro immaginario, la Russia è l’alternativa agli Stati Uniti, all’Unione europea, alle democrazie liberali, ai “poteri forti”: è la nuova potenza di riferimento.
A Milano, il 20 giugno, è stato presentato un libro, Putin contro Putin. L’autore è il filosofo Alexandr Dugin, una delle voci che più sta contribuendo alla contaminazione del pensiero indennitario modellato sulla Russia di Vladimir Putin. La stampa descrive spesso Dugin come “l’ideologo di Putin”, etichetta che gli fa piacere ma dalla quale si sente rappresentato solo in parte. L’ha confessato lui stesso, in italiano, ai lettori presenti: “Putin è un uomo senza ideologie, non può avere ideologi.” Ed è proprio perché il presidente russo non ha un’ideologia che piace tanto a Lega e Cinque Stelle. Per lo scrittore, a prescindere dalle diverse ideologie che possono succedersi al governo, esiste uno spirito della “Russia eterna” che rimarrà sempre, e lui ne è suo portavoce. Andare nella direzione di questo spirito “non è un ritorno al passato, ma un ritorno all’eterno, che è un passo in avanti. L’eternità è fresca perché appartiene al presente e al futuro e questi fa parte del progetto della Russia eterna.
Questo ritorno ha coinciso con l’arrivo di Putin, definito “un burocrate” che sopportava poco il liberalismo di Boris Eltsin: per Dugin il suo pregio è quello di non aver ceduto alle tentazioni del liberalismo americano, ma di essere rimasto “russo.” È durante la presidenza di Eltsin che il filosofo fonda il primo partito rosso-bruno della storia, il cui obiettivo è annientare il presidente e la sua svolta liberale – l’altro fondatore, Eduard Limonov, si oppone a Putin da destra. Secondo Dugin, la Russia aspira a nuova epoca post-sovietica, e per inaugurarla ha bisogno di realizzare una sintesi che vada oltre nazismo e comunismo, perché “l’opposizione vera a Putin può arrivare solo da chi è più nazionalista”: le forze occidentali che supportano gli oppositori “liberal” del presidente fanno solo il suo gioco.”
Putin contro Putin è lo scontro tra due anime. C’è il Putin “solare”, il “leader forte”, autoritario, cristiano-ortodosso, di estrema destra, di valori saldi, potenza terrestre come la Russia, storicamente opposta alle potenze “di mare.” Ma esiste anche il Putin “lunare”, “poco deciso”, “che oscilla”, “che non sa nulla di giustizia sociale” – unica critica che Dugin fa al presidente russo–, che non pensa abbastanza al suo Paese. Non più “leader forte” ma “di minoranza,”: è questo il Putin che il filosofo vorrebbe eliminare.
Questa simbologia di Putin ha dei parallelismi con la parabola di Salvini dalla campagna elettorale a oggi. Pensiamo al giuramento sul Vangelo per esaltare il ritorno alle radici cristiane, alla chiusura dei porti per bloccare l’odiato meticciato mediterraneo, ai manifesti“prima gli italiani ” in nome del superamento del secessionismo padano – e inizio del secessionismo nazionale dall’Europa.
La visione di questo “leghismo identitario” è stata a lungo presa in giro dai membri dello stesso partito. Il percorso è stato tortuoso: nel 2014 ad aspirare a essere il leader di una Lega nazionale c’è Flavio Tosi. Cominciano le intese con l’estrema destra, ma nel 2015 l’ex sindaco di Verona – oggi semplice consigliere comunale – viene tagliato fuori dal partito, proprio poco prima che a Roma si organizzasse il convegno Verso una Lega nazionale e Salvini si incontrasse a Milano con Marine Le Pen a Più liberi più forti. Un’altra Europa è possibile. Arriviamo al 2017: il partito inizia a intrecciare relazioni sempre più fitte con realtà sovraniste dentro e fuori dall’Italia. Tra i tanti esempi ci sono gli eventi di gennaio 2017 a Kloblenz, in Germania, con gli altri leader identitari europei; gli incontri Lega – Generazione Identitaria(ad esempio a Piacenza) oppure a Praga a dicembre, sempre insieme a figure politiche di estrema destra. Poi, il 21 dicembre, il partito rimuove la parola “Nord” dal proprio simbolo e diventa semplicemente la Lega. Una decisione sgradita a Umberto Bossi e ai suoi fedeli, tanto che il presidente a vita della Lega Nord si è riferito a Salvini come artefice di un imbroglio. Si apre così, con la Lega libera dai passatisti, la fase giallo-verde.
Il percorso del Movimento 5 Stelle verso l’immaginario di Vladimir Putin è meno politico e più diretto. Nati autodefinendosi “né di destra, né di sinistra”, i Cinque Stelle non sembrano essersi mai posti il problema di quale fosse l’idea di mondo del loro partito. C’erano altre cose a cui pensare, dalle auto blu al reddito di cittadinanza. I pochi che si sono fatti qualche domanda sull’ideologia da adottare – soprattutto dopo la morte di Gianroberto Casaleggio – hanno scelto la stessa della Lega salviniana, ispirata al Putin “non ideologico.” Il risultato è che la vera ideologia che sottende il governo del cambiamento è quella di un’Italia putinana.
Qualche grillino della prima ora quest’alleanza l’auspicava da tempo. Due nomi su tutti: il filosofo Paolo Becchi e il fondatore del video blog ByoBlu ed ex Cinque Stelle Claudio Messora, alle origini ritenuti massimi esponenti del Movimento, oggi gongolano per l’accordo con la Lega. Poi c’è Diego Fusaro. È lui, l’ideologo delle teorie complottiste anti-Soros e anti-intellettuali del “pensiero unico” ad aver presentato a Milano il libro di Dugin. Il suo tifo giallo-verde non è nuovo: “Non so se sarà aperta un’alleanza con la Lega,” diceva a Intelligonews nel settembre 2017, “io auspico un fronte unico degli oppositori al globalismo capitalista, difensori della sovranità nazionale, dei diritti del lavoro e della ferma opposizione allo sradicamento capitalistico. Senza questo fronte unico non vi è possibilità di salvezza.”
Il filosofo contro il “turbocapitalismo”, che rimbrotta il “mondialista” Roberto Saviano per “l’attico a Nuova York”, che parla di “glebalizzazione” e altre amenità, ha trovato un megafono alle sue teorie nel giornale di Casa Pound, Il primato nazionale, organizzatore dell’evento di presentazione del libro di Dugin insieme all’Associazione culturale Lombardia-Russia, di cui è segretario Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini. “Non c’è più destra né sinistra, ora lo scontro è fra alto e basso, sono cambiate le geografie della politica,” dice Fusaro all’incontro con Dugin. Anche per il sedicente allievo di Marx, Putin è il modello da seguire: se Barack Obama era l’uomo dello “Yes, we can”, Putin è quello del “No, you can’t”: “Il ruolo della Russia nella storia nell’evo post 1989 è quello di mettere un argine alla talassocrazia del dollaro a stelle e strisce, al turbocapitalismo americano e aprire una nuova feconda fase di multipolarismo.” Qualunque cosa voglia dire, il giudizio su Putin è“positivo”, perché è nemico del “pensiero unico mondialista.” Questo concetto ha sempre avuto un certo successo su alcuni adepti del Movimento 5 Stelle, ora uniti alla Lega nella loro visione del mondo più profonda.
Nel presentare l’incontro, il direttore della rivista di CasaPound, Adriano Scianca, insiste sulla diversità di storie che si fondono per superare il “pensiero unico.” In fondo alla sala c’è chi si saluta cingendosi l’avambraccio. Saluto al sole nazista. Sotto il collo delle magliette si intravedono semicerchi, si immaginano croci celtiche sulla schiena o sulle braccia. Le teste sono rasate, i bicipiti muscolosi. Le storie sembrano essere tutte uguali, e tutte girano intorno alla stessa trama, quella neofascista. Fabrizio Fratus, ex Fiamma tricolore, poi leader del Fronte identitario e del think tank “Il Talebano”, che tanto ha sostenuto Salvini, direbbe che chi fa rientrare le forze sovraniste e identitarie in queste categorie “commette il solito errore: leggere tutto con gli occhiali del Novecento e interpretando con schemi superati e obsoleti quanto è avvenuto alla fine del secolo scorso.”
Oltre la destra e la sinistra, le turboteorie plutofilosofiche di Fusaro, gli “spiriti eterni” duginiani, c’è solo questo: il rosso-bruno identitario che tanto assomiglia al nero-fascista di CasaPound e del Front National. A cui i Cinque Stelle, come si sarebbe detto sotto la Prima repubblica, stanno dando “appoggio esterno.” Eccola qui, l’avanguardia del “governo del cambiamento.”