Con la vittoria di Trump, l’Italia ha solo da perdere ma la destra festeggia fingendo di non saperlo - THE VISION
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Ieri, alla Camera dei deputati, durante un question time, un noto cosplayer si è presentato vestito da Donald Trump, con tanto di cravatta rossa. L’argomento da trattare a Montecitorio era delicato: il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti doveva infatti discutere di sicurezza sui treni, soprattutto in seguito al recente episodio del capotreno accoltellato su un regionale a Rivarolo, vicino a Torino. È un dettaglio non di certo irrilevante sapere che il cosplayer e il ministro fossero la stessa persona, ovvero Matteo Salvini – che ormai già ci ha abituati ai travestimenti da poliziotto, da pompiere e via dicendo – e che tutte le domande dei giornalisti fossero sulla sua cravatta. “È una bella cravatta”, ha commentato il ministro, per poi attaccare gli avversari di Trump parlando di Maalox come un qualunque boomer su Facebook. Ha poi aggiunto: “Per l’economia italiana e il futuro dei nostri figli la vittoria di Trump è una buona notizia”. Al di là del fanatismo, una dichiarazione del genere palesa cecità sul panorama economico o un difetto di sincerità nel restituire l’analisi alla popolazione. 

Anche sui social i sostenitori della destra italiana hanno seguito l’esempio di Salvini e si sono uniti ai festeggiamenti per la vittoria di Trump. Mi è venuta in mente l’immagine di una massa di persone danzanti mentre un meteorite è in procinto di colpire la Terra. Un misto tra Don’t look up e un baccanale tra condannati a morte. Un tripudio di bandiere americane, sviolinate a Trump e insulti contro i “comunisti” che perdono sempre. Come se Harris fosse una compagna, una bolscevica di ferro. Nel mentre, persino Meloni e Tajani hanno tenuto un basso profilo, limitandosi a messaggi istituzionali, con il leader di Forza Italia quasi a supplicare Trump di graziare l’Italia sui dazi, a mo’ di “ricordati degli amici”. Perché ciò che il popolo di destra ignora (ma Meloni e Tajani no) è proprio la conseguenza dell’elezione di Trump “per l’economia italiana e il futuro dei nostri figli”, usando le parole di Salvini. Tecnicamente è un discorso finanziario sull’export, i dazi e diversi settori che subiranno variazioni nei profitti e nelle spese, ed è giusto approfondire nel dettaglio. Visto che però, a quanto pare, è necessario parlare alla pancia delle persone per farsi capire, possiamo chiamare con il suo nome ciò che l’Europa e l’Italia subiranno sotto la presidenza Trump: una mazzata.

Nel dettaglio, la politica economica protezionistica di Trump l’abbiamo già assaggiata durante il suo primo mandato, quando ha imposto dazi su 380 miliardi di dollari di prodotti importati, coinvolgendo non soltanto la nemica Cina, ma anche gli alleati membri della Nato. Biden ha poi tenuto i dazi per la Cina, mentre ha raggiunto una tregua commerciale con gli altri Stati. Adesso Trump non soltanto vuole reinserirli, ma lo farà alzando ulteriormente le percentuali rispetto al suo primo mandato. In campagna elettorale ha detto che il piano consiste nell’introduzione di tariffe sulle importazioni tra il 10% e il 20%, ovvero una riduzione di almeno un punto percentuale del PIL europeo, con l’Italia tra i Paesi più penalizzati proprio per i rapporti commerciali e i dati sull’export con gli Stati Uniti, che la vedono al primo posto tra tutti e ventisette gli Stati membri. Considerando che l’export vale il 30% del Pil italiano, gli esperti hanno spiegato che la rielezione di Trump impedirebbe al nostro Paese di raggiungere la crescita del Pil dell’1,2% prevista nel 2025. Se già senza questa incombente crisi commerciale il governo è stato costretto a fare una manovra tra tagli, aumenti delle accise e soldi chiesti alle banche, la prospettiva con il Trump-bis è desolante, e non si capisce cosa abbiano da festeggiare i trumpiani nostrani.

Lo stesso tycoon è stato esplicito durante un recente comizio: “Al di fuori di amore e religione, la parola più bella che ci sia è dazio”. Il piano prevede l’indebolimento dell’Europa, ovvero il sogno proibito di Putin, che non a caso nel 2016 ha utilizzato tutti i suoi canali di potere per interferire sulle elezioni statunitensi per favorire la vittoria di Trump. Inoltre, non è altro che la diretta conseguenza del sovranismo e del suo paradosso: se ogni nazione pensa solo a se stessa – “Prima gli italiani”, “Prima gli ungheresi”, “America first” – è inevitabile sgomitare per prevalere proprio a scapito delle altre. E, come per la legge della giungla, a prevalere sarà il più forte. L’Italia e l’Unione Europea sono in una condizione di inferiorità economica rispetto agli Stati Uniti, dunque l’indebolimento toccherà tutte le nazioni e comporterà sacrifici, tentativi di negoziazione, crisi nei settori principali dell’economia del continente e del nostro Paese. In sostanza, l’elezione di Trump non è solo un pericolo per la democrazia, la sconfitta dei principi etici e morali con un condannato che arriva alla Casa Bianca ottenendo così l’immunità e salvandosi dalla prigione, non è nemmeno solo lo specchio di una perdita valoriale, è anche, concretamente, un macigno che graverà sulle casse di diversi Stati nel mondo, compreso il nostro. E non basterà indossare una cravatta rossa per risollevare le nostre sorti.

Tra l’altro, i dazi di Trump colpirebbero prevalentemente il settore manifatturiero, dunque proprio i mestieri elencati da Salvini nelle sue liste-meme. A farne le spese sarebbero sia il ceto medio-basso per le ripercussioni sull’economia generale, sia gli imprenditori e i proprietari d’azienda, costretti a subire la guerra tariffaria rinunciando a esportare i propri prodotti negli Stati Uniti o accettando le variazioni causate dai dazi. Al popolo – che quando è arrabbiato è tutt’altro che bue, come dimostrato dalle proteste in seguito alla recente manovra del governo – poi non interesserebbero più le favolette di Salvini sulla cultura woke e il politicamente corretto, e le lodi a Trump diventerebbero improperi contro l’ennesimo alleato indegno della destra. Putin, Orban, Bolsonaro, Netanyahu: tutti gli amici dei sovranisti italiani hanno svelato la loro natura, e qualsiasi propaganda è destinata a scricchiolare di fronte ai cittadini più consapevoli, alla realtà tangibile che sovrasta la narrazione – a meno che l’orgoglio del tifo non ci renda così masochisti da preferire l’autoflagellazione alla presa di coscienza.

Io posso anche capire come il dibattito pubblico nel terzo millennio si sia trasformato in un tifo da stadio; non possiamo chiudere gli occhi di fronte a un’evidenza. Ma chi festeggia per l’elezione di Trump probabilmente non ha la minima idea delle conseguenze che lui stesso subirà. Al momento gli interessa soltanto che “le zecche” abbiano perso e che ci sia “l’uomo forte” al comando, colui che è stato descritto dai suoi rappresentanti come la panacea di tutti i mali. La politica oggi è soprattutto obbedienza, fede cieca, denigrazione dell’avversario-nemico, e lo diventa chiunque non rientri nei ranghi della propria fazione. Dunque se Salvini spiega che la vittoria di Trump sarà una manna per la nostra economia, l’accettazione è un automatismo senza nemmeno informarsi sulla veridicità delle affermazioni di questione.

Anche perché poi il fact-checking sarà sempre più irrilevante e con un’eco infinitamente inferiore rispetto alla sparata del politico. In primis perché vige la negazione della realtà, il desiderio di non credere a ciò che non corrisponde a ciò che si vuole sentire. Da questo non se ne esce, l’informazione diventa l’ornamento in una stanza buia, la verità un fattore trascurabile. La parola “dazi”, seppur pronunciata ripetutamente e in modo chiaro da Trump praticamente a ogni comizio, sarà associata all’invenzione dei giornali, alle paranoie dei comunistacci che non accettano l’esito di un’elezione. E si continuerà a ballare con gli occhi chiusi, con il meteorite sempre più vicino alla testa.

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