Agli albori del nuovo millennio arrivó in Italia il Grande Fratello, l’antesignano di quell’ondata di reality show che avrebbe poi invaso le reti televisive. La gente diceva di non guardarlo, fingeva indifferenza di fronte alle dinamiche degli inquilini chiusi in quella casa. I dati auditel dicevano tutt’altro: il Grande Fratello incollava gli italiani alla tv.
Allo stesso modo, nessuno ammetteva di aver dato il proprio voto a Silvio Berlusconi. I suoi elettori si nascondevano, sembravano animali in letargo che si manifestavano soltanto in prossimità della cabina elettorale. Il segreto delle urne resisteva fino agli exit-poll, poi veniva svelata la realtà: Berlusconi incamerava un numero esorbitante di voti. Alle elezioni del 2001, la Casa delle Libertà prese il 49%, 18 milioni di voti. Berlusconi venne eletto presidente del Consiglio, così come nel 1994 e nel 2008. In quella tornata elettorale, la Lega Nord, compagna di coalizione di Forza Italia, prese soltanto il 3,9%. Era Berlusconi ad accentrare i voti, a superare le inchieste giudiziarie, a emanare le leggi ad personam e a servirsi del malcostume di una nazione, che l’uomo di Arcore aveva trasformato nella sua personale passerella verso la gloria – o verso qualunque luogo che non fosse il carcere.
Analizzando i flussi elettorali, adesso è facile captare gli spostamenti di quei voti, andati a rinvigorire il bacino gialloverde. L’elettorato del Cambiamento, un Cerbero che ha dovuto accettare il bicefalismo e adesso lo rivendica, pretende l’esclusiva sulla verginità politica, sull’incorruttibile trasparenza che viene spiattellata a ogni respiro. L’onestà – presunta – come un vessillo, e la supposta superiorità morale come scudo per perpetrare l’arroganza, non cancellano un dato di fatto: molti di loro sono gli stessi che per un ventennio hanno votato Berlusconi.
Perché i berlusconiani non si sono estinti come i dinosauri, né hanno cambiato Paese per la vergogna. Hanno semplicemente cambiato colore. Eppure, almeno dai sondaggi, Forza Italia si sta prosciugando in modo inversamente proporzionale all’ascesa di Salvini, restando in questi mesi sempre abbondantemente sotto il 10%. Stupisce peró un dato di Ipsos: tra gli elettori che nel 2013 hanno votato per la coalizione di centrodestra, con Berlusconi leader, l’8% ha trovato rifugio, il 4 marzo 2018, nel Movimento Cinque Stelle. Sembra una percentuale risibile, ma sono centinaia di migliaia di voti, passati da un condannato per frode fiscale (con lo spettro della mafia a soffiargli sul collo) al Movimento che ha sempre rivendicato l’onestà assoluta. Renzi aveva già fiutato l’imminente caduta di Berlusconi, compiendo uno degli errori più marchiani della sua esperienza politica: cercare di raccattare non i voti dei delusi di sinistra, ma quelli degli orfani di Silvio, facendo un imperdonabile passettino a destra. L’illusione di una grande casa dei moderati è fallita per una semplice ragione: i berlusconiani non rientravano e non rientrano in questa categoria. La natura ondivaga di quell’elettorato si è palesata nel Meridione. Un tempo terra di conquista berlusconiana, soprattutto in Sicilia, con percentuali bulgare, il Sud si è risvegliato grillino.
Gli italiani sono maestri del salto sul carro del vincitore. Quando il vento cambia, ci si aggrega alla maggioranza. La Liberazione del 25 aprile ha reso gli italiani antifascisti, mentre fino al giorno prima imperversava il saluto romano; Tangentopoli ha cancellato quella politica che per mezzo secolo aveva rappresentato il credo dell’intero Paese. Non esiste una coerenza storica, una linea di continuità netta da marcare un’appartenenza politica, o per lo meno ideologica. È un continuo sovvertimento della propria natura in base alle opportunità, o agli spostamenti del gregge. Cambiare idea è lecito, talvolta persino consigliabile; fingere di non avere mai compiuto la metamorfosi, invece, equivale a rinnegare se stessi per il solo vantaggio di seguire una tendenza.
Se per i politici grillini Berlusconi è il male assoluto (e la frase resta incontestabile), lo stesso non si puó dire per una parte dei suoi elettori, considerando che molti di loro un tempo erano tra le grinfie del Caimano, insultavano il Travaglio di turno e ostracizzavano quelli che erano i valori (o i presunti valori) su cui si basa il M5S. Anche Salvini si arrocca sulle posizioni legate alla parola “cambiamento”. Lui stesso sa di avere nel paniere gran parte dei vecchi voti di Berlusconi. Ha preso la Lega al 4%, si è alleato con l’ex Cavaliere e gli ha gradualmente succhiato l’anima, rubandogli l’elettorato. Dunque, la boria con cui leghisti e grillini esasperano il concetto di “aria nuova” appare contraddittoria. Prendete un loro elettore, colui che pontifica sugli astrattismi dell’onestà e della limpidezza, e ponetegli un’unica, diretta domanda: “Per cosa hai votato negli ultimi vent’anni?”
L’ho fatto, e lui ha agito in due modi: dapprima si è nascosto come un telespettatore del Grande Fratello, non sapendo cosa rispondere e bloccandosi come per un bug del sistema, dopo ha replicato parlando dell’aereo di Renzi e del fratello dello zio del nipote del nonno di suo cognato, famoso pluripregiudicato che ha devastato il Paese.
Se nel centrosinistra esiste il pentimento prima ancora di dare il voto, e prevalgono l’ingresso nella cabina elettorale con il naso preventivamente tappato, le scissioni infinite e le autocritiche tafazziane, negli altri partiti regna la modalità opposta: l’incapacità di ammettere un errore. “Scusate, ho votato per vent’anni un delinquente,” sarebbe una frase troppo forte, è comprensibile. Ma almeno sarebbe bene evitare le filippiche sul senso della giustizia e le zigzagate oratorie sulla coscienza pulita (mentre gli altri sono tutti ladri, a prescindere). Se il berlusconismo è giunto all’inevitabile crepuscolo, le sue scorie continuano a circolare in una classe politica forgiata inconsapevolmente su quelle basi. Le dirette Facebook di Di Maio e Salvini hanno la retorica del videomessaggio con cui Berlusconi è sceso in campo: “L’Italia è il Paese che amo” ha diramato i suoi filamenti fino a diventare l’insieme di tutti gli slogan di oggi.
Il “contratto con gli italiani” stipulato nel salotto di Bruno Vespa, simbolo dell’inefficacia dei pezzi di carta firmati sotto i riflettori, ha subito una mutazione fino a risorgere come “contratto di governo”, su cui Lega e M5S basano e giustificano le loro mosse come un dogma autoimposto.
Lo stesso Renzi ha pescato nel mazzo di Berlusconi, per la facilità del suo eloquio e il carisma acchiappa-casalinghe. Ma ha scelto le carte sbagliate, rivolgendosi a un elettorato che chiedeva altro, non la versione democristiana di un berlusconismo fuori tempo massimo. Berlusconi ha fatto scuola e le sue tracce sono ancora visibili nel panorama politico. Quel che funziona adesso è la versione rivisitata di quel che funzionava vent’anni fa, semplicemente perché gli elettori sono gli stessi. “Aboliremo la povertà” è il subdolo prolungamento delle promesse berlusconiane, mentre l’odio leghista nei confronti degli immigrati, e la necessità di creare un nemico a tutti i costi, è la proiezione di quello che Berlusconi generava attorno alla fantomatica minaccia dei comunisti. L’anacronismo di ieri non è altro che l’invenzione di un pericolo di adesso.
Non c’era il fantasma bolscevico prima, e non esiste un’emergenza immigrati nel 2018. Persino i rischi economici sono gli stessi. Berlusconi non è caduto per le sue malefatte, per le scelte politiche disastrose o per i suoi guai giudiziari: è stato sconfitto dallo spread. Che rientra comunque nelle conseguenze di una linea politica scellerata, e tocca direttamente anche il governo gialloverde. Le reazioni d’altronde sono le stesse di allora: è l’apparato dell’Europa a essere additato come un sadico strozzino, non vi è alcun mea culpa su una manovra finanziaria scriteriata.
È la storia che si ripete, l’eterno ritorno di un Paese dalla memoria corta. Gaber diceva: “Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me.” È una lotta intestinale che si ripropone con Salvini e con i Cinque Stelle, abili nel tentare di portare in superficie una parte di noi, la più becera, per innalzarla e farne sostanza da propaganda. Berlusconi racimolava il 49% dei voti. Un italiano su due, tra chi votava. Se sei in ascensore con il tuo vicino, e tu non hai mai votato Berlusconi, sappi che lui l’ha fatto. E adesso indossa lo smoking bianco, dopo averlo ripulito dagli schizzi di fango. Perché l’Italia è una lavatrice: smacchia, risciacqua, centrifuga, e tutto torna lindo, pronto per essere sporcato di nuovo.