L’Assemblea Costituente del Movimento Cinque Stelle mi ha fatto venire in mente una famosissima frase di Karl Marx presente nella sua opera Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte: “La Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa”. Gli iscritti del M5S sono stati invitati a votare per stravolgere lo statuto, di fatto rinnegando se stessi. Non che fosse un’idea sbagliata, considerando i danni del populismo grillino nell’ultimo decennio; eppure, è sembrato un goffo tentativo di uccidere, in senso freudiano, il padre. Tra i quesiti, infatti, i più importanti erano due: lo stop al limite dei due mandati e l’abolizione del ruolo di garante. Ovvero defenestrare Beppe Grillo, un tempo padre padrone, poi garante, adesso reietto inviperito che considera Giuseppe Conte un insignificante azzeccagarbugli e non si rassegna alla caduta del progetto a cui ha dato vita.
Diciamoci la verità: la storia del Movimento Cinque Stelle l’ha scritta Mary Shelley. Nell’immaginario collettivo, un po’ per effetto Mandela e un po’ per ignoranza, si pensa erroneamente che Frankenstein sia il mostro e non il dottore che l’ha creato. Però occorre fare un passo indietro e tornare ai tempi in cui Grillo durante i suoi spettacoli di inizio millennio distruggeva i computer sul palcoscenico. Se nell’opera di Shelley il dottor Frankenstein sogna di dare vita alla materia inanimata, e per farlo si aggira nei cimiteri di notte per raccattare parti del corpo dei cadaveri, Grillo ha seguito la stessa utopia. Il tanto odiato computer, materia inanimata, è diventato il suo mezzo di creazione, e proprio all’interno di quei computer spaccati ha cercato e trovato le componenti, gli utenti del web, per dare vita alla sua creatura. La natura prometeica dell’operazione, dopo l’illusione iniziale, si è rivelata un fallimento. Il mostro generato da Frankenstein si è ribellato al suo creatore fino a condurlo alla morte. Politicamente e mediaticamente, il Movimento Cinque Stelle ha fatto lo stesso con Grillo.
Le modalità di questa operazione sono state più che ambigue. Per modificare lo statuto del M5S, infatti, è necessario raggiungere un quorum, ovvero superare il 50% degli iscritti. Un numero intorno ai 160mila utenti, a quanto pare considerato troppo alto da Conte. Da buon avvocato si è dunque appellato a un cavillo dello statuto, cioè la possibilità di cancellare gli iscritti che non avevano votato nell’ultimo anno. Si è passati così a poco meno di 90mila utenti, con il quorum fissato intorno ai 44mila. Per far raggiungere quel numero le votazioni online sono durate addirittura quattro giorni. Alla fine, seppure con diverse difficoltà, il piano di Conte è riuscito: su 54mila votanti, 34mila hanno scelto di modificare lo statuto. Va bene che ormai i voti del M5S si contano sulle dita di poche mani e che alle recenti tornate elettorali sono finiti sotto Alleanza Verdi e Sinistra, scendendo sotto il 5%, ma resta bizzarro – la farsa di Marx – che 34mila utenti sul web abbiano avuto il potere di uccidere Frankenstein.
Grillo, ancora per poco garante, ha chiesto di far ripetere le votazioni. Conte ha parlato di “sabotaggio” e sono volati ancora gli stracci, come da mesi a questa parte. Nessuno dei due si è probabilmente accorto che la materia inanimata è adesso proprio il Movimento Cinque Stelle. Dal lato di Conte c’è l’intento di trasformare il Movimento in un effettivo partito, di staccarsi dal garante come già si era allontanato dalla galassia Casaleggio. Da quello di Grillo c’è il tentativo di non perdere il potere (e i soldi) di quel computer ormai distrutto, con i tasti e i frammenti di schermo sparpagliati sul palcoscenico, in un teatro ormai senza spettatori e con i riflettori spenti.
Nessuno, tantomeno Grillo, all’inizio poteva immaginare Conte come un regicida. È stato scelto come premier del suo primo governo proprio per la sua figura innocua, il sorriso rassicurante “che piace a grandi e piccini”, un po’ da attore di una fiction da prima serata. Ed è quello il ruolo che ha avuto nel Conte I: l’estensione incolore di Salvini e Di Maio. Accettava i decreti sicurezza leghisti, le sceneggiate sui balconi per la “povertà abolita”, i continui litigi tra le parti. Era un mite, accondiscendente, non rappresentava un pericolo né per il Movimento né per i suoi leader. Eppure lo sappiamo, nei gialli l’assassino è sempre il maggiordomo.
Qualcosa è cambiato durante il Conte II. Appariva in televisione da solo, i messaggi alla nazione erano un po’ orwelliani, sdoganando i monologhi a scapito delle conferenze stampa. Parlava durante il lockdown alla gente chiusa in casa diffondendo il verbo di Rocco Casalino, colui che è diventato qualcuno proprio per essere stato chiuso in una casa, e sempre di orwelliana memoria. Dall’alleanza con la destra si passò a quella con la sinistra, con Grillo sempre meno presente, quasi disorientato per l’ascesa di un maggiordomo divenuto padrone di casa fino a requisire le chiavi dell’abitazione. Poi è arrivato Draghi, con il Movimento Cinque Stelle prima a votare la fiducia e poi a tradirlo, quando i voti erano ormai evaporati. Adesso l’opposizione, il camaleontismo che ha portato alla pretesa di essere un partito progressista. Ogni tanto tutti in piazza con Schlein, Bonelli e Fratoianni, poi la schizofrenia di rinnegare tutto e non dare l’appoggio a un candidato di qualche elezione amministrativa. È questa la fase in cui il rapporto con Grillo si è deteriorato definitivamente. Non serviva più un garante, nemmeno il vecchio blog o la piattaforma dei Casaleggio. C’è stato l’esodo dei Di Battista e delle Raggi, degli ex puristi antiatlantisti affascinati dal mondo russo. È ironico come per Grillo in politica sia nato tutto con un Vaffa-day e sia finito con il suo popolo che che glielo rimanda sonoramente.
Il reale fallimento del Movimento Cinque Stelle consiste proprio in quella che paradossalmente era un tempo la sua forza: la post ideologia. Ha funzionato quando il popolo chiedeva rabbia e ardore, quando la destra era prosciugata dai processi berlusconiani e la sinistra latitava tra un segretario sbagliato e l’altro. Chi è arrivato dopo – Salvini e poi Meloni – ha usato lo stesso populismo grillino, associandolo però a quella slavina del berlusconismo che ancora invade ogni aspetto della loro politica. Hanno dunque usato la comunicazione aggressiva del Movimento, l’uso massiccio delle fake news, appellandosi però a un’ideologia, a una direzione molto più netta rispetto a quella grillina. Prevalentemente neofascista, xenofoba, razzista, d’accordo, ma almeno c’era chiarezza con gli elettori: “Noi siamo questa roba qui”. Invece nessuno sa cosa sia esattamente il Movimento Cinque Stelle, se non una meteora del firmamento politico che ha influenzato la società a livello di lessico, di disfunzionalità all’interno del dibattito pubblico e improvvisazione al potere. Si è passati da “uno vale uno” a “uno contro uno”, il match tra Conte e Grillo per determinare il capitano a cui toccherà la sorte di dover essere l’ultimo a restare a bordo della nave che affonda.
L’impronta di Beppe Grillo nella storia italiana è stata significativa. A mio parere è stata dannosa, ha dato vita a una mai del tutto nata Terza Repubblica all’insegna dell’approssimazione. Oggi probabilmente starà reagendo alla sua sconfitta spaccando di nuovo il computer, pentendosi di aver creato un mostro e di esserne diventato vittima. La genialità della sua carriera da comico è stata divorata dalla megalomania politica, e forse la vera mossa per uscirne da vincitore, per una distopia che probabilmente è presente solo nella mia mente, sarebbe esplicitare la natura farsesca della sua azione. Comunicare al Paese che il Movimento Cinque Stelle non è stato altro che un esperimento sociale, un modo per far capire quale possibilità ci sia di manipolare le masse, di portare al potere i signor nessuno attraverso qualche voto online. La tesi della vittoria dei computer, delle macchine sull’uomo. Se lo facesse, svelando l’inganno durato più di quindici anni, verrebbe considerato un impostore ma, di certo, anche un genio, forse addirittura una delle menti più brillanti del Paese, nonostante il danno arrecatogli. Eppure la realtà è diversa, Grillo combatte per poter mantenere il suo stipendio da 300mila euro l’anno come garante di una creatura che ha fallito una volta giunta al potere. Il dottor Frankenstein è solo, conta le sue banconote mentre il mostro gli ha succhiato l’anima e non resta più nulla. La materia inanimata rimane tale, non si possono sfidare le leggi della natura. Ne ha fatto i conti Grillo, e probabilmente l’intero Paese.