La situazione era già parecchio grottesca: una crisi di governo innescata da un uomo che voleva “pieni poteri”, ma che alla fine è stato fregato da quello che sembrava un innocuo alleato. Ma nel mare di dichiarazioni, smentite, totonomi, e saltimbanco alla Paragone capace di farsi anche richiamare all’ordine da Vasco Rossi, la politica italiana ha deciso di toccare un nuovo, profondo, fondo. Oggi le sorti di un’alleanza, di un governo, e in sostanza del Paese, sono appese a una votazione su una piattaforma privata diventata celebre per le enormi lacune di privacy, sicurezza dei dati nonché di chiarezza sulla proprietà e i suoi fini.
Partiamo dalle basi: il nome. Si dà il caso che il pensiero di Jean-Jacques Rousseau in merito al concetto di democrazia sia in più punti parecchio controverso. Se da un lato, nella seconda metà del Novecento e con il diffondersi impetuoso del marxismo, vari accademici (primo fra tutti Galvano Della Volpe) avviarono una rivalutazione in chiave marxista del filosofo nato a Ginevra, visto come il pensatore che aveva distrutto il quadro teorico del liberalismo rifiutando la democrazia rappresentativa e rivendicando una democrazia diretta, proprio per gli stessi motivi sono in molti ad aver visto nel suo pensiero delle “infiltrazioni totalitarie”. Nel suo libro La Rivoluzione francese 1788 – 1792 Gaetano Salvemini, critica l’idea di Rousseau di una “società perfetta” e le contrappone l’idea di una democrazia in cui “La maggioranza abbia il diritto di governare, ma abbia il dovere di rispettare nella minoranza il diritto di critica e quello di diventare alla sua volta maggioranza”. Anche se dovrebbe essere superfluo ribadirlo, quello della tutela delle minoranze è il principio della nostra democrazia.
È su questo punto che si è soffermato anche Luigi Einaudi. In un discorso sul filosofo pronunciato all’Università di Basilea nel 1956 – poi raccolto nelle Prediche inutili – sottolinea diversi aspetti inquietanti. Einaudi ricorda che nel Contratto sociale si legge che il popolo è “una moltitudine cieca, la quale spesso non sa ciò che vuole, perché raramente conosce quel che è bene per lei” – c’è da dire che difficilmente troverei parole più giuste per descrivere la moltitudine di elettori Cinque Stelle. E affinché la ”volontà generale” – ovvero ciò che è bene per tutti, anche a loro insaputa – possa affermarsi, occorrono due condizioni, secondo il ginevrino: che non ci siano partiti ad alterare il giudizio dei singoli e che ci sia una guida, il famoso “legislatore”, che educhi profondamente gli uomini, che trasformi la loro natura e che adegui la loro volontà alla ragione. Solo in questo modo i cittadini riuniti sono in grado di esprimere la “volontà generale” – con buona pace dell’uno vale uno.
La cosa inquietante è che, secondo Rousseau, chi dissente da tale disegno deve sottomettercisi, ammettere di essersi sbagliato e riconoscere la Verità. Dunque, osserva Einaudi, in questa concezione il cittadino che dissente dalla maggioranza non ha il diritto di sostenere le proprie opinioni, di volgere la minoranza in maggioranza e di modificare le leggi, qualora riuscisse a persuadere altri. In questo modo però, diceva Einaudi, Rousseau ha teorizzato uno Stato totalitario, con conseguenze esiziali: “Da Robespierre a Babeuf, da Buonarroti a Saint-Simon, da Fourier a Marx, da Mussolini a Hitler, da Lenin a Stalin, si sono succedute le guide a insegnare ai popoli inconsapevoli quale era la verità, quale era la volontà generale, che essi ignoravano: ma che una volta insegnata e riconosciuta, i popoli non potevano rifiutarsi di attuare”.
Una volta chiarita l’inadeguatezza del nome scelto, passiamo ad alcune considerazioni sulla piattaforma stessa. La Casaleggio Associati ha progettato e sviluppato la piattaforma Rousseau. C’è da dire che la C&A si è sempre occupata di comunicazione “visionaria”, tanto che prima del M5S aveva curato quella dell’Italia dei Valori. Se volete alleggerire l’attesa per le sorti di questo governo date un occhio ai “comizi” di Di Pietro su Second Life, progetto del 2007 a cura della C&A. Nel 2016 la piattaforma viene rilasciata e donata al M5S e la sua gestione affidata all’Associazione Rousseau, fondata da Gianroberto e Davide Casaleggio con lo scopo di sostenere e sviluppare l’omonima piattaforma di democrazia diretta. È già di per sé indicativo il fatto che non è possibile sapere se i costi del lavoro di progettazione e attuazione siano mai stati pagati dall’Associazione e quindi dai suoi donatori. Sta di fatto che, ad oggi, la piattaforma Rousseau non è gestita dalla Casaleggio Associati, anche se è formalmente così. Peccato che il punto di contatto ci sia e pure grosso: chi è il presidente dell’Associazione Rousseau? Davide Casaleggio, presidente e proprietario anche della Casaleggio Associati. Tu guarda che coincidenze.
Il conflitto d’interessi è palese, ma qui si inserisce l’altra geniale trovata comunicativa: l’Associazione è sì privata, ma senza scopo di lucro, dato che Casaleggio non percepisce alcuno stipendio per la sua attività nell’Associazione e questo cancellerebbe, a detta loro, il conflitto di interessi. Giù al Sud, dove sono cresciuto, questo si chiamerebbe gioco delle tre carte, ma tant’è. Certo ci sarebbe un punto spinoso per i Cinque Stelle: quel piccolo particolare delle “donazioni”, obbligatorie per statuto, – quindi come si faccia a chiamarle donazioni vorrei saperlo, essendo di fatto dei contributi – che i parlamentari grillini sono tenuti a versare all’Associazione. Questo punto è davvero contorto, non è facile da spiegare agli elettori. Invece l’Associazione candidamente specifica che la Casaleggio Associati non percepisce nulla di quegli importi. Bene, ma dà il caso che senza quegli importi le passività dell’Associazione supererebbero di parecchio le entrate, come dimostra l’ultimo bilancio approvato.
I buchi per il momento restano ben lontani: ricordiamo infatti che per statuto gli eletti del M5S alla Camera e al Senato sono tenuti a versare “un contributo mensile di euro 300 destinato al mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari”. Grazie a questa norma, i 220 deputati e 107 senatori pentastellati consentiranno a Rousseau di incamerare più di 1 milione e 177mila euro per ogni anno di attività dell’attuale Parlamento. A voler pensare male si potrebbe dire che il presidente dell’Associazione Rousseau, che è anche il presidente della Casaleggio Associati, e quindi legato a doppio mandato al M5S, avrebbe tutto l’interesse a evitare le elezioni nei prossimi mesi. Ma noi siamo persone candide, e certe cose non le pensiamo.
Concentriamoci quindi sui caratteri più tecnici, che poi è l’aspetto che più degli altri ha reso evidente l’inadeguatezza della piattaforma. In primo luogo il numero di iscritti non è noto e non è ufficiale, come fatto notare più volte dal giornalista Iacopo Jacoboni: per Di Maio sono 100mila, ma non ci sono dati ufficiali depositati agli atti. Già questo non dato dovrebbe preoccupare, visto che in teoria il numero esatto degli aventi diritto al voto è un dato necessario per conoscere, per esempio, il vincitore di una votazione: se non si ha certezza del numero degli iscritti, secondo quale criterio dovrei fidarmi delle strabilianti cifre riguardo il numero dei partecipanti a una consultazione? C’è poi quella piccola cosa chiamata “sicurezza”: in una votazione la preferenza deve essere personale e segreta e non deve essere possibile votare più volte. Invece le identità dei votanti non sono protette da anonimato ed è stato più volte dimostrato che la piattaforma non è a prova di hacker – per info e chiarimenti chiedere a Rogue0.
In questo senso Rousseau è stata anche multata dal Garante della Privacy. Lo scorso marzo è stata comminata un’ammenda di 50mila euro in quanto la piattaforma – si leggeva nelle motivazioni – “Non garantisce la protezione delle schede elettroniche e l’anonimato dei votanti in tutte le fasi del procedimento elettorale elettronico”. Anche l’anno scorso Rousseau è entrata nel mirino del Garante, che ha inflitto una multa da 35mila euro di multa per uso illecito dei dati personali. Le sanzioni, modeste nelle somme, sono molto preoccupanti nella sostanza, perché dicono che Rousseau è insicura, non segreta e manipolabile. Ancora adesso, mentre scrivo questo pezzo, Fabio Pietrosanti dell’Hermes Center for Transparency fa notare che secondo iMozilla HTTP Observatory il rating della piattaforma Rousseau è F, il più basso. Infatti, anche oggi pare siano in parecchi ad aver avuto problemi con la votazione.
Ciliegina sulla torta è il fatto che non esiste una società terza che verifica e computa i voti effettivi e le preferenze indicate – nonostante Davide Casaleggio ne abbia più volte annunciato l’ingaggio, alternando questa promessa a quella del controllo del voto tramite blockchain –, ma solo un notaio di fiducia del Movimento che, ad ogni tornata referendaria, verifica l’esito del voto e lo rende pubblico. Il notaio in un’intervista ha voluto precisare che, anche se è amico di Casaleggio, sarà imparziale. Perché dovremmo pensare il contrario?
Quella del notaio è probabilmente la metafora perfetta del momento politico che sta vivendo l’Italia e, ancor di più, del baratro in cui è stata gettata la nostra democrazia. Si è deciso infatti di delegare il futuro del Paese a un gioco a premi televisivo – anzi, per riprendere le parole del notaio delle votazioni sulla piattaforma, siamo dentro “Ballando con le Stelle”. I nostri politici, quelli votati alle elezioni del 2018 – va ricordato e ricordato ancora, perché il voto è sì un diritto, ma anche un’enorme responsabilità, e se oggi stiamo toccando il fondo è proprio a causa di quel voto – hanno masticato come un chewing gum non solo la Costituzione, ma l’idea stessa di democrazia, piegandola ai propri interessi e rivendendola come “cambiamento”. Come già successo in occasione di votazioni dal carattere strettamente politico (come quelle sul “Contratto di governo” o quella per salvare Salvini dall’operato della magistratura durante il caso Diciotti), da provetti prestigiatori hanno violentato e ingannato la volontà di partecipazione dei propri elettori con quesiti a dir poco retorici. Hanno pubblicizzato l’”uno vale uno” mentre assumevano i tratti del “legislatore” di Rousseau.
Con buona pace di tutti quelli che davvero hanno creduto nella carica rivoluzionaria del Movimento votandolo, per i vari Casaleggio, Grillo e Di Maio gli elettori sono “una moltitudine cieca, la quale spesso non sa ciò che vuole perché raramente conosce quel che è bene per lei”. Ma pensano di saperlo loro. Per questo hanno creato un giocattolino, l’hanno chiamato piattaforma, gli hanno dato un nome che fa chic e l’hanno venduto come il futuro, come “democrazia diretta digitale”. D’altronde la Casaleggio Associati fa consulenza per strategie digitali, e a quanto pare lo fa bene. Tanto da illudere tutti, o quasi.