In Germania la cancelliera Angela Merkel si è imposta sui Land riluttanti a istituire lockdown nazionali e regionali appellandosi più volte a ridurre “al minimo i contatti sociali”, e disponendo dal due novembre un lockdown light ma con limitazioni sugli assembramenti, sui contatti interpersonali e sul commercio più incisive che in Italia. “Anche un giorno, anche un’ora”, ha fatto notare Merkel, “contano”: così la Germania, che registra meno contagi e meno morti giornalieri per Covid-19 – e più posti disponibili in terapia intensiva – degli altri Paesi dell’Ue, ha “agito subito” per scongiurare il peggio. In Italia assistiamo invece da giorni a una commedia dell’assurdo che questo inverno può riportare il Paese nella situazione già vissuta in primavera. Governo centrale e amministratori locali sono impegnati in un reciproco scaricabarile al punto che dal Quirinale Sergio Mattarella ha richiamato “alla stretta collaborazione” i rappresentanti della conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini e Giovanni Toti. Nessun governante, a livello nazionale e locale, vuole assumersi la responsabilità di misure restrittive indispensabili per tutelare la salute della collettività, ma ormai sempre più impopolari.
Il ping pong ricorda il braccio di ferro del marzo scorso tra governo e Regione Lombardia sul chiudere o meno a Bergamo la Val Seriana, mentre nei centri della valle di Alzano e Nembro esplodevano i contagi. Un ritardo che avrebbe contribuito a causare, neanche un paio di settimane dopo, almeno 4500 morti per Coronavirus in un mese nella sola provincia di Bergamo, stando ai dati mappati dall’Eco di Bergamo, e che nel solo capoluogo ha fatto impennare i decessi del 568% rispetto al 2019. I familiari delle vittime chiedono giustizia sulla mancata istituzione della zona rossa alla procura di Bergamo, che indaga per chiarire le responsabilità sulle decisioni mancate o rimandate. Interrogato dai pm, Conte si è assunto la responsabilità politica di aver atteso giorni su Bergamo, per decidere infine una “soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione”. Ossia il lockdown dell’intero territorio lombardo l’8 marzo, e poi nazionale il 10 marzo 2020. Stavolta si è però capito chiaramente che il presidente del Consiglio non ha intenzione di essere responsabile di un secondo lockdown nazionale: sia negli ultimi Dpcm che nei negoziati tra le parti che li hanno preceduti, Conte ha cercato di passare a sindaci e governatori la palla dei lockdown mirati. Escludendo sempre chiusure generalizzate.
Questa linea poteva essere comprensibile all’inizio della pandemia, considerati gli ampi poteri sulla sanità che la Costituzione assegna alle Regioni e, più in generale, il margine di autonomia delle amministrazioni locali. Ma di fronte alla seconda ondata il governo non può perdere giorni che faranno la differenza, insistendo nel voler far decidere Regioni e sindaci che in diverse occasioni si sono dimostrati inadeguati nella gestione della prima ondata e anche nel “prepararsi” alla seconda. Lo stato di emergenza, che in Italia non è mai stato revocato dal 31 gennaio 2020 – in base alla legge 225 del 1992 che ha istituito la Protezione civile – permette al governo di accentrare anche in materia di sanità poteri normalmente riservati agli enti locali per garantire un intervento immediato e coordinato a livello nazionale. Nonostante ciò, ancora nel Dpcm dello scorso 18 ottobre, Conte ha invitato i sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, a istituire con l’ausilio dei prefetti zone rosse nei centri urbani. Una mossa che si è rivelata inutile, visto che i primi interessati a riguardo, il sindaco di Milano Beppe Sala e l’omologo di Napoli Luigi de Magistris, hanno subito alzato gli scudi contro eventuali lockdown delle loro città, al momento le aree più critiche per l’impennata di contagi da Covid-19 di queste settimane.
Gli stessi sanitari di Milano e di Napoli sollecitano misure urgenti, perché sempre meno in grado di tracciare i casi e per il carico di ricoveri negli ospedali. Di fronte alle loro richieste è sconcertante quanto avviene ancora una volta nella metropoli lombarda. Milano (e buona parte della Lombardia) deve alla scelta del governo Conte di chiudere tutto, nel marzo scorso, l’essere rimasta al riparo da quanto accadeva a Bergamo. Non certo alle scelte di allora del sindaco Sala che in quelle settimane portava avanti la campagna #milanononsiferma, seguito dall’omologo di Bergamo Giorgio Gori (Pd) (#bergamononsiferma). Entrambi hanno poi riconosciuto l’errore e detto di non volerlo più ripetere. Eppure ora, di fronte all’Ordine dei medici di Milano che chiede “provvedimenti restrittivi immediati” per la situazione “molto seria e insostenibile”, Sala ribatte di trovarsi in sintonia con il governatore Attilio Fontana: “A oggi dalla Regione Lombardia non si ipotizza nemmeno lontanamente di andare verso un lockdown stile marzo e aprile, e io lo condivido”. Se fosse per loro saremmo ben lontani dalla necessità di creare una o più zone rosse in Lombardia, nonostante, come in Piemonte, nella regione l’indice Rt di diffusione del virus tra il 19 e il 25 ottobre sia salito sopra a 2.
La soglia Rt è uno dei parametri sanitari necessari per far scattare, in presenza del terzo e massimo livello di rischio definito nella bozza dell’ultimo Dpcm del 3 novembre , lockdown territoriali. Ma che la Lombardia voglia fare eccezione anche stavolta non stupisce: dal lockdown dello scorso febbraio di Codogno e Casalpusterlengo, imposto dal governo, la Regione non ha creato zone rosse, nonostante fosse e resti l’epicentro dell’epidemia. Sala continua a sostenere che non siamo più nella situazione di marzo e aprile, nonostante da settimane anche il membro del Comitato tecnico-scientifico regionale Fabrizio Pregliasco denunci che per una parte della Lombardia l’ondata autunnale sia peggiore della prima, e che il “coprifuoco non è sufficiente per Milano, perché la situazione è esplosiva”. Come le Ats, l’esperto sanitario segnala il “contact tracing in difficoltà” e ritiene opportuni “lockdown periodici” per “far tirare fiato” agli ospedali lombardi. Sotto stress per i posti letto anche perché questa estate la Regione ha elargito bonus fino a un quarto dello stipendio ai dirigenti sanitari incaricati di organizzare i reparti per riattivare le “prestazioni di specialistica ambulatoriale fortemente ridotte a causa dell’emergenza Covid”. Il premio sostanzioso ha spinto a depotenziare quanto più possibile i reparti lombardi Covid, e talvolta a chiuderli del tutto.
Il risultato è che i malati di Covid-19 nel milanese e nell’ovest della regione sono già in parte trasferiti a est, a Bergamo e Codogno. In regioni come la Lombardia con un rapporto tra tamponi e positivi superiore al 20% si riaprono in fretta e furia reparti Covid, scoprendo però che mancano infermieri e anestesisti per farli funzionare. Anche in Campania i professionisti sanitari non sono mai stati richiamati dalle liste dei concorsi e delle graduatorie bloccate, mentre i pochi neo-assunti o trasferiti non sono ancora stati formati per le rianimazioni. Anziché occuparsi di questo, nei mesi estivi diversi governatori hanno preferito riaprire le discoteche, pressando il governo per tornare a una capienza normale sui mezzi pubblici. Non di meno, ora che gli effetti di queste politiche sono sotto gli occhi tutti, quasi tutte le regioni frenano su lockdown sotto la loro responsabilità. Tra tutti è esemplificativo l’atteggiamento del governatore campano Vincenzo De Luca che, dopo aver fatto dei toni drammatici e del rigore a oltranza la cifra della sua propaganda elettorale (arrivando a dare a de Magistris della “nullità” per il suo lassismo e millantando di “chiudere tutto”) adesso definisce una “stupidaggine” il lockdown di Napoli e incalza Conte per “misure nazionali generalizzate”. Intanto al Cardarelli e al Cotugno di Napoli la Croce Rossa allestisce ospedali da campo “per decongestionare” i pronto soccorso.
Arrivati al dunque, De Luca e De Magistris si sono accodati al governatore della Puglia Emiliano e dell’Emilia-Romagna Bonaccini: meglio chiusure nazionali, dicono, o locali ma decise dal governo. Fino a qualche giorno fa erano gli stessi governatori a escludere insieme a Conte la possibilità di lockdown nazionali. In questo caos migliaia di cittadini rischiano a breve di non essere curati o di essere curati male negli ospedali, anche per altre patologie. Ed è molto triste che, mentre tutta la politica si affanna a giustificarsi con i gruppi d’interesse di non aver mai voluto chiudere (come fanno i governatori) o di essere infine costretta a farlo al posto di altri (come fa il governo), l’atto di chiudere le scuole sia stato istantaneo in Campania, Lombardia e Puglia. La proposta dei governatori di Lombardia, Piemonte e Liguria, di confinare a casa gli “over 70 non indispensabili allo sforzo produttivo” è un altro modo sbrigativo per scaricare le restrizioni contro la pandemia sui soggetti più fragili ed esposti quali bambini, adolescenti e anziani. Tutto mentre in Germania si chiede a tutti uno sforzo anche per “lasciare aperte scuole e asili”, a tutela anche “dell’economia e dei posti di lavoro”. Persino il premier britannico Boris Johnson ha varato un “lockdown totale per scongiurare il doppio dei morti della scorsa primavera”, escludendo dal blocco come in Francia le lezioni in presenza nelle scuole.
In Italia invece anche il governo sembra disposto a imporre chiusure efficaci solo quando i morti per Covid-19 (ora con medie di 300 al giorno) saranno ancora cresciuti, se le blande misure del coprifuoco notturno sortiranno pochi effetti. Sui lockdown mirati, in base al nuovo Dpcm e sulla base dei dati delle Regioni, deciderà da ora in poi con un’ordinanza il ministro della Salute Roberto Speranza, l’unico membro dell’esecutivo che con il suo consulente, l’ex presidente dell’Iss Walter Ricciardi, è pronto da giorni a chiudere. Negli altri Dpcm Speranza non era però mai stato investito da Conte di questa responsabilità: un ennesimo scaricabarile che porta al parossismo la gestione italiana della pandemia e che, come effetto peggiore, alimenta il messaggio sbagliato ai cittadini che il peggio sia ormai alle spalle. Questo avvitamento della politica è un grande assist ai negazionisti e a chi minimizza la gravità della situazione, quanto di peggio per la salute, l’economia, e lo stesso futuro del Paese.