Giorgia Meloni si descrive come “donna e madre”. Dimentica “estremista”.

Qualche settimana fa Silvio Berlusconi ha candidamente ammesso di aver portato i fascisti al governo. Giorgia Meloni ha subito dichiarato di non sapere a chi si riferisse, come se il governo del Cavaliere fosse stato più a destra di lei. Entrambi si sono poi ritrovati a Roma, in Piazza San Giovanni, per l’ennesima reunion del centrodestra. Berlusconi, Meloni e Salvini a far fronte comune contro i cosiddetti comunisti al governo. I media si sono concentrati sul pericolo della partecipazione di CasaPound all’evento, con i fotografi già pronti a immortalare i saluti romani sotto il palco e i tatuaggi dedicati al Duce. Se c’è stato giustamente tanto clamore nei confronti di CasaPound, non si capisce perché quando sul palco Meloni dice le stesse identiche cose, solo senza alzare il braccio, nessuno lo faccia notare.

Giorgia Meloni soffre da tempo della sindrome di Almirante: una persona di estrema destra che passa l’intera carriera politica a fingere di non esserlo. E ci sta riuscendo, considerando il modo in cui viene dipinta a livello mediatico, quasi come una moderata, una nazionalista all’acqua di rose che sorride sempre. La sua strategia d’altronde è impeccabile; basta inscenare qualche gag con Fiorello, fare autoironia sui poster elettorali dove sembra un incrocio tra Kylie Minogue e Scarlett Johansson, aggiungere un pizzico di romanità caciarona e, soprattutto, non dimenticare mai di menzionare il suo ruolo di mamma. Che poi non è altro che il mezzuccio preferito di Salvini, pioniere dell’arte di inserire i figli in qualsiasi contesto per giustificare posizioni retrograde, xenofobe e omofobe.

Per comprendere fino in fondo il pensiero di Giorgia Meloni basta ascoltare il discorso pronunciato in Piazza San Giovanni, il compendio del sovranismo all’italiana tra slogan fascisti e oscurantismo galoppante. Meloni ha esordito con uno dei suoi mantra preferiti: la sinistra non fa votare il popolo italiano. Nonostante la duplice gaffe con Giletti a Non è l’Arena, la leader di Fratelli d’Italia ha continuato a battere imperterrita sullo stesso tasto: “La sovranità appartiene al popolo, e il popolo intende esercitarla”. Il tentativo di parafrasare la Costituzione si è dimostrato ancora una volta fallace, poiché l’articolo 1 recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Bene: secondo la Costituzione si vota ogni cinque anni, il Conte bis è un governo legittimo, e semmai dovrebbe chiedere delucidazioni al suo compagno di palco Salvini, colui che per un mojito di troppo ha deciso di far crollare un governo in pieno agosto, nel tentativo di ottenere “pieni poteri” – niente di più anticostituzionale.

È poi passata all’attacco contro gli immigrati, rei di “sentirsi offesi dal Crocifisso e dal presepe”, invocando “la difesa della nostra identità, la difesa di Dio, della Patria e della famiglia”. Forse bisognerebbe ricordare a Meloni che la Repubblica italiana sarebbe laica e la nostra Costituzione antifascista, anche se alcuni, come lei, fanno finta di non ricordarselo. Sono questi i nostri valori, non quelli di chi non festeggia il 25 aprile o che augura che le navi dei migranti vengano affondate.

Il problema basilare è la concezione che abbiamo di Giorgia Meloni e dell’intero centrodestra, quando quel “centro” ormai è ridotto agli ultimi sospiri del berlusconismo, e la stragrande maggioranza della coalizione è di estrema destra. Non soltanto per le nostalgie del passato, con Meloni che dichiara senza problemi di avere un “rapporto sereno con il fascismo”– come se stesse parlando di una suocera – e che candida alle Europee Caio Giulio Cesare Mussolini, pronipote del Duce; ma soprattutto per la nuova direzione dell’estrema destra in Italia, la stessa dei nazionalismi in voga nel resto del mondo. Non a caso Meloni ha invitato alla kermesse di Fratelli d’Italia, “Atreju”, personalità come Steve Bannon e Victor Orban, stelle polari del sovranismo e della politica dei muri, dell’intolleranza, di quel “Prima noi” che è un invito all’isolazionismo. Meloni è dunque una versione all’apparenza più confortante di Salvini, forse meno impulsiva ma altrettanto scaltra nel diffondere ciò che maggiormente fortifica l’immagine del politico autoritario: l’esibizione di posizioni di diffidenza, intolleranza e intransigenza.

La frase “Se servono muri si costruiscono muri, se serve il blocco navale si fa il blocco navale, e per farlo serve un governo di patrioti” possiamo immaginarla con la voce di Oswald Mosley nell’Inghilterra degli anni Trenta, ma viene dalla stessa anima candida che sorride in tv nel salotto di Barbara D’Urso, luogo dove sotto l’etichetta dell’intrattenimento trash vengono diffusi messaggi politici pericolosi, pregni di intolleranza e discriminazione. Quando invece Meloni parla di famiglia e omosessuali, gli anni Trenta sembrano persino troppo evoluti come scenario in cui ambientare tali parole. Meloni dice che “Per il pensiero unico la famiglia è un nemico”, e che “Vogliono che siamo Genitore 1, Genitore 2, genere LGBT, cittadini X, dei codici, ma noi siamo delle persone e difenderemo la nostra identità”, concludendo con un teatrale: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”.  Inoltre il “pensiero unico” che difende e porta avanti, e di cui denuncia l’incolumità, è proprio quello dei facinorosi del Family Day, degli oltranzisti che pretendono di imporre la loro visione intollerante e razzista, obbligando gli altri a sottostare alla loro morale distorta, portando avanti una battaglia che, dal versante Meloni ma non solo, è incentrata sull’ostruzionismo e su una cultura bigotta e mendace volta a creare distinzioni e a inasprire le discriminazioni che ne seguono tra i cittadini.

La strategia di Meloni è quella di cavalcare il trend del momento, distorcerlo e improntare l’intera narrazione politica su un’azione di propaganda strumentale. Dal palco di Roma ha tuonato: “Mi fa ribrezzo una politica che cerca di insabbiare lo scandalo di bambini strappati alle loro famiglie, come è accaduto a Bibbiano. Come nelle fiabe ci sono gli orchi che rubano i bambini per mangiarli, pare che a Bibbiano ci fossero orchi che rubavano i bambini per mangiarci sopra”. Quello che non dice è che stanno cadendo tutti i capi delle accuse del caso Bibbiano, e che l’intera vicenda è stata spesso strumentalizzata da lei e Salvini come arma di distrazione di massa.

In generale Meloni segue la retorica della famiglia tradizionale, quella cristiana, purissima, eppure è madre di una figlia avuta con un compagno con cui non si è mai sposata, e quindi teoricamente dovrebbe essere allontanata per prima, in quanto non idonea alla manifestazione, da quei ritrovi bacchettoni che sovente frequenta – come il Congresso delle Famiglie di Verona. Stesso dicasi per Salvini e Berlusconi, pluridivorziati con famiglie allargate. Un po’ di coerenza non guasterebbe.

Le reazioni al discorso di Meloni non si sono fatte attendere. Lo psichiatra Luigi Cancrini ha definito le sue parole “vergognose, un modo per seminare odio di fronte alla folla che applaude”. C’è chi l’ha presa con più ironia, come l’influencer Tommaso Zorzi, che ha invitato i suoi follower a urlare per strada “Io sono Giorgia” per prendersi beffa della frase ormai culto di Meloni. In migliaia su Instagram hanno risposto al suo appello, ma forse il modo migliore per contrastare la leader di Fratelli d’Italia è semplicemente metterle in faccia la realtà e le sue contraddizioni. Stiamo parlando di una politica che da anni sbraita contro una legge (la Fornero) che lei stessa ha votato, che chiede aria nuova in politica ma si aggrappa ancora al bavero di Berlusconi. Qui si può parlare di riconoscenza: è proprio grazie al Cavaliere che Meloni è diventata ministra, finendo sotto i riflettori e acquisendo popolarità. Già all’epoca faceva i salti mortali per difendere l’indifendibile, come quando dichiarava: “Le leggi ad personam bisogna contestualizzarle. Sono delle leggi che Berlusconi ha fatto per se stesso, ma sono leggi perfettamente giuste”. Sono contorsioni che si ritrovano ancora oggi nei suoi discorsi, quando ad esempio Meloni dichiara di essere inorridita per l’attacco della Turchia contro i curdi, omettendo però il suo appoggio a Trump, attore protagonista nella vicenda.

La strategia di Giorgia Meloni è proprio questa: seguire il solco di Salvini per racimolare qualche frammento di odio rimasto, un capopopolo che parla come qualsiasi membro di CasaPound ma che pretende di avere maggior lignaggio, e paradossalmente attraverso questo trucco retorico lo ottiene. Il fulcro della sua politica è mascherare le tinte nere con un sorriso, camuffare l’intolleranza con un amor-di-patria anacronistico e discriminatorio, crescere nei sondaggi cavalcando e alimentando la paura. Quando i media inizieranno a definirla “esponente di estrema destra”, ovvero quello che è, forse la sua natura sarà rivelata. Fino ad allora tocca sorbirci i suoi sermoni sempre contro qualcuno o qualcosa. Contro è la parola dell’odio, e in questi anni va per la maggiore.

Foto in copertina di Antonio Masiello

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