Il 6 giugno si è tenuto in Lussemburgo un vertice di due giorni riservato ai ministri dell’Interno dei 28 Paesi dell’Unione europea. L’incontro aveva come tema il futuro della politica comunitaria in materia di sicurezza e si è occupato di rimpatri, norme antiterrorismo, gestione dei flussi migratori: tutti temi che il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, ha sempre usato durante la campagna elettorale, promettendo di difendere l’interesse del Paese in Europa. Salvini ha però preferito disertare a causa di altri fondamentali impegni: un comizio a Paderno Dugnano in Lombardia e un’ospitata nel salotto di Pomeriggio 5 da Barbara D’Urso.
L’assenteismo di Salvini non è una novità in sede europea, ma una consuetudine ben nota ai suoi omologhi. Da quando è ministro ha saltato sei vertici su sette, perché al parlare di immigrazione nei luoghi dove tradurre le sue promesse in fatti ha sempre preferito le piazze della sua perenne campagna elettorale. Salvini da mesi promette ai suoi sostenitori di cambiare le regole in Europa, proprio mentre i suoi colleghi europei si riuniscono per discuterne, quasi sempre senza di lui.
Anche prima di diventare ministro Salvini era uno dei grandi assenti del Parlamento europeo, come dimostra la votazione del 2016 per lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro a favore dei terremotati italiani. Salvini in quei mesi basava la sua narrazione politica sui terremotati italiani dimenticati dal governo in favore degli immigrati, seguendo la logica del “fuori i migranti, aiutiamo prima i terremotati”. Durante le votazioni europee per aiutare concretamente gli italiani colpiti dal terremoto, Salvini era però assente, anche in quel caso impegnato nel suo tour de force televisivo.
La strategia di Salvini di dire e non fare funziona perché l’impatto di una diretta Facebook in cui viene urlata l’intenzione di ribaltare l’Europa è più potente della notizia delle sue assenze alle riunioni. Inoltre i vertici prevedono una discussione a telecamere spente, dove si cerca un punto d’incontro tra nazioni e non esiste il merito dell’individuo, ma quello del gruppo a favore della collettività. Al contrario il discorso alla nazione del ministro è l’esaltazione del singolo, la versione moderna di Piazza Venezia trasferita in uno smartphone. Ma per fare davvero sentire la propria voce in Europa è necessario usare la diplomazia e confrontarsi con le altre potenze continentali, attivandosi nelle sedi idonee e non in un salotto televisivo.
Mentre era in atto l’ultimo vertice europeo da lui disertato, Salvini ha detto che “A Bruxelles sono preoccupati perché per la prima volta nella storia in Italia non c’è un governo che andrà lì con il cappello in mano”. In effetti il governo non solo non è andato in Europa con il cappello in mano, ma non era proprio presente se non nella figura del sottosegretario Nicola Molteni. Il ministro dell’Interno non è l’unico assenteista seriale dell’attuale governo: anche i ministri Toninelli e Bonafede hanno saltato le ultime riunioni europee con i colleghi ministri dei Trasporti e della Giustizia. Le presenze in Europa degli altri ministri italiani non sono più confortanti. Di Maio ha saltato importanti riunioni sul digitale e sulle forniture di gas dalla Russia, mentre Paolo Savona, l’ex ministro per gli Affari europei (ruolo ad hoc per rappresentare l’Italia all’Europarlamento) ha saltato ben 42 riunioni, non mandando nemmeno il suo vice Luciano Barra Caracciolo, presente a un solo incontro in tutto il suo mandato. Ai consigli Ue l’Italia è stata rappresentata da un suo politico soltanto nel 66,6% dei casi, una delle percentuali più basse tra i 28 Paesi membri. Mese dopo mese la retorica del “voler cambiare l’Europa dall’interno” si scontra con una realtà di assenza e irrilevanza politica dell’Italia nelle sedi europee.
Come ci ricorda l’ex eurodeputata Elly Schlein, la Lega è stata assente alle 22 riunioni per rinegoziare il regolamento di Dublino, ovvero l’insieme di quelle norme che determinano le questioni legate all’immigrazione. “Salvini ci spieghi perché sacrifica l’interesse nazionale sull’altare delle sue alleanze politiche con nazionalisti di estrema destra. O non gli interessa cambiare le norme ingiuste per il nostro Paese, oppure decide di non andare contro le decisioni del suo gruppo, con gli altri nazionalisti che non hanno alcuna intenzione che Dublino cambi. È una grande ipocrisia”, sostiene Schlein. È sempre più evidente quanto Salvini abbia bisogno dell’emergenza migratoria per sostenere la sua macchina di propaganda, insistendo a non fare nulla in sede europea mentre in Italia spiega alla D’Urso che a Bruxelles l’italia è tornata ad avere una leadership forte a rappresentarla. Sicuramente non la sua, visto che in Europa molti non l’hanno mai visto di persona.
Non lo conoscevano nemmeno quando era europarlamentare. Euroscettico che diventava europeista al momento di ritirare lo stipendio, Salvini probabilmente non ha mai amato molto Bruxelles. Quando nel 2016 Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, lo definì “il più grande assenteista di Bruxelles” Salvini lo portò a giudizio per diffamazione. Il tribunale di Milano archiviò il procedimento per un semplice fatto: definire Salvini “assenteista” non era diffamazione, ma la verità, considerando che aveva partecipato soltanto al 18% delle riunioni della Commissione sul commercio internazionale di cui faceva parte. Nel 2014 l’europarlamentare belga Marc Tarabella apostrofò Salvini sostenendo che “È una vergogna sentirti parlare, sei l’unico che non si è mai visto nelle riunioni, sei un fannullone”.
Secondo Schlein “Le presenze in Parlamento si segnano solo nei giorni di aula a Strasburgo, quindi è necessario essere presenti in quei tre giorni al mese in cui si vota a Strasburgo per avere un’alta percentuale di presenze”. Schlein fa però notare che il vero lavoro del parlamentare europeo si svolge nelle commissioni durante le tre settimane trascorse a Bruxelles, durante i negoziati, le riunioni di gruppo o tra i relatori dei diversi dossier. “In queste occasioni si capisce il tempo che si dedica al lavoro per cui si è stati eletti. Quello di Salvini è un inganno da sfatare”.
Non sarebbe conveniente per il M5S e per la Lega raccontare la verità ai propri elettori, ovvero che in Europa contano poco o nulla. Il M5S ha un bassissimo raggio d’azione, considerando che i suoi partiti alleati sono incappati in un flop alle elezioni del 26 maggio e il rischio di ritrovarsi nel gruppo misto è alto. I sovranisti amici della Lega non hanno sfondato e restano ben lontani dalla maggioranza, che si profila essere quella di socialisti, popolari e liberali, con 435 seggi e con una quota che si può allargare grazie ai 76 seggi conquistati dai Verdi, veri vincitori della recente tornata elettorale. La Lega in Europa, e di conseguenza il governo in Italia, si è condannata all’irrilevanza politica unendosi a “un’internazionale di nazionalisti con la retorica di odio, muri e intolleranza, che nasconde evidenti contraddizioni. Stanno ostacolando i nostri tentativi di riformare il regolamento di Dublino, ovvero la nostra intenzione di dividere equamente le responsabilità europee sull’accoglienza”, accusa Schlein. Discorso simile vale anche per l’economia: i personaggi che Salvini definisce come alleati sono tra i più rigidi sui conti italiani e la possibilità di fare concessioni sul rapporto deficit Pil. “La retorica dei grigi eurocrati che decidono sulle nostre teste è del tutto funzionale a chi vuole lasciare le cose esattamente come stanno”.
Il governo sta condannando l’Italia all’irrilevanza in Europa, rinunciando a negoziare o anche solo a presenziare nelle sedi dove si prendono davvero le decisioni. Lega e M5S preferiscono conservare intatta la retorica sull’Europa matrigna, subendo decisioni che l’esecutivo sceglie volontariamente di non negoziare. È molto più facile scaricare le proprie responsabilità sui burocrati di Bruxelles, accusandoli di non fare nulla per cambiare le normative europee, salvo poi disertare gli incontri dedicati alle riforme. Molto spesso quando i ministri del nostro governo, Salvini in testa, sono impegnati in qualche salotto televisivo o nell’ennesimo comizio elettorale, i loro omologhi europei stanno discutendo sul futuro di tutta l’Unione, Italia compresa. Un futuro in cui il nostro Paese sta rinunciando a un ruolo di protagonista per assecondare la propaganda del governo.