Una mattina mi sono svegliato e mi sono accorto di non meritare la cittadinanza italiana. Secondo la Lega e Fratelli d’Italia, un requisito necessario per ottenerla infatti è conoscere a menadito la storia delle sagre di paese e un altro riguarda la “cultura del presepe”. Essendo del tutto impreparato su questi argomenti, dunque, non resta che considerarmi apolide.
In realtà non si tratta di altro che del solito ostruzionismo politico per bloccare una proposta di legge, lo Ius scholae, che la natura intrinsecamente xenofoba e conservatrice della destra impedisce di accettare. Abbiamo già assistito alle barricate contro lo Ius soli, avvantaggiate anche da un centrosinistra per sua ammissione “poco coraggioso” sul tema e la nuova proposta sulla cittadinanza sembrava un compromesso – per non dire un contentino – su cui poter riflettere senza blocchi ideologici. Secondo le normative attuali, basate sullo Ius sanguinis, si ottiene automaticamente la cittadinanza italiana se almeno uno dei due genitori ne è già in possesso. Per i figli degli stranieri occorre invece attendere il compimento dei 18 anni di età, a patto che il soggetto in questione abbia vissuto ininterrottamente in Italia. Ci sono pochi altri escamotage, tra i quali un decreto d’eccezione del Presidente della Repubblica, il matrimonio con chi ha già la cittadinanza italiana o improbabili ricerche di antenati italiani morti dopo il 1861.
Per Ius scholae si intende la proposta di legge A.C. 105-A, con il deputato Giuseppe Brescia del Movimento Cinque Stelle come relatore. Il testo recita che si può ottenere “l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte del minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che risieda legalmente in Italia, qualora abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola primaria, è necessario aver concluso positivamente il corso medesimo”. Una proposta che viene incontro alle riluttanze della destra, quasi un testo “annacquato” rispetto agli intenti iniziali dello Ius soli. Eppure, Lega e Fratelli d’Italia hanno presentato più di 1500 emendamenti per ostruire l’iter parlamentare della proposta. Se l’argomento non riguardasse il destino di 280mila bambini e ragazzi, verrebbe da ridere leggendo l’insulsaggine di gran parte degli emendamenti presentati.
Molti di questi riguardano la grammatica. La destra si è infatti sbizzarrita chiedendo a gran voce di sostituire alcune parole banali con sinonimi, come se cambiassero la sostanza della legge. Quindi è fondamentale cambiare “in tal senso” con “a questo scopo”, oppure “espressa” con “specificata”. No, gli esponenti di destra non sono diventati dei membri dell’Accademia della Crusca: questo è semplicemente un modo per ostacolare una battaglia sui diritti adottando degli escamotage. A proposito di lingua e grammatica: stiamo parlando di bambini e ragazzi che frequentano le scuole pubbliche, che sono nati e cresciuti in Italia, e che probabilmente conoscono la grammatica meglio di una grande percentuale di quelli che la destra considera italiani. Hanno però la pelle più scura o un taglio degli occhi troppo allungato ed è questo l’unico motivo che porta i partiti conservatori a negare loro la cittadinanza.
Dopo gli emendamenti formali, arrivano poi quelli ideologici. E sono altrettanto ridicoli. C’è chi chiede che per ottenere la cittadinanza sia necessario il massimo dei voti all’esame di maturità, chi è più clemente e chiede “almeno 90 su 100”. E vale anche per il voto all’esame della scuola media. Una discriminazione inequivocabile: i bimbi di sangue italico, patrioti già da quando erano spermatozoi, possono andare incontro a una bocciatura, mentre i figli degli stranieri devono ambire a una strada da studiosi ad Harvard. E, come si diceva all’inizio, secondo i brillanti emendamenti della destra non si è abbastanza patrioti se non si conoscono le “festività delle varie regioni”, “i canti popolari italiani”, “gli usi e i costumi dai romani a oggi” o “le tradizioni sulle tipiche sagre italiane”. Per quanto mi riguarda non so quale sia il patrono di Foligno o se esista la sagra del carciofo a Bisceglie, quindi, ancora una volta, sono tagliato fuori dal concetto di italianità.
Tra l’altro, Salvini e Meloni hanno più volte spiegato quali fossero i tasselli fondamentali per potersi considerare italiani a tutti gli effetti: conoscere la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra Storia e tradizione, oltre a rispettare le leggi. Perché, parole loro, la cittadinanza va meritata e non può trasformarsi in un premio dato a tutti. Secondo questa logica allora dovremmo togliere la cittadinanza agli italiani che non sanno da quale parte vada l’accento sulla terza persona singolare del verbo essere, hanno più di un problema con la consecutio temporum, non sanno chi sia Pertini o quale sia il capoluogo del Molise. Togliamola anche a chi ignora che la nostra tanto sbandierata identità è un miscuglio culturale nato in seguito all’arrivo di un’enorme quantità di popoli diversi – come greci, arabi, normanni e via dicendo – proprio di quelle “invasioni straniere” tanto temute dalla destra, e che però ci hanno portato ad avere un’enorme ricchezza culturale.
Seguendo lo stesso ragionamento, la cittadinanza andrebbe poi tolta anche a chi non rispetta le leggi, ripristinando l’esilio. Via la cittadinanza a chi non paga le tasse, e no, gli evasori non sono soltanto i super ricchi con aziende dal nome straniero: sono i commercianti che non sanno cosa sia uno scontrino, gli imprenditori che assumono lavoratori in nero e sottopagati, i privati che “Signora, niente fattura, ok?”. Magicamente ci ritroveremmo con milioni di persone senza la cittadinanza, perché “non se la sono meritata”. Invece, il sedicenne nato e cresciuto in Italia, che va a scuola insieme ai figli dei leghisti e dei sostenitori di Meloni, se figlio di genitori stranieri, non può essere considerato italiano. Genitori che, probabilmente, le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo e non vogliono togliere diritti al prossimo, a differenza di certi patrioti con la bandiera italiana come foto profilo che non hanno senso civico, frodano lo Stato e credono che Giosuè Carducci sia un terzino del Sassuolo.
Per essere dei veri italiani bisogna quindi conoscere la storia del presepe. Qualcuno dica a Salvini che Gesù stesso era un profugo, come dichiarato più volte persino da Papa Francesco; e qualcuno gli spieghi anche che con lo Ius Scholae non verrebbero “usati i bimbi per sanare la posizione di migliaia di adulti”. Le sanatorie sono le sue proposte di pace fiscale per strizzare l’occhio agli italiani che evadono 100 miliardi di euro l’anno, non di certo il riconoscimento di un diritto che non va a ledere quelli di chi la cittadinanza la possiede già per una semplice questione di fortuna.
Letta ha promesso di lottare per lo Ius scholae, a differenza dei tentennamenti della sinistra sullo Ius soli, ma quando si entra nella spirale del ping pong istituzionale composto da rinvii ed emendamenti come barriere per frenare una misura, la storia del nostro Parlamento ci impone prudenza, per non dire rassegnazione – anche di fronte a una proposta che in realtà ha addirittura trovato tra i suoi sostenitori diversi esponenti di Forza Italia. Eppure neanche questo sembra bastare e restiamo ancorati a logiche oscurantiste che sviliscono il dibattito pubblico e lo imbrattano con macchie che rasentano il segregazionismo. Abbiamo quindi bambini italiani che per la legge non lo sono. Io, parafrasando Gaber, “per fortuna o purtroppo lo sono”, ma spero che i destrorsi non vengano a sapere che non sono mai stato alla sagra della porchetta di Ariccia e che non conosco il testo di “Quel mazzolin di fiori”, altrimenti potrei rischiare grosso.