È il 21 gennaio quando Elly Schlein, candidata alle elezioni regionali come capolista di Emilia Romagna Coraggiosa, incontra di persona Matteo Salvini nell’hinterland di Bologna. Si trovano fuori da un ristorante a San Giovanni in Persiceto e lei ha aspettato il leader leghista per porgli la domanda che ronza in testa da anni a milioni di italiani: “Perché la Lega non ha partecipato alle 22 riunioni per rinegoziare il trattato di Dublino?”. Salvini sembra spiazzato, più che contrariato. Prende in mano il telefono e chiede a Schlein di aspettare, come quegli studenti che durante le interrogazioni prendono tempo in attesa di una qualche illuminazione sulla risposta. Schlein resta in silenzio, ma la risposta non arriva. Salvini continua a smanettare, preso in contropiede da una situazione fuori dal protocollo della sua propaganda. Con grande eleganza non riesce a trovare una soluzione migliore che ignorare la sua interlocutrice: finge che non sia presente, non la guarda nemmeno. Non trovando una risposta adeguata, prima borbotta qualcosa – sempre senza guardare negli occhi Schlein –, poi decide di andarsene.
Pochi giorni dopo Elly Schlein è la politica che ottiene più preferenze a livello regionale, anche se la sua lista progressista ed ecologista si è fermata al 3,77% delle preferenze.
Per descrivere la sua esperienza all’interno del Pd bisogna rispolverare il motto “breve ma intensa”. Nel 2013, quando i franchi tiratori impediscono l’elezione di Romano Prodi come Presidente della Repubblica, Schlein dà vita a OccupyPD, una campagna di mobilitazione che la porta insieme ad altri giovani dem a occupare le sedi del partito per manifestare il malumore verso un Pd chiuso in se stesso e arenato sulle larghe intese del Governo Letta. Diventa europarlamentare nel 2014 con il Pd, ma con l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi decide di lasciare il partito nel maggio 2015, per passare a Possibile di Civati, sostenendo che “Vale la pena di lottare dentro al partito finchè c’è il partito, ma io temo che il partito non esista più”. Alla scadenza del suo mandato decide di non accettare l’offerta di Zingaretti di ricandidarsi. Mentre Renzi ha fondato un altro progetto politico, Schlein decide di lottare per un’idea nuova di sinistra. Quella vera.
Quello di Elly Schlein è l’unico modo per sconfiggere Salvini, affrontandolo con i fatti e non con gli slogan, per strada e non nelle schermaglie social. La Lega che non partecipa alle riunioni per modificare il trattato di Dublino è il sintomo di una forza politica che non ha intenzione di risolvere i problemi, ma di cavalcarli. Senza migranti Salvini sarebbe privato di uno dei suoi suoi principali mezzi di propaganda e non ha quindi alcuna intenzione di attivarsi in concreto per collaborare con la Comunità europea. Schlein da anni denuncia l’assenteismo a Bruxelles e Strasburgo della Lega e la strategia della mistificazione del partito, ed è arrivata a capire che la chiave per contrastare sovranisti e populisti è solo fare le domande giuste.
Un’altra lezione del successo di Schlein è quella di non dover puntare al centro, nel tentativo infruttuoso di convincere qualche moderato indeciso, ma presentare un’alternativa valida a sinistra. Come ha spiegato durante un’intervista con Lilli Gruber a 8 e mezzo, il problema del centrosinistra italiano è la mancanza di una chiarezza di visione: “Ad esempio, nel centrosinistra, qual è la posizione sull’immigrazione? Quella di Minniti o quella del mio amico Pietro Bartolo? Le persone chiedono unità e coerenza nei valori e nelle proposte”.
È sempre più chiaro che la sinistra non può ripartire dai lager libici, da accordi disumani e dalla ricerca di un Salvini di sinistra, perché poi la gente vota l’originale e non la sua copia sbiadita. La fuoriuscita di Renzi e del giglio magico dal Pd è già un passo avanti in termine di polarizzazione politica, quella per cui da un lato trovano residenza i rottamatori di se stessi e gli arrivisti pseudo liberali e dall’altro la vecchia scuola ex Pci. Ma questo non basta per ridare credibilità alla sinistra italiana. Derenzizzarsi ha liberato il sistema delle derive centriste – se non forziste – , ma l’ha riportato a un periodo di profonda crisi. Il centrosinistra era in una fase di stagnazione già prima dell’arrivo di Renzi, e per questo serve ripartire dalle nuove leve. Il compito di Zingaretti non è quello di innalzare Elly Schlein al ruolo di nuova icona della sinistra, ma di formare una classe dirigente che si regga su un progetto e non sui personalismi.
L’alternativa è che le persone si mobilitano e si organizzano da sole. Il principale esempio è quello delle Sardine, che Schlein ha ringraziato per la spinta propulsiva di questi mesi, per l’aggregazione spontanea nelle piazze e quel senso di unità che sembrava perduto. Eppure non è quella la strada della rinascita di un’area politica, se alla base manca l’identità di un partito. La differenza tra la rivoluzione delle Sardine e quella di Elly Schlein sta proprio nel ruolo e nella concezione della politica stessa. Le Sardine sono le sentinelle e l’antivirus di una parte della cittadinanza che non tollera più la violenza di un certo linguaggio politico. Possono monitorare e protestare, ma non costruire. Qui entrano in gioco Schlein e il mestiere della politica, privo di accezioni negative. Gli umori delle persone sono fondamentali per ricompattare un elettorato attraverso l’abbraccio collettivo delle piazze, che conforta chi non si sente rappresentato in Parlamento. Ma è poi necessario risolvere i problemi in altre sedi e affidarsi a chi, come Schlein, per anni le battaglie le ha fatte a Bruxelles o nelle riunioni di partito.
Bisogna tornare a non aver paura della politica, a non considerarla una parolaccia. Anni di grillismo, con il mantra dei parlamentari M5S riassunto in “Io non sono un politico”, hanno demonizzato un’intera categoria e portato il sentire comune verso una direzione sbagliata, per cui le istituzioni vanno smantellate e le decisioni affidate all’istinto popolare. I temi delle piazze sono sacrosanti – lotta alle disuguaglianze, salvaguardia dell’ambiente, rispetto dei diritti – , ma vanno tradotti in una battaglia politica e non solo mediatica.
È dalla morte di Enrico Berlinguer che aleggia nell’aria quel “La sinistra riparta da…”. In questi giorni quei tre puntini sono stati riempiti con il nome di Elly Schlein. Certamente il più credibile tra quelli fatti in questi anni, visto che spesso la goliardia ha avuto la meglio e si è parlato anche di calciatori e cantanti. Elly Schlein invece è una politica, ed è di sinistra. È un buon inizio. L’errore però sta nella ricerca forzata di un salvatore della patria, dell’uomo forte – guarda caso, non si parla mai di donna forte – che possa compiere un miracolo e risollevare le sorti di un intero Paese. L’individualismo del padre padrone, del leader di polso, va dimenticato in favore di un lavoro collettivo fatto di azioni concrete. Per farlo bisogna evitare gli accentramenti su un singolo individuo e le biografie attira voti, caricature partorite sull’onda dell’entusiasmo mediatico. A nessuno dovrebbe interessare la passione di Schlein per i videogiochi anni Novanta o per la chitarra elettrica, ma ci si dovrebbe concentrare sulla sua idea per coinvolgere una generazione che si era allontanata dalla politica e che gradualmente sta tornando a prendere in mano il proprio futuro: “Se non provi a essere il cambiamento che vuoi vedere nella società, non puoi aspettarti che altri lo facciano per te. Anche se sei incazzato con la politica e ti allontani, devi renderti conto che gli altri continueranno a farla e il peso delle loro decisioni ricadrà comunque anche sulla tua vita, quindi vale la pena, nelle forme e nei modi in cui uno può, di partecipare alla cosa pubblica”.
La sinistra non ha bisogno di un nome nuovo, ma di un nome giusto. Anzi, di un insieme di nomi adatto, senza prevaricazioni, correnti in lotta costante tra loro ed egocentrismi fini a se stessi. Non deve seguire un trend, ma una direzione. Quella della Schlein è chiara: la sinistra non deve aver paura di cancellare i decreti sicurezza, di ridare dignità ai lavoratori e di riappropriarsi dei propri spazi, parlando a un elettorato perduto per diventare la “forza politica delle ztl”. La sinistra immaginata da Schlein vuole ripartire dai circoli di provincia, dalle fabbriche, dalla strada. E vuole farlo senza scimmiottare le strategie di Salvini, ma affrontando l’avversario guardandolo in faccia e senza paura. Perché sarà lui a scappare, non avendo niente da dire.