In una domenica qualunque di fine febbraio, tutto sembrava apparecchiato per l’elezione di Stefano Bonaccini come nuovo segretario del Partito Democratico. Pochi giorni prima, infatti, circa 150mila iscritti ai circoli del partito avevano espresso la loro preferenza e il governatore dell’Emilia Romagna aveva quasi venti punti percentuali di vantaggio rispetto a Elly Schlein. L’investitura pareva una formalità, con un buon amministratore a capo di un partito che avrebbe avuto bisogno di uno tsunami più che di una continuità con la bruma del passato. Nei gazebo delle città italiane, sembra però che gli elettori di centrosinistra abbiano sentito una frase provenire dai meandri della propria coscienza: “Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai a ottenere ciò che hai sempre avuto”. Questa frase la scrisse Warren Bennis, professore al MIT di Cambridge che dagli anni Sessanta iniziò a condurre ricerche sul concetto di leadership, con testi studiati tuttora in tutto il mondo come On becoming a leader. Si è dunque giunti alla consapevolezza di dover ribaltare il destino di un partito arrivato ormai alla stasi per poter ottenere altro, forse la rivoluzione copernicana in grado di sconfessare la vecchia classe dirigente e persino i circoli sempre più avviluppati nell’inerzia del carrozzone, il partito stesso, che non dava più segni di mobilità. Il risultato è la sorprendente vittoria di Elly Schlein, arrivata con lo stesso impeto della siringa d’adrenalina sparata in petto a Uma Thurman in Pulp Fiction. E che rianimazione sia.
Si è quindi realizzato il sogno di Nanni Moretti, che in un altro febbraio di ventun anni fa, in piazza Navona, chiese un repulisti al grido: “Con questa classe dirigente non vinceremo mai”. La nuova segretaria del PD è donna, under 40, allergica ai giochi di partito a costo di mollarlo, come avvenuto nel 2015 in piena era renziana, quando motivò la sua scelta parlando di una sofferenza di fronte “all’ingresso nel partito di figure che abbiamo sempre combattuto, ex fascisti, ex berlusconiani, affaristi”. In quella lettera d’addio c’è probabilmente la spiegazione della vittoria di Schlein otto anni dopo, una fine che diventa inizio – parafrasando Tiziano Terzani, come fece la stessa neosegretaria in quel testo – partendo da una visione politica e non da opacità da Manuale Cencelli. “Il PD è radicalmente cambiato”, scrisse. “Il problema non è essere una minoranza, lo eravamo anche prima. Il problema è come fare a portare avanti con coerenza le proprie battaglie”. E le elencò: diritti civili, legalità, futuro sostenibile, difesa dell’ambiente, immigrazione, precarietà. E dato che in politica la coerenza è merce rara, stupisce che nel discorso di mezzanotte, a vittoria ufficializzata, Schlein abbia messo in primo piano le stesse tematiche trattate nella lettera d’addio. Come a voler chiudere il cerchio e dire che sì, in fondo i tempi sono maturi per la rivoluzione.
Sarà un percorso tortuoso, dovendo opporsi al governo più a destra della storia repubblicana. Quando si è soggetti di contrasto all’interno del proprio partito, la ribellione e il furore contro i vertici sono quasi un automatismo, se c’è il coraggio di rinunciare a una poltrona o a un futuro comodo. Se però all’incendiario spetta il compito di gestirlo quel partito – di doverlo rifondare da cima a fondo – le responsabilità possono frenare l’ardore iniziale. Ed è anche fisiologico, in quanto il PD punta a tornare al governo e non avrà mai le dinamiche di Sinistra Italiana o dei Verdi: bisogna sporcarsi lo smoking bianco e scendere a compromessi, senza però snaturarsi, e il discorso notturno di Schlein riparte da ciò che aveva lasciato otto anni fa. Cita subito la lotta alla precarietà, al cambiamento climatico e alle barbarie della destra nella gestione dell’immigrazione. Nel giorno del dramma di Cutro, Schlein ha ribadito che si tratta di “una strage che pesa sulle coscienze di chi pochi giorni fa ha approvato un decreto che impedisce i salvataggi in mare, quando occorrerebbero vie legali di ingresso in Europa”. Un’altra stilettata al governo è arrivata in seguito alla vicenda del pestaggio di Firenze e della complicità della maggioranza: “Il governo difende gli squadristi, non passeranno”. Ha inoltre aggiunto che lotterà in parlamento e in tutto il Paese “a difesa dei poveri che il governo colpisce e non vuole vedere”. Durante tutta la campagna elettorale per le primarie, ha però spiegato che lo stesso PD per troppo tempo ha abbandonato le classi meno abbienti e il “mandato per il cambiamento” citato in nottata si riferisce a una direzione chiara che il partito dovrà prendere: smettere di lasciare indietro gli ultimi e scendere dalle torri d’avorio di una presunta superiorità morale anacronistica e dannosa sia per il PD che per la nazione.
Schlein è consapevole del doppio tavolo su cui dovrà lavorare. Un’opposizione incalzante da sola non basta, se non vengono poste le basi per ristrutturare il proprio partito. Il popolo dei gazebo l’ha scelta proprio come gesto di frattura auspicando una discontinuità con il passato e un riavvicinamento a tematiche che il partito aveva riposto nel cassetto degli argomenti che “non portano voti”. C’è questo luogo comune per cui si crede che all’elettore interessi soltanto l’immediato, la promessa spendibile senza pensare alle conseguenze a lungo termine, e come per tutti i luoghi comuni c’è un fondo di verità, ma l’altro lato della medaglia è lo smarrimento ideologico che ha causato un astensionismo record, elezione dopo elezione. Esiste quindi il popolo del voto di scambio, l’elettorato che si basa sullo slogan estemporaneo, è innegabile. Ma c’è anche chi pensa al futuro. Schlein però deve anche riconquistare chi ha lasciato la tessera elettorale in mansarda perché nessuna fazione lo rappresentava e ha preferito disertare le urne. Come ha spiegato in queste settimane, il suo obiettivo è lavorare attivamente su una politica per i giovani, quella di un sacrificio oggi per una ricompensa domani. Perché a molti non interessa se le nostre città nel 2050 saranno invivibili: è una data all’apparenza lontana, anche se in realtà è dietro l’angolo e saremo noi a doverci fare i conti. Chi ha votato Schlein ha compreso che i temi ambientali sono i più urgenti e non più rimandabili, che la disoccupazione giovanile è una piaga insostenibile e che dobbiamo pensare al futuro, più che scannarci per il nostro orticello in un presente già ammorbato dall’individualismo sempre più dilagante.
La nuova segretaria dovrà fare lavoro di gruppo e tenere insieme correnti antitetiche all’interno dello stesso partito. D’altronde non basta un nome nuovo al comando per trasformare un’intera struttura, soprattutto se questa ha le crepe di decenni di incuria e cecità politica. La sua elezione a segretaria deve essere un punto di partenza, un segnale per la svolta e non una bandierina piantata intorno al vuoto. Tutti gli ingranaggi del PD dovranno ruotare intorno al nucleo di un ritrovato progressismo, altrimenti la stessa Schlein collasserà su se stessa, fagocitata da una classe dirigente che è ancora lì, dietro le quinte, a cercare di mantenere il proprio status quo. È finito il tempo delle figure messianiche in politica, altrimenti si arriva a osannare Meloni come prima donna Presidente del Consiglio quando non è altro che l’appendice di una cultura maschilista che ostacola l’accesso ad alcuni diritti fondamentali e contrasta il raggiungimento di un’effettiva parità di genere. Il messaggio giunto dagli elettori di sinistra è sintomo di un’indignazione capillare di fronte a scelte politiche più orbe che avvedute, con la conseguente richiesta che tutto ciò non avvenga mai più. Ci troviamo al crocevia del PD: un eventuale fallimento del progetto Schlein segnerebbe la fine del partito, un punto di non ritorno. Non chiedo quindi a Elly Schlein di fare ciò che ha sempre fatto e di essere ciò che è sempre stata – quello lo do per assodato – ma vorrei che chi le sta intorno non ostacoli il progresso della società civile e non ignori l’urlo di una popolazione che chiede una sinistra moderna, ecologista e con uno sguardo al futuro. L’effetto “in terra stultorum sapiens reginae” regalerebbe il Paese alla destra per un ventennio, e non possiamo più permettercelo: come italiani abbiamo già dato.