Conte si è dimesso. Ora va trovata l’intesa per non lasciare che il Paese torni alla destra. - THE VISION

In un nazione che ha avuto 66 governi in 75 anni di storia repubblicana, la crisi di un esecutivo non dovrebbe rappresentare un evento straordinario, eppure la salita al Quirinale di Giuseppe Conte assume oggi un significato diverso, quello di una classe politica che non riesce a mostrarsi coesa e responsabile nemmeno durante una pandemia globale. Le dimissioni del presidente del Consiglio dovrebbero servire formalmente ad avviare il Conte-ter, con annesse settimane di consultazioni, ricerche di maggioranze, campagne elettorali senza elezioni, propaganda. 

La fine del Conte-bis è stata anticipata per evitare che il voto sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede sulla Giustizia decretasse la sconfitta del governo, chiarendo in via definitiva che la colazione M5S – Pd non ha i numeri in Parlamento per governare. È passata soltanto una settimana dalla risicata fiducia raccolta tra il gruppo misto e i cosiddetti “costruttori”. Si potevano quindi evitare sette giorni in cui è tornato agli onori della cronaca Clemente Mastella e hanno ottenuto visibilità personaggi come Lello Ciampolillo, il senatore che, a quanto pare, ha come missione politica far diventare vegano Conte. Adesso si apre una nuova fase, e il paradosso è che per ottenere una maggioranza reale Conte dovrà rivolgersi a chi ha scatenato la crisi: Renzi e il suo partito Italia Viva.

Matteo Renzi

Matteo Renzi ha causato la fine di un governo che lui stesso ha contribuito a far nascere. Conte ha provato ad andare avanti senza l’appoggio dei parlamentari renziani, ma senza successo. Ha cercato l’appoggio dei centristi, di quei partiti di cui resta poco più di una sigla: è tornato in auge addirittura l’Udc, ma proprio nei giorni in cui il suo segretario nazionale Lorenzo Cesa è stato inserito nel registro degli indagati per associazione a delinquere in un’inchiesta della Dda di Catanzaro sulla ‘ndrangheta. Si è tentato persino l’approccio a Forza Italia.

Non è facile tirare le somme sul Conte-bis, perché l’esperienza è stata condizionata dalla pandemia e tutte le azioni politiche sono state incentrate sui modi per arginarla. Se il primo governo Conte ha fallito sull’economia e ha ceduto alle posizioni della Lega sui Decreti Sicurezza di Salvini, il bis doveva dare una segnale di discontinuità con la nuova coalizione tra  forze di centrosinistra e M5S. Il Covid-19 ha però arrestato ogni progetto di rinascita economica e sociale. Si può dunque giudicare l’operato dell’esecutivo soltanto analizzando la sua risposta al virus: con diversi errori, durante la prima ondata, confusionaria dopo l’estate, quando il Covid è tornato a colpire il Paese. Se a febbraio eravamo impreparati, la recrudescenza di ottobre andava affrontata con un pragmatismo derivante dai mesi di preparazione in estate. Invece l’Italia ha continuato ad avere il tasso di mortalità tra i più alti al mondo, il capitolo scuola è stato fallimentare e l’operato del commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri è stato spesso oggetto di critiche. 

Ma il cambio di comunicazione più evidente di Giuseppe Conte è quello in materia dei fondi europei del Next Generation Eu. Questo traguardo è stato definito una sua vittoria, non attribuita al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, mentre nel governo gialloverde ogni azione politica era riferita ai ministri responsabili, con il premier costretto al ruolo di mediatore. Il primo governo Conte era l’esecutivo di Salvini, con il presidente del Consiglio spesso accusato  di essere un elemento passivo. Con il nuovo esecutivo Conte è emerso dall’anonimato accentrando sulla sua figura l’intero operato del governo, trasformando le conferenze stampa e le comunicazioni istituzionali in continui messaggi alla nazione con l’enfasi di uno show televisivo: ogni Dpcm è diventato un’occasione per rafforzare l’immagine di difensore del popolo, oscurando i partiti della maggioranza e i suoi ministri. La strategia ha pagato, perché adesso sia il Pd che il M5S hanno dichiarato di non prendere in considerazione una nuova esperienza governativa senza la presenza di Conte. Un proposito che però si scontra con i numeri, dato che i due partiti non hanno da soli i parlamentari necessari per garantire la stabilità di un eventuale Conte-ter.

Giuseppe Conte

Siamo così tornati alle aperture a Renzi. Sarà compito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riflettere sulle dimissioni lampo di Conte, sui mandati esplorativi e sugli eventuali accordi tra i partiti. Non si vedono però all’orizzonte delle alternative: se Conte non ricucisse con Renzi o non riuscisse ad assicurarsi un numero sufficiente di “responsabili”, si tornerebbe a parlare di governi tecnici o di responsabilità nazionale, per portare il Paese fino alle elezioni anticipate. Elezioni che, secondo gli attuali sondaggi, rivoluzionerebbero lo scenario politico, eliminando Matteo Renzi, ridimensionando il M5S e consegnando la guida del Paese alla coalizione di destra a traino Salvini Meloni. 

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi

Il vero assente in questo Conte-bis è stato il Pd. L’immobilismo del partito è l’emblema della strategia che il centrosinistra ha attuato negli ultimi anni: basare la propria azione politica sui disastri degli altri. Da “votateci perché Berlusconi fa schifo” si è passati a una fase in cui è cambiato soltanto il soggetto (Salvini al posto del Cavaliere), ma è rimasta l’abitudine alle scissioni interne, all’inerzia che porta all’irrilevanza. La scarsa verve di Zingaretti non ha aiutato, ma si fatica a ricordare un contributo significativo del Pd durante questo governo. Dopo l’allontanamento di Renzi, il partito ha continuato a pagarne l’influenza; il tutto durante una convivenza forzata nell’esecutivo con un movimento che ha basato la sua storia politica sull’insulto e gli attacchi frontali al Pd. Una situazione frutto anche di una strategia che si limita al “non far vincere gli altri”, con l’elettorato del centrosinistra ridotto a votare con la logica del meno peggio. 

Nicola Zingaretti

Non sappiamo in cosa si trasformerà Conte, dopo la fase di comprimario di Salvini e di Di Maio e quella di “salvatore dell’Italia”. L’unica certezza è che gli italiani si trovano impantanati in una situazione di cui non avevano bisogno, e questo stallo diventerà un altro handicap nella battaglia contro il virus e nella fase di ripresa sociale ed economica al termine della pandemia. Una debolezza che oggi più che mai non abbiamo il lusso di poterci permettere.

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