Di recente, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo in quota Pd, ha postato un tweet controverso in cui da un lato esprimeva la necessità di mettere da parte l’odio nei confronti dei migranti, dall’altro sosteneva non fosse comunque possibile passare dai “porti chiusi” ad “accogliamoli tutti”. Nello stesso tweet ha riportato un sondaggio di Ipsos per il Corriere, che ha introdotto dicendo che “solo l’11% degli italiani chiede posizioni meno rigide sull’immigrazione”. Successivamente Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, gli ha risposto facendo notare che il sondaggio, se letto correttamente e non in modo fazioso, portava a ben diverse conclusioni. Infatti, la domanda che proponeva il sondaggio era un’altra, ossia di quali punti programmatici dovrebbe occuparsi con maggior urgenza il governo attuale – e, tra questi, spiccavano una manovra economica a vantaggio dei ceti più deboli e il taglio dei parlamentari. E ancora, Villa ha proseguito dicendo: “Per capire davvero quanto politiche meno rigide sull’immigrazione siano preferite dall’elettorato, la domanda dovrebbe essere basata non su una scelta di due priorità, ma separata per ciascuna politica: o ‘sì/no’, o voto da 1 a 10”.
Come ha già fatto notare la Wu Ming Foundation, spesso i sondaggi gonfiano una narrazione che sfocia nell’allarmismo e “costruiscono una realtà che si autoconferma”. Gori, in questo caso, non solo ha interpretato un sondaggio in modo impreciso, ma ha voluto comunicare un messaggio tramite due slogan che nella questione migratoria vengono utilizzati per riassumere una realtà che necessiterebbe di un’analisi ben più complessa. E se da un lato, “porti chiusi” è diventato lo slogan della Lega, dall’altro, il Partito Democratico viene rappresentato da un altrettanto generico “accogliamoli tutti”. Motivo per cui, per recuperare il consenso che sembra basarsi, a questo punto, soprattutto sulla questione migratoria, diversi membri del Partito Democratico hanno adottato posizioni più rigide a riguardo.
Carlo Calenda, ex viceministro dello sviluppo economico sotto i governi di Enrico Letta e di Matteo Renzi, aveva sottolineato come il lavoro di Marco Minniti fosse “necessario” e ha descritto i migranti come “difficilmente integrabili”. Minniti si recò in Libia per siglare un patto con il primo ministro libico, Fayez Al-Serraj, con il fine di controllare i flussi migratori provenienti dalla Libia. Ciò portò a trattenere maggiormente migliaia di persone nei centri di detenzione libici, in cui avvenivano – e avvengono tuttora – torture di ogni genere. Curiosa è anche la reazione di Mario Morcone che ha affermato di voler abolire il Decreto Sicurezza Bis. Eppure, Morcone è stato capo di gabinetto dell’ex ministro Minniti e nel 2017 aveva pure accusato Amnesty International, a seguito di un rapporto sulle violenze ai danni degli immigrati da parte della polizia italiana nei centri Hotspot Italia, i centri per l’identificazione, dicendo “vede troppi film”.
Adottare lo stesso mantra delle frange nazionaliste, il “non possiamo accoglierli tutti”, per quanto allettante in termini di consensi, risulta però profondamente dannosa per tre motivi. In primo luogo perché perpetua una narrazione paternalistica delle migrazioni e dell’Africa, simile a quella proposta da Rudyard Kipling, l’autore di White Man’s Burden: “il grande fardello dell’uomo bianco”, il quale ha il dovere morale di andare nei Paesi sconosciuti per “salvarli ed educarli”. Secondo, perché non tiene conto del fatto che l’Italia non è nemmeno in cima alla classifica dei Paesi che “accolgono” nel mondo – tra i primi tre vi è invece l’Uganda, che ospita 1,3 milioni di rifugiati provenienti da Paesi africani limitrofi e offre loro accesso a servizi sanitari e istruzione. Questa inoltre è una frase frase molto simile a “tutta l’Africa in Italia non ci sta”, più volte ripetuta da Lega e leghisti. Una frase che si basa su presunzioni e bufale dato che la maggior parte delle migrazioni avviene all’interno del continente stesso e solo una minoranza si dirige in Europa. In ultimo, perché dà validità ai deliri di chi, ad esempio, è convinto che gli sbarchi siano il risultato del Piano Kalergi – una teoria del complotto per cui “tutti gli africani invaderebbero l’Europa con il fine di far scomparire la razza bianca”, che è già stata smentita ma che ha attecchito nelle frange più estremiste e razziste del nazionalismo identitario.
Una ricerca del 2011, svolta da Carl Dahlström e Anders Sundell, dell’Università di Gothenburg, ha già dimostrato come adottare lo stesso modus operandi dei partiti di estrema destra sia un modo efficace per confermare e rendere valide le posizioni di quest’ultima. Come sottolineano gli autori, ci si dovrebbe aspettare un declino nel supporto dato ai partiti di estrema destra, se quelli di sinistra iniziano ad adottare metodi ancora più restrittivi in tema di immigrazione. Ma in realtà, secondo la ricerca, gli elettori possono invece interpretare proprio quel segnale come una legittimazione indiretta, andando quindi a considerare i partiti anti-immigrazione come validi. E infatti, se si considerano le posizioni adottate dal Partito Democratico dal 2017 fino a oggi, quest’ultimo non solo non ha ottenuto più consensi, ma anzi le misure proposte e adottate dal PD, in realtà, hanno contribuito all’ascesa del suo più pericoloso avversario. Tanto che Matteo Salvini, una volta diventato ministro dell’Interno, si è perfino complimentato per il lavoro del suo predecessore, dicendo che non avrebbe smontato nulla di ciò che aveva realizzato ma che avrebbe fatto in modo di rendere ancora più restrittive quelle stesse regole in materia di immigrazione.
E così è stato, con l’emanazione del Decreto Sicurezza e del Decreto Sicurezza Bis, che non permette nemmeno il soccorso in mare. Inoltre, dire “non possiamo accogliere tutti” giustifica l’omissione di soccorso e banalizza una questione che viene trattata solo in toni allarmistici e irrazionali. Come ha fatto notare Matteo Pascoletti in un articolo di Valigia Blu, “Non si tratta di essere ‘pro-migranti’ o ‘contro-migranti’ […]: si tratta di essere pro o contro l’omissione di soccorso”. Infatti il Decreto Sicurezza Bis criminalizza chi salva vite, facendo diventare l’omissione di soccorso una prassi securitaria.
Ora abbiamo un nuovo governo formato dal Partito Democratico e dal Movimento Cinque Stelle, con una nuova ministra dell’interno, Luciana Lamorgese. Quest’ultima dovrebbe ripristinare un equilibrio tra Italia ed Europa, riaprendo un dialogo che è stato troncato dalle politiche di chiusura di Salvini, che hanno portato a una riduzione della collaborazione tra l’Italia e Bruxelles nella gestione dei flussi migratori. Si parla spesso dell’importanza della discontinuità con il governo precedente, ma qui c’è da rivoluzionare l’intero approccio che si è avuto fino a questo momento con la questione migratoria.
Il 14 settembre, la nave Ocean Viking è stata autorizzata ad attraccare al porto di Lampedusa per far scendere 82 migranti che verranno ridistribuiti in cinque Paesi europei – Italia, Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo. Premettendo che il soccorso in mare debba essere sempre garantito, è importante affrontare la questione anche attraverso una nuova narrazione. Spesso si finisce per parlare dei migranti come di semplici numeri o, nei casi peggiori, come di pacchi da rimbalzare da uno Stato a un altro. Lo stesso termine “redistribuzione” risulta essere disumanizzante, e benché parlare della condivisione della responsabilità tra gli Stati europei sia fondamentale – ciò significa riformare il Regolamento di Dublino, come ha più volte ribadito l’ex eurodeputata Elly Schlein – bisogna parlare di mobilità internazionale, come ha più volte sottolineato la scrittrice Igiaba Scego. Spesso ci dimentichiamo che i migranti hanno una vita, aspirazioni, formazione e un’identità e non sono solo i detenuti di un campo in Libia e i naufraghi di una barcone in mezzo al Mediterraneo. Nella nostra narrazione oscillano tra due estremi, finendo per diventare parassiti o vittime, con tutto il paternalismo che ne deriva e l’assenza di una visione che li descriva come nostri pari.
La realtà, triste, è che nonostante la gestione delle migrazioni sia, insieme al cambiamento climatico, il tema più importante e dai maggiori risvolti della nostra epoca, i politici di tutto il mondo continuano a sfruttarlo esclusivamente in chiave elettorale. E così facendo attuano una costante banalizzazione che non fa che alimentare un inutile scontro fra schieramenti.
In Italia per esempio, bisognerebbe iniziare a parlare seriamente di liberalizzazione dei visti lavorativi o per motivi di studio; bisognerebbe evidenziare, per indurre un cambiamento, i problemi della burocrazia, spesso lenta e ingiusta in materia di pratiche per i documenti; bisognerebbe abolire la legge Bossi-Fini, che non solo è la prima causa di irregolarità, ma non permette a molti stranieri di inserirsi nel mondo del lavoro o di rinnovare il permesso di soggiorno. Tutto ciò unito a un radicale cambiamento della nostra visione del continente africano e di chi si trova su quelle terre, su quelle navi o su quelle barche. Teoricamente ciascun essere umano dovrebbe avere il diritto di spostarsi, ma le migrazioni hanno da sempre rappresentato un momento di crisi per le strutture sociali e ancora oggi il problema è che c’è una disparità nelle possibilità di muoversi in rapporto al proprio paese di origine: come dimostra il Global Passport Index, i passaporti europei garantiscono una facilità nel viaggiare eguagliata solo da Stati Uniti e Emirati Arabi Uniti (primi in classifica con il punteggio di 173). Non è così per le nazioni africane: nel ranking del Passport Index la Nigeria, ad esempio, ha un punteggio di mobilità pari a 48, contro il 167 dell’Italia. Questo è chiaramente dovuto ai legami diplomatici e commerciali che un Paese intrattiene con i suoi partner internazionali e in gran parte alle influenze delle diverse alleanze, progettare quindi un reale cambiamento di rotta risulta molto complesso, anche perché entrano in gioco diversi attori e fattori ed equilibri molto difficili da spostare.
Includere non può significare soltanto parlare di accoglienza o ridistribuzione, ma agire affinché ci siano leggi che garantiscano realmente gli stessi diritti a tutti – anche se oggi, così come in altre epoche buie governate dall’odio, dalla paura e dai più beceri istinti di sopravvivenza, questa sembra sempre più un’utopia o un ideale ingenuo. Inseguire la destra nella corsa al consenso, vantandosi delle gesta di chi ha emanato leggi che hanno poi portato, nella realtà dei fatti, a gravi violazioni dei diritti umani, o riutilizzare gli stessi slogan della controparte politica, oltre a non funzionare come strategia politica, è profondamente dannoso. I gruppi politici di sinistra, se così si può ancora chiamare, dovrebbero avere il coraggio di affermare una prospettiva alternativa reale che annienti i pregiudizi che la narrazione tossica portata avanti fino ad ora in tema di migrazioni ha instillato nella percezione degli italiani, per restituire a questo delicatissimo problema la dignità che merita.