Lo ammetto: sono un berluscomane. Di conseguenza, ho una lista delle mie frasi preferite di Silvio Berlusconi. Per “preferite” intendo le più ignobili, involontariamente comiche, caciarone, inadeguate, fuori luogo, disprezzabili. Dunque le più berlusconiane delle sue frasi, prima ancora che esistessero i meme. Nella top ten finisce di diritto questa dichiarazione del 2003, quando era presidente del Consiglio: “I giudici sono doppiamente matti. Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Potete immaginarvi le reazioni in seguito a quelle parole pronunciate da un premier, quelle che oggi potrebbe dire forse soltanto un Trump. Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca presidente della Repubblica, fu costretto ai salti mortali per placare una magistratura già sul piede di guerra. Oggi, ventun anni dopo, la destra continua la sua personale guerra contro la magistratura seguendo la scia del berlusconismo, e sempre attraverso lo stesso canovaccio: fare le vittime dopo aver attuato azioni incostituzionali o contrarie a leggi nazionali o trattati internazionali.
Si è discusso ampiamente del pasticciaccio albanese, e quello che ho riscontrato è l’eterno ritorno della presunzione della destra. Come quando il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha chiesto alla magistratura il rispetto per la destra che ha vinto e deve governare. Una vittoria elettorale non garantisce né pieni poteri né carta bianca per mettere in atto politiche che cozzano con le leggi vigenti. E qui torniamo al berlusconismo, quando l’ex Cavaliere usava i risultati elettorali come scudo contro le sue traversie giudiziarie. Avere il popolo dalla propria parte – che poi è una porzione di popolo, sia nei periodi di successo di Berlusconi sia per la destra nostrana che ha ancora meno voti – può creare un cortocircuito politico che nella visione destrorsa si traduce nel desiderio, divenuto tendenza, di andare oltre e sopra la legge, le opposizioni, gli altri Stati, le regole di ogni tipo. Come quando si criticavano le leggi ad personam di Berlusconi e la replica era più o meno: “Abbiamo vinto le elezioni, facciamo il cazzo che vogliamo”.
La verità è che la destra non ha mai superato i suoi traumi e i suoi complessi nei confronti della magistratura, anche generando picchi di ambiguità difficilmente spiegabili. Per esempio l’esaltazione dei magistrati più famosi della storia italiana, Falcone e Borsellino, da parte di Salvini e Meloni. Se entrambi non fossero stati fatti fuori da Cosa Nostra, avrebbero continuato a indagare su alcune piste che collegavano Palermo e Milano, compresi i nomi di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Durante la sua ultima intervista, Paolo Borsellino ha parlato proprio di questo, facendo nomi e cognomi dei diretti interessati. Quindi se non ci fossero state le orrende stragi che li hanno coinvolti, molto probabilmente Falcone e Borsellino negli anni successivi sarebbero finiti nel mirino della destra. Magari anche rientrando nel novero delle “toghe rosse”, oppure venendo accusati di fare “giustizia a orologeria”. La classica tiritera dei “magistrati comunisti” di berlusconiana memoria. E pazienza se Borsellino era di destra, così come probabilmente lo sono diversi giudici che oggi fanno rispettare la legge e per il governo sono dei bolscevichi mangia-bambini: chi ostacola quella fazione politica anche solo svolgendo regolarmente il proprio lavoro rientra nella categoria dei nemici.
La destra italiana, per lo meno quella da Berlusconi in poi, ha riscritto a modo suo i concetti di giustizialismo e garantismo. Sappiamo bene che ogni cittadino, per legge, prima dell’ultimo grado di giudizio ha il diritto alla presunzione d’innocenza. Eppure la destra ha cavalcato l’ondata garantista in seguito al periodo manettaro di Mani pulite con il solo intento di sminuire i reati dei membri dei propri partiti o per discriminare le leggi e i magistrati stessi. È come se l’Italia intera stesse assistendo da una trentina d’anni allo spettacolo teatrale di una destra che ha costantemente sotto i riflettori la famosa pistola di Checov, si può sentire anche l’odore di polvere da sparo, il rumore del colpo quando parte; eppure Berlusconi, Meloni o Salvini ci spiegano che in realtà non è una pistola, non c’è nessun palco e i teatri non esistono. Forse l’esempio più calzante riguarda l’ex presidente della Liguria Giovanni Toti. Protetto senza riserve da tutti e tre i principali partiti della coalizione di centrodestra, è arrivato a patteggiare una pena di due anni e un mese – tramutata in 1500 ore di lavori socialmente utili – per i reati di corruzione impropria e finanziamento illecito. All’inizio delle indagini, Salvini definì “gravissima” la vicenda, chiedendo a Toti di non farsi intimidire da una “magistratura politicizzata”. Addirittura parlò di “Toti sequestrato da qualche giudice”. Meloni ipotizzò un complotto legato al periodo dell’arresto di Toti, ovvero la campagna elettorale, per poi parlare della necessità di una riforma della Giustizia per fermare le “correnti politicizzate”. Ovvero un modo più istituzionale per non dire le due paroline magiche che sentiamo da decenni: “toghe rosse”.
C’è chi le ha effettivamente pronunciate in questi giorni. Si tratta di Dell’Utri, che ha attaccato i giudici durante lo stesso evento in cui l’ha fatto Marina Berlusconi, per poi ribadire: “Le toghe rosse non se ne sono mai andate”. Ricordiamo che stiamo parlando di un individuo condannato a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Dunque la prassi è la stessa: che sia un caso di corruzione o pericolose operazioni con Cosa Nostra, per la destra la nuova forma di garantismo è negare il reato stesso. Anche dopo che è stato certificato pure in cassazione, come nel caso di Dell’Utri. Salvini ha applaudito Toti anche dopo il patteggiamento e l’accordo con i giudici – curioso un alleato che si accorda per una pena inferiore mediando con i nemici rossi, no? Viene da chiedersi dunque quale sia la Giustizia illuminata voluta dalla destra, con la minaccia di una riforma accomodante, magari per schivare i guai giudiziari che appartengono a quella fazione come le branchie appartengono ai pesci.
Se i giudici sono una noia, le leggi delle quisquilie aggirabili e le condanne delle ingiustizie a prescindere, viene da pensare che il desiderio della destra sia quello di scavalcare la giustizia stessa. È già successo una volta nella nostra Storia, e si è trattato di una dittatura, quella fascista di Mussolini. Tutto perfetto: niente avversari politici, niente oppositori, le leggi le facevano loro senza bisogno di corrompere qualcuno o di dipingere i giudici come nemici. Non che dopo il fascismo e prima di Berlusconi la destra abbia avuto un percorso più sereno e maturo con la magistratura. Ha praticamente passato il suo tempo a tentare di insabbiare, di non associare certe stragi al terrorismo nero. Tra l’altro non lo fanno nemmeno adesso. Per esempio le associazioni delle vittime delle stragi di Bologna e di Piazza Fontana hanno più volte criticato Meloni per non essere mai stata esplicita sulla matrice fascista di quegli episodi drammatici. È come se la destra avesse problemi non soltanto ad affrontare la giustizia odierna, ma anche il ricordo di quella passata, i solchi della nostra Storia che qualcuno evidentemente vuole revisionare.
A quanto pare non è un fenomeno prettamente italiano. In questi anni, ogni condanna di Trump è stata accompagnata da insulti dell’ex presidente degli Stati Uniti contro giudici e pm, definiti “canaglie”, “razzisti” e accusati di essere politicizzati e di voler ostacolare la sua carriera politica. Come per Berlusconi, anche per Trump la legge è un dettaglio quasi trascurabile, i giudici delle mosche da scacciare per non avere fastidi, e chi osa contrastarlo è un nemico della democrazia e, di conseguenza, di tutti gli elettori repubblicani. E il potere aumenta la portata di questa messinscena, perché il fatto di avere un largo seguito è per la destra un patentino d’immunità, un lasciapassare per ogni invasione di campo, andando a condizionare, valutare e infangare il lavoro della magistratura stessa. E allora non è più garantismo contro giustizialismo, ma il vizio di una destra che pretende di ottenere un’autorità universale e di essere sopra ogni cosa. Così i frodatori fiscali, i corrotti e i sodali di Cosa Nostra diventano delle vittime della magistratura rossa. Persino i mafiosi pluriomicidi – leggasi Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Berlusconi – passano per “eroi che non hanno ceduto ai ricatti dei giudici”. È il manifesto di una destra che se potesse intitolerebbe un aeroporto anche a Dell’Utri. D’altronde i tempi cambiano, i fascismi pure, e oggi evidentemente sono gli aerei ad arrivare in orario.