Nel caso qualcuno non se ne fosse ancora accorto, siamo nell’era della politica algoritmica. I principali leader e partiti politici si adeguano alle regole dei nuovi media per poter allargare il proprio pubblico e veicolare dei messaggi seguendo hashtag, parole chiave e trending topic, postando sui social quel che conviene a livello di click e interazioni, in modo tale da poter raggiungere – e influenzare – più persone possibili. Non a caso, mercoledì, Salvini ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un post con i dati sui politici più popolari sul web, tra reach ed engagement, scrivendo: “Siamo primi in Italia”. Per inciso, in questa top 10 è presente persino Oscar Giannino ma nessun politico del PD, e ciò denota come a volte un buon social media manager sia più utile di qualsiasi programma elettorale. Una volta creato un team che si occupi della comunicazione web, si passa poi alla scelta dei post da pubblicare, una programmazione rigidissima che serve a delineare il profilo del politico in questione. Quello che accomuna Meloni, Salvini e gran parte della destra è la tendenza a usare certi argomenti con il solo scopo di creare un’empatia di facciata con i loro follower, entrando però in un circuito di contraddizioni facilmente individuabile. È un processo schematico, non è nemmeno il politico in questione a sceglierlo probabilmente ma la sua squadra di analisti del web, e tra i contenuti che più di tutti inteneriscono il pubblico ci sono senza dubbio quelli sugli animali domestici, primi fra tutti cani e gatti.
Secondo il rapporto Assalco-Zoomark del 2020, in Italia ci sono 60,3 milioni di animali da compagnia, in pratica siamo a un rapporto di uno a uno con gli abitanti della penisola, quindi è inevitabile che come tema faccia breccia nell’audience. Inoltre, è risaputo come gli animali scaturiscano sia dal vivo che sul web, anche solo attraverso un’immagine o una notizia, un senso di tenerezza. Così, il politico che posta sui social la foto con il suo gatto o riporta la notizia strappalacrime di un cane salvato eroicamente dalle forze dell’ordine attira a sé valanghe di “Mi piace” e visualizzazioni, oltre a far passare il messaggio di essere sensibile alla salute e al valore degli “amici a quattro zampe”.
C’è però una differenza sostanziale tra animalismo e zoofilia, ovvero tra l’interesse reale alle problematiche legate a tutte le specie animali e quello che invece è più un sentimento di protezione che scatta spesso in maniera automatica e non si tramuta poi per forza in una vera mobilitazione socio-politica a riguardo. In questo l’ipocrisia della destra è evidente: è facile infatti suscitare l’affetto di fronte a un cucciolo, ma poi i politici che lo fanno sono gli stessi che si battono per mantenere alcune pratiche discutibili se non proprio deleterie, come la caccia o gli allevamenti intensivi. A questo proposito, ad esempio, Salvini sfrutta gli animali per il suo tornaconto personale e allo stesso tempo è firmatario della Direttiva Ue pro-vivisezione 63/2010.
Sul tema della caccia, poi, Salvini è stato ancora più esplicito, dichiarando: “Io sono uno dei pochi che parla di caccia, pesca, boschi, lupi, cinghiali. Cacciatori e pescatori sono i primi che tutelano il territorio. Ogni anno vado alla fiera delle armi e la caccia dà milioni di posti di lavoro ed è una tradizione”. La sua capacità di stare con più piedi in una scarpa appare quindi innata: viva gli animali, ma anche le armi e le “sane” tradizioni italiche, come prendere a fucilate gli animali nei boschi. Se anche non ci fossero queste contraddizioni – che pur ci sono e risultano patetiche, così come lo è il fatto che i suoi elettori non se ne accorgano – rimarrebbe in Salvini l’ipocrisia di chi si preoccupa per la salute degli animali (solo quelli che possono regalargli visibilità su social, comunque) e poi mette in secondo piano quella degli esseri umani.
Nel 2019, quando i migranti furono cacciati dal CARA di Mineo in seguito ai decreti sicurezza del primo governo Conte, molti di loro rimasero per strada senza un tetto e in alcuni casi si trattava di individui con situazioni di profondo disagio psicologico, causato dalle esperienze che avevano vissuto. All’epoca gli psichiatri del MEDU (Medici per i diritti umani) andarono personalmente a cercare per strada i migranti lasciati in difficoltà, senza cibo e riparo. Alcuni, però, non furono mai ritrovati. In quei giorni Salvini fece un appello sui social che scatenò un putiferio. Mentre degli esseri umani venivano sbattuti per strada e lasciati al loro destino, l’allora ministro dell’Interno scrisse: “Amici, abbiamo bisogno di voi! 117 cani sono gli ultimi ospiti del CARA di Mineo che come promesso ieri abbiamo chiuso, risparmiando un sacco di soldi. Entro il 31 agosto questi amici devono trovare una nuova casa!”. Dunque i migranti, anche quelli malati, potevano morire di stenti, mentre per i cani partiva una campagna per accoglierli. Campagna giusta, in quanto esseri viventi meritevoli di cure e attenzioni, ma totalmente disumana se messa in contrapposizione al calpestamento in contemporanea dei più basilari diritti umani. Il vescovo di Caltagirone, Calogero Peri, con una frase riuscì a riassumere questa malvagità: “L’Italia è un Paese in cui abbandonare i cani è reato, abbandonare le persone è legge”.
Su questo tema si potrebbero imbastire discorsi sull’antispecismo, certo. Ne hanno parlato prima lo psicologo Richard Ryder e poi il filosofo Peter Singer, tra conferenze, saggi e trattati. Ma questo pensiero non è certo riconducibile alle misere azioni di Salvini e di quella destra che non basa certo certe mosse su un raffinato pensiero filosofico, ma sulla più bieca convenienza personale. Al politico di turno non interessa realmente la condizione degli animali in sé, ma il loro potere di attirare l’attenzione per nobilitare una propaganda che in realtà di nobile non ha nulla. È più che altro una mossa per umanizzarsi e ripulire la propria immagine. Nel periodo in cui Berlusconi era travolto da scandali giudiziari – e Forza Italia stava crollando nei sondaggi – guarda caso si scoprì animalista. Spinto probabilmente dalle battaglie della sua deputata Michela Brambilla, Berlusconi mise in atto uno dei suoi soliti travestimenti, come quello del “presidente operaio”. Si fece ritrarre mentre allattava amabilmente un agnellino, adottò il barboncino Dudù e lo mostrò all’Italia in decine di scatti. Come a dire: ho quasi portato l’Italia al default, sono stato condannato in via definitiva per corruzione, ho avuto rapporti diretti con mafia e massoneria, però guardate qui, amo questo batuffolo di pelo bianco e quindi sono come voi.
Provare empatia verso gli animali è naturale, non rende un individuo migliore, né tantomeno un politico. Occorre ricordare come durante il Terzo Reich furono promulgate diverse leggi per la loro salvaguardia, molte delle quali furono presentate da Heinrich Himmler, conclamato criminale di guerra. Lo stesso Adolf Hitler era un amante degli animali e si batté contro la loro vivisezione, oltre a inserire come materia scolastica la loro tutela. “Nel nuovo Reich non può esserci più posto per la crudeltà verso gli animali”, dichiarò nel 1933. Per alcuni esseri umani invece sì. Mentre milioni di persone morivano nei campi di concentramento, il führer giocava allegramente con i suoi cani in giardino.
La salvaguardia degli animali è un argomento serio e non può tramutarsi in uno strumento politico per affabulare gli elettori. I politici si dovrebbero battere realmente per i diritti degli animali, invece di metterli nelle loro vetrine social per addolcire un’immagine ingrigita dal disprezzo verso altri esseri umani, dal razzismo, dall’odio e dalla xenofobia. La destra, grazie alla sua narrazione delirante, è in parte riuscita a trasformare i migranti in qualcosa di estraneo alla nostra specie: nell’immaginario dei loro elettori non sono più persone, ma vengono percepite come nemici impersonali che non meritano alcun tipo di assistenza o accoglienza, e questa oggettificazione come la storia ci ha mostrato più volte è il prodromo di ogni tragedia umanitaria. Se arrivasse sulle coste siciliane un gommone carico di cuccioli di labrador, gli hater da tastiera che vogliono affondare i barconi dei migranti sarebbero probabilmente i primi a mobilitarsi per cercare di salvarli.
Questa deriva di pensiero ha dato vita nel tempo a diverse azioni spesso sarcastiche, come la famosa wave Gattini su Salvini nel 2015, un flash mob virtuale dove sulla pagina Facebook del leader leghista vennero postate migliaia di foto di gatti pucciosi in contrapposizione ai post contro i migranti. Il problema, però, è che certi stratagemmi politici semplicemente funzionano, perché quando Salvini o Meloni chiedono ai loro follower di postare nei commenti le immagini dei loro “amici a quattro zampe” la risposta a livello di interazioni è sempre enorme. Pazienza se gli stessi politici qualche minuto prima hanno pubblicato post dove condannano l’accoglienza degli esseri umani perché tanto è il cagnolino il migliore amico dell’uomo. Non possiamo più tollerare soggetti che avallano politiche che lasciano morire i bambini in mare e poi cercano una presunta redenzione attraverso lo sfruttamento dell’immagine degli animali. Tutte le creature andrebbero amate e rispettate, senza possibilmente scadere nel qualunquismo del “Sono meglio di tanti esseri umani”. No: al massimo sono meglio di chi vuole affondare i barconi carichi di persone in difficoltà.