Che questi fossero tempi duri per i diritti delle donne non è certamente un mistero. Tra gli attacchi ai diritti riproduttivi e all’autodeterminazione del World Congress of Families, battaglie ideologiche anacronistiche come il ripristino delle diciture padre e madre anziché “genitore 1” e “genitore 2” sui moduli per richiedere la carta d’identità per i minori, e una ministra della Repubblica come Giulia Bongiorno che vuole assicurarsi che le donne che subiscono maltrattamenti non siano “delle isteriche” – tanto per citare i casi più recenti – le donne sono sempre più all’erta e hanno cominciato a manifestare apertamente il loro dissenso. Ma al di là delle dichiarazioni sopra le righe dei personaggi politici o delle provocazioni fini a se stesse, è necessario preoccuparsi soprattutto di quello che concretamente avviene tra i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, dove al momento sono in discussione sette proposte di legge che minano in primis, i diritti delle donne, ma più in generale di tutti i cittadini.
Il primo, il più discusso e noto, è il ddl Pillon. Il disegno di legge del senatore bresciano noto per le sue posizioni oltranziste, recentemente condannato in primo grado a pagare una multa da 1500 euro a 30mila euro di risarcimento al circolo LGBTQ+ Omphalos per diffamazione, prevede la riforma dell’affido condiviso. I punti salienti e più critici sono: l’introduzione della mediazione familiare obbligatoria, la bigenitorialità perfetta e il mantenimento diretto dei figli da parte di entrambi i coniugi. A questi si aggiunge anche il riferimento, all’interno del testo, all’alienazione genitoriale, o alienazione parentale (Pas), una presunta sindrome più volte smentita dalla comunità psichiatrica internazionale e assente dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, che sarebbe causata dalla manipolazione psicologica di uno dei due genitori sui figli per allontanarlo dall’altro. Il ddl Pillon è particolarmente pericoloso perché obbliga i genitori, anche in caso di separazione consensuale e non conflittuale, a intraprendere un percorso di mediazione parentale obbligatoria (e a pagamento, dato che solo il primo incontro è gratuito). Inoltre, con l’abolizione dell’assegno di mantenimento, toglie un’entrata importante al genitore che non lavora, condizione molto più frequente per le donne che per gli uomini. Anche la bigenitorialità perfetta diventa un problema per le famiglie a basso reddito, soprattutto nel caso in cui i due ex coniugi abitino lontani, oppure nel caso in cui i genitori lavorino full time perché, per non lasciare il figlio con i nonni o una babysitter, dovrebbero chiedere permessi dal lavoro o ridurne l’orario. L’aspetto più discutibile riguarda però il caso in cui l’ex coniuge dimostri comportamenti violenti, verbali o fisici. Anche in tal caso la donna sarebbe costretta a incontrarlo ripetutamente per la mediazione familiare, una follia in un Paese in cui 2 milioni 800mila donne hanno subìto violenza fisica da parte del partner o dell’ex partner. Il ddl Pillon ha il chiaro obiettivo di rendere sempre più difficile il divorzio, che per molte donne è una via d’uscita imprescindibile da situazioni di violenza e sopraffazione.
Il 1 aprile, il sottosegretario con delega alle Pari Opportunità Vincenzo Spadafora aveva dichiarato che il ddl Pillon era stato “archiviato”. In realtà non è così. Un disegno o una proposta di legge, dopo essere stato presentato, stampato e distribuito, viene assegnato a una commissione competente in materia, che attraverso un’istruttoria esegue una valutazione preliminare e una discussione in quella che viene detta “sede referente”, per poi passare al vaglio dei pareri di altre commissioni e infine portato in aula per la discussione, che lo può emendare. Altrimenti, si può passare per una via più breve, detta “sede redigente”, in cui la commissione incaricata presenta il testo definitivo che l’aula deve votare così com’è, senza ulteriori modifiche. Ad agosto il ddl Pillon era stato assegnato alla commissione Giustizia del Senato in sede redigente, ma dopo molti mesi di discussione una sua parte ha richiesto che il ddl fosse riportato nella sede referente, per essere discusso in maniera più estensiva e ponderata. Quindi il ddl è ben lontano dall’essere archiviato.
Ma non deve essere solo questa proposta di legge ad allarmarci. Ci sono altri tre ddl in discussione al Senato che rafforzano quello di Pillon. Il ddl 45 per iniziativa di Antonio De Poli, Paola Binetti e Antonio Saccone dell’Unione di Centro (confluita in Forza Italia) prevede, tra le altre cose, la sospensione della potestà genitoriale in caso di calunnia da parte di un genitore nei confronti dell’altro e la sostituzione della condanna di detenzione per il genitore che viene meno agli obblighi di cura del figlio con dei lavori di pubblica utilità. La proposta si apre richiamando i “frequenti casi di sindrome di alienazione genitoriale, documentati dagli studi di Richard A. Gardner”. Gardner, l’inventore della Pas, è una figura molto controversa in ambito psichiatrico, che si è distinta più volte per le sue teorie sulla pedofilia che aumenterebbe “la sopravvivenza della specie umana avendo finalità procreative”.
A sostegno di Pillon c’è anche il ddl 118, a firma di Antonio De Poli (Forza Italia), che introduce anch’esso il ricorso alla mediazione obbligatoria, e il ddl 768 proposto da Maria Alessandra Gallone (Forza Italia) che, oltre a ribadire i punti salienti del ddl del senatore e mediatore familiare bresciano, impone l’affido esclusivo del bambino solo a due condizioni, cioè nel caso in cui il genitore maltratti l’altro coniuge o il minore, oppure nel caso in cui lo manipoli. “La norma,“ fa notare Cristina Tropepi su Lettera Donna “impone [al giudice] di optare per l’affido paritario, salvo le due eccezioni previste, anche se una scelta di questo tipo non tiene conto delle diverse esigenze e i tempi di crescita dei minore. Senza dimenticare che mette sullo stesso piano maltrattamenti e la controversa alienazione genitoriale”. È probabile che ora che il ddl Pillon è tornato in fase referente, questi disegni di legge confluiscano in un testo unificato, anche se il vicepresidente della commissione Giustizia Mattia Crucioli, del M5S, ha assicurato che “il Pillon non sarà il testo base” e che verrà riscritto.
Pillon è autore anche di un’altra proposta, passata più in sordina, che limita la gestazione per altri (Gpa). Il ddl Disposizioni contro il turismo riproduttivo, comunicato alla presidenza del Senato il 25 gennaio scorso, prevede la sanzione fino a un milione di euro per chiunque realizzi la “compravendita dei gameti” e il divieto della trascrizione dell’atto di nascita di figli nati da coppie dello stesso sesso. Forse gli sarà sfuggito, nel suo impegno contro i movimenti LGBTQ+, che la pratica della maternità surrogata viene utilizzata nel 70% dei casi da coppie eterosessuali. Intervistato dall’Adkronos, il senatore ha definito la Gpa “uno schifo, una delle peggiori forme di violenza contro le donne”. A quanto pare peggiore di quella che si consuma quotidianamente nelle famiglie italiane, e che il disegno di legge che porta il suo nome sembra minimizzare.
Ma non sono solo Pillon e la sua cerchia gli autori prolifici di proposte di legge che fanno somigliare questo 2019 sempre di più al 1886. Non si può non citare, a questo proposito, il ddl 950 a firma Gasparri, presentato lo scorso ottobre. Il disegno prevede la modifica dell’art. 1 del codice civile, che attualmente recita “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”, in “Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento”. Una mossa pericolosa, perché affermare che il concepito, a qualsiasi stadio embrionale, anche in quanto zigote, sia una persona giuridica significa equiparare l’aborto – e magari anche la pillola del giorno dopo, che non è abortiva – all’omicidio. La legge 194 fa prevalere la tutela della madre su quella del concepito, perché la madre è già in vita e quindi esercita dei diritti in quanto soggetto titolare di capacità giuridica. Dare lo stesso statuto all’embrione o al feto significa porre la madre che vuole eseguire un’interruzione di gravidanza in una posizione conflittuale dal punto di vista giuridico e etico.
Molto clamore ha suscitato invece la proposta di legge 1238 sull’adottabilità del concepito, a firma del leghista Alberto Stefani, che prevede per la donna la possibilità di dare in adozione il figlio come misura alternativa all’aborto. Il disegno ha un testo molto simile alle varie mozioni anti-aborto proposte a Verona, a Milano e in altre città italiane e ha un’impostazione ideologica molto chiara. Si dice, per esempio, che “l’obiezione di coscienza […] non ostacola in alcun modo l’accesso all’aborto”, che “con la pillola abortiva RU486 si vuole permettere un aborto fai da te […] contribuendo al diffondersi di una cultura dello scarto” e che la 194 fa “manca[re] all’appello una popolazione di sei milioni di bambini che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica”. È interessante il fatto che per la Lega la scelta consapevole di una donna di portare avanti una gravidanza per affidare il figlio a un’altra coppia con la maternità surrogata sia “uno schifo, una violenza”, mentre fare pressione affinché una donna che non vuole diventare madre porti a termine una gravidanza indesiderata per poi affidare il figlio a un’altra coppia sia meritevole di una legge con oltre cinquanta firmatari.
Per compensare questo attacco alla libertà delle donne non basta il Codice Rosso, sbandierato come la misura definitiva per arginare il problema della violenza di genere. Oltre alla faticosa approvazione dell’emendamento sul revenge porn, questo provvedimento presenta diverse criticità, come il fatto di trattare la violenza di genere solo come una circostanza di emergenza e non come un problema sistematico, cosa che potrebbe scoraggiare le donne dal denunciare (visto che tre giorni per essere ascoltate da un pubblico ministero sono davvero pochi, senza contare che a solo 1 donna su 3 che si presenta in pronto soccorso dopo aver subìto percosse o violenze sessuali viene consigliato di denunciare). Ne è prova il mancato rinnovo dei finanziamenti ai centri antiviolenza, denunciato dalla rete Di.Re.
Il 3 aprile scorso, Giorgia Meloni, fresca di partecipazione del World Congress of Families, ha presentato alla Camera una mozione in favore della famiglia e di interventi per la natalità. Nell’atto si parla di misure per contrastare “la riduzione delle nascite da madre italiana”, a cui i governi precedenti e l’Europa avrebbero risposto con l’immigrazione, e si invita il governo a porre “la famiglia naturale” al centro dello Stato sociale, a “scoraggiare il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza e sostenere le donne nel percorso della maternità, assicurando lo stanziamento di adeguate risorse per tutte le iniziative che offrano a queste madri un’alternativa all’aborto”. Al momento è in corso la discussione del testo, ma in questo momento storico una mozione del genere è significativa e il suo esito potrebbe aggiungersi alla lunga lista di progetti di legge che con la scusa di proteggere la famiglia o la vita finiscono per ostacolare l’autodeterminazione delle donne.
Al momento, sette ddl di legge si prefiggono questo obiettivo. Intanto il governo si fa vanto di essere dalla parte delle donne, mentre Salvini propone di contrastare la violenza sulle donne con l’istituzione del telefono rosso. Che esiste già, dal 2009. Se gli interessasse davvero tutelare la libertà delle donne, fermerebbe il decreto che è già in discussione in Parlamento, proposto dal suo stesso partito.