Citata a sproposito, senza cognizione di causa o usata come arma durante gli scontri politici, dalla sua entrata in vigore nel 1948 la Costituzione italiana è diventata il feticcio nazionale degli italiani, spesso convinti che sia perfetta e non modificabile. Andando oltre i suoi principi fondamentali, è sempre più evidente che il lavoro dei padri costituenti non sia più adeguato ai cambiamenti vissuti dal nostro Paese nel corso degli ultimi 70 anni, a partire dal ruolo delle donne nella nostra società.
Secondo l’Articolo 37 della Costituzione “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Il riferimento all’essenzialità della donna come “figura materna” aveva acceso il dibattito tra i membri dell’Assemblea Costituente, con lo scontro tra la visione cattolica e conservatrice della Dc e quella progressista, tra la deputata della Democrazia cristiana Maria Federici e la socialista Lina Merlin.
Federici sosteneva che il figlio della donna lavoratrice avesse diritto “alle insostituibili cure materne, come tutti gli altri bambini […]” e chiedeva dunque che “le disposizioni generali, gli orari, la durata del lavoro, i permessi ed i congedi,” tenessero presente “che la donna lavoratrice, oltre al suo lavoro, dinanzi alla macchina, dinanzi allo scrittoio, o in qualsiasi altra occupazione di carattere materiale o intellettuale, ha anche una grande funzione da svolgere: quella di formare, di allevare, di educare la famiglia”. La posizione incarnata dalla deputata Dc, pur ammettendo il diritto al lavoro delle donne, imponeva dunque loro doveri nella gestione della famiglia, da cui gli uomini venivano completamente esentati.
Merlin si è opposta a questa visione arcaica, sostenendo l’importanza di evitare di consacrare “un principio tradizionale, ormai superato dalla realtà economica e sociale, il quale circoscrive l’attività della donna nell’ambito della famiglia”. Enfatizzando una concezione della maternità come funzione “naturale” della donna, la senatrice temeva che questa scelta di parole trasformasse l’essere madri in una “condanna”, limitando l’autodeterminazione femminile in tutti i campi della vita nazionale e sociale.
Il recente studio Children and Gender Inequality: Evidence from Denmark di Henrik Kleven, Camille Landais e Jakob Egholt Søgaard ha dimostrato come ancora oggi la causa principale del pay gap tra uomini e donne sia dovuto alla scelta di avere figli, che può causare un divario negli stipendi anche del 20%. Questo è uno dei limiti più evidenti della motherhood penalty, ossia la scelta che molte donne sono costrette a fare in una certa fase della loro vita tra la carriera e la famiglia, dato che la società riesce ancora a renderli due aspetti inconciliabili. Dedicando in media 9 ore alla settimana in più alla cura della casa e dei figli rispetto ai padri (25 ore contro 16), in un anno si ottiene un monte orario pari a 3 mesi lavorativi extra. L’idea che certi ruoli familiari e domestici debbano essere ancora prerogativa della donna aumenta il tempo che un uomo può dedicare al suo lavoro, permettendogli di guadagnare stipendi maggiori. Il Global Gender Gap del 2018 vede l’Italia al 70esimo posto su 149 Nazioni per equità dei generi: nella sottocategoria “Economic participation and opportunity” il nostro Paese precipita addirittura al 118esimo posto, con buona pace degli “stessi diritti” e “stesse retribuzioni” sancite 71 anni fa nell’Articolo 37 della Costituzione.
Un altro concetto che andrebbe smontato nel 2019 è la convinzione dei conservatori che solo la famiglia tradizionale sia in grado di crescere dei figli in un ambiente sano e positivo. Susan Golombok, autrice del libro Famiglie moderne. Genitori e figli nelle nuove forme di famiglia del 2015 ha sfatato, con ricerche e studi scientificamente attendibili, il mito delle possibili turbe mentali o malessere sociale per i figli cresciuti nelle cosiddette “famiglie non tradizionali”. Nonostante le tesi dei relatori del World Congress of Families di Verona, crescere con due padri, due madri, un genitore single oppure essere al mondo grazie a tecniche di Pma (Procreazione Medicalmente Assistita) non rovinerà il futuro di nessun individuo o condizionerà le sue scelte sessuali o di genere. A meno che non sia la società stessa a stigmatizzarli, deriderli o discriminarli per questo. Anche se le ricerche che Golombok ha preso in esame sulle famiglie bigenitoriali omosessuali con madri lesbiche sono numericamente maggiori, i casi di figli cresciuti con padri gay dimostrano comunque l’assenza di differenze rispetto a quelli educati da una famiglia tradizionale, confermando che “l’orientamento sessuale dei genitori non è una determinante importante nello sviluppo infantile”. Spesso la ricerca di un figlio, decisamente più complicata rispetto alle coppie eterosessuali, porta quelle omosessuali a una presenza e attenzione genitoriale maggiore.
Nel capitolo che Golombok ha dedicato alle famiglie con padri gay il concetto di essenzialità di una donna per il nucleo familiare viene ampiamente smentito. Vari studi, tra cui Parenting and Child Development in Adoptive Families: Does Parental Sexual Orientation Matter? del 2010, hanno dimostrato come non ci siano differenze nelle problematiche comportamentali o emotive dei figli cresciuti con due uomini rispetto a genitori eterosessuali o madri lesbiche. Grazie ad alcuni questionari somministrati a padri gay con figli in adozione, è emerso che il “funzionamento” dei genitori risulta migliore in termini di ansia correlata al ruolo genitoriale, depressione e livelli di stress rispetto a caregivers eterosessuali o madri lesbiche. Il rapporto proporzionale tra lo stress parentale e i problemi di condotta dei figli, si tradurrà in una maggiore stabilità emotiva e mentale dei figli.
È stato anche dimostrato come, nell’autodeterminazione della propria identità sessuale e di genere, i figli siano condizionati dai genitori, ma soprattutto da una serie di modelli esterni al nucleo familiare. Tuttavia, l’autrice evidenzia una lieve superiorità numerica di coming out queer tra i figli delle famiglie non tradizionali. Il dato non risulta in nessun modo correlato a qualche sorta d’imposizione, volente o nolente, da parte dei padri o delle madri nei confronti della prole. La vera causa è il clima più sereno sugli argomenti LGBTQ+ che, molto spesso, si troverà in queste case, rendendo più facile poter dichiarare fin da piccoli il proprio orientamento sessuale. Crescere in un contesto dove il bambino o la bambina hanno modo di poter conoscere sin da piccoli l’esistenza di altro al di fuori della tradizionale eteronormatività porta a una consapevolezza più precoce della propria sessualità.
Come provano i diversi studi citati da Golombok, sempre più letteratura scientifica ha dimostrato che l’aggettivo “essenziale”, legato al concetto di maternità a cui si riferiva una parte dei redattori dell’articolo 37 della Costituzione, non lo è affatto. La Costituzione è un simbolo in grado di smuovere come poche altre cose l’opinione pubblica italiana. Come tutti i simboli che trovano forza nell’immaginario popolare è intoccabile, non modificabile e mai anacronistico o migliorabile. Questa idea è ancora più radicata in un contesto politico dominato da partiti sovranisti e nazionalisti, dove la maggior parte della popolazione vede la Carta costituzionale come la massima espressione dei valori tradizionali italiani da difendere a oltranza. Tale visione conservatrice si scontra però con una società che cambia sempre più rapidamente, come hanno dimostrato dal 1948 in poi cambiamenti radicali come le diverse ondate del movimento femminista, la legge sul divorzio, la 194 sull’aborto, la 164 per la conversione del sesso, la legge 40 sulla PMA, o la legge Cirinnà del 2016 sulle unioni civili.
Lina Merlin giudicava superato il principio di essenzialità della funzione familiare materna già prima di poter assistere ai cambiamenti epocali degli anni successivi. Accettare che nel 2019 alcune parti della Costituzione sono superate e da rivedere non è solo legittimo, ma necessario. Possiamo continuare a lottare per ottenere la parità sul luogo di lavoro, superando il pay gap e aumentando il numero di donne in posizioni dirigenziali, ma queste conquiste saranno sempre svuotate di efficacia senza un cambiamento degli schemi mentali della nostra società e dell’articolo 37 che li riassume. Le donne possono essere sia madri che lavoratrici, senza che un ruolo prevalga sull’altro, a differenza di quanto sostiene la Costituzione.