Quando un neoeletto presidente del Consiglio si insedia e dà vita al nuovo governo, c’è una consuetudine, quasi una tradizione, che prevede un discorso alla Camera molto vago, più incentrato sui sentimenti che sulle proposte, e uno più concreto al Senato, dove vengono svelati i piani dell’esecutivo. Anche Giorgia Meloni non si è sottratta a questa usanza. Certo, già alla Camera aveva lasciato intuire l’andazzo del suo percorso politico e culturale: le donne, infatti, sono state citate solo per nome, mentre gli uomini anche con il cognome; la condanna alle leggi razziali è risultata parecchio ipocrita per chi ha fieramente come padrino mai rinnegato Giorgio Almirante, all’epoca caporedattore proprio de La difesa della razza e che scrisse “Il razzismo ha da essere cibo di tutti”. È però al Senato che Meloni ha definito il piano di governo, dichiarando che alcune misure saranno attuate prima ancora della legge di Bilancio. Per chi si chiedesse quali, la risposta era già presente nel programma elettorale della coalizione, e riguarda il favore della destra alla sua categoria preferita: gli evasori fiscali.
I due punti indicati da Meloni sono l’innalzamento del limite all’uso del denaro contante e una “tregua fiscale” per famiglie e imprese, quella che in passato è stata chiamata anche “pace fiscale” o in altri modi fantasiosi per camuffare il suo reale significato: condono. Parlando di cartelle esattoriali, la destra propone di agevolare i contribuenti intenzionati a mettersi in regola con l’Erario attraverso diverse funzioni già spiegate nel programma elettorale. In primis lo stralcio dei mini-debiti, e poi la formula 5+5, ovvero pagare una sanzione forfettaria del 5% con una rateizzazione in 5 anni. Sempre seguendo un filone ormai chiaro: chi paga regolarmente le tasse, con innumerevoli sacrifici, è uno stolto, mentre gli evasori possono sempre aspettare il prossimo condono pagando molto meno e mettendosi in regola.
Questa, d’altronde, non è di certo una novità per il centrodestra, considerando che in tutti i governi Berlusconi ci sono stati dei condoni. Nel 1994 attraverso un concordato fiscale di massa, nel 2002 con un condono tombale e nel 2009 con uno scudo fiscale per permettere agli evasori con i soldi all’estero di mettersi in regola, pagando cifre irrisorie, con la promessa dell’anonimato. Ciò che però ha fatto maggiormente storcere il naso è il discorso di Meloni sull’innalzamento del tetto al contante, allacciandosi a un disegno di legge già depositato dalla Lega alla Camera, firmato dal deputato Alberto Bagnai, che prevede un balzo del tetto al contante dai 2mila euro attuali a ben 10mila euro. Seguendo le leggi legate al contante nel corso degli anni, è ironico notare come ci sia stato un ottovolante delle cifre in base alla forza politica al governo, con la sinistra ad abbassare il tetto (tranne che con Renzi) e la destra ad alzarlo. Il massimo è stato raggiunto, ovviamente, con Berlusconi: 12500 euro nel 2008, mentre Prodi nel 2006 l’aveva abbassato a 5mila. Il governo Monti, nel 2011, toccò la cifra più bassa: mille euro, ovvero quella che dovevamo raggiungere già quest’anno, prima del blitz di Lega e Forza Italia al decreto milleproroghe che costrinse il governo Draghi a mantenere il tetto dei 2mila euro fino al 2023. Meloni al Senato ha citato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia dei governi Renzi e Gentiloni, che dopo l’esperienza di Monti fece risalire il limite da mille a 3mila euro. Meloni non ha però parlato del pentimento dello stesso Padoan, che considerò un errore quella mossa, un compromesso a cui lui stesso era contrario.
Prima di analizzare l’ovvia relazione – che Meloni finge di trascurare – tra aumento del contante e crescita dell’evasione, è bene capire il traffico in Italia e in Europa delle banconote rispetto ai pagamenti digitali. SumUp, la società che gestisce Pos e pagamenti digitali, ha reso pubblici i dati delle transazioni elettroniche per il 2022, aumentate del 17% rispetto all’anno precedente e addirittura del 128% rispetto al 2019, ovvero prima della pandemia. Secondo le rilevazioni del Politecnico di Milano, inoltre, i pagamenti cash in Italia sono scesi sotto il 50%, eppure rispetto agli altri stati dell’Unione Europea siamo ancora in fondo alla classifica per quanto riguarda i pagamenti digitali. L’Italia è stata superata anche dalla Grecia per le transazioni pro-capite e si trova al venticinquesimo posto su ventisette Stati, davanti solo a Romania e Bulgaria.
È per questo che non bisogna concentrarsi sulle regole dei singoli Paesi sul tetto al contante, perché in molti casi è un limite pleonastico, essendo molto più abituati dell’Italia ai pagamenti digitali. Per esempio, in Paesi come Germania o Austria non c’è alcun tetto, ma i pagamenti in contanti, come visto nella classifica degli Stati europei, sono molto meno frequenti rispetto all’Italia, e soprattutto c’è una situazione legata all’evasione totalmente differente. Da noi, infatti, secondo i dati dell’Agenzia delle entrate abbiamo 1100 miliardi di euro di tasse non riscosse negli ultimi 22 anni, con una media recente di 100 miliardi di euro l’anno di evasione. Una piaga che si ripercuote sull’intero tessuto economico e sociale del Paese: meno servizi, tasse più alte per chi non evade, corruzione e mafie che agiscono quasi indisturbate. Evidentemente è quello che vuole la destra, considerando che alzare a 10mila euro il tetto del contante non porterebbe alcun vantaggio ai cittadini, a meno che questi non siano appunto evasori, riciclatori o mafiosi.
In un periodo storico in cui, tramite il PNRR, il governo dovrà gestire appalti e un giro di denaro non indifferente, limitare il contante (che per sua natura non ha la tracciabilità di un pagamento digitale) sarebbe stata una scelta logica per evitare furberie di ogni tipo e per adeguarsi ai dati europei sui pagamenti elettronici. L’altro paradosso è che una delle teste del governo (Berlusconi) è stata condannata in via definitiva per frode fiscale, e ha contribuito alla stesura del programma di coalizione, compresi appunto i temi fiscali. Inoltre, nel discorso di Meloni, sembra che l’unico problema del denaro sommerso sia legato ai grandi evasori, quando in realtà non è così. Certo, fa più rumore il vip di turno beccato per aver evaso qualche milione di euro, ed è ovviamente una cosa molto grave. Ma la cifra di 100 miliardi l’anno è in realtà un accumulo di tante piccole scappatoie della vita quotidiana, dall’esercente che non rilascia lo scontrino ai privati allergici alle fatture. Qui entra in gioco un discorso anche culturale, e certe zone d’Italia, soprattutto al Sud, sono meno propense ad accettare pagamenti in regola. Inizialmente pensavo fosse solo una mia impressione: essendo di Catania mi stupivo di fronte alle facce disgustate dei commercianti davanti alla richiesta di pagare col Pos o di un idraulico a cui viene chiesta la fattura. Invece, a quanto pare, non era una mia percezione distorta della realtà. Infatti, secondo la CGIA, Associazione Artigiani e Piccole Imprese, nella classifica per euro evasi ogni 100 euro di gettito incassati, le prime cinque posizioni sono occupate da Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Molise, con le principali regioni del Nord in fondo alla classifica.
Per smentire ulteriormente ciò che ha detto Giorgia Meloni durante il discorso al Senato rispetto alla sua convinzione che non ci sia una correlazione tra il tetto del contante e l’evasione, non c’è nulla di più esplicito dei dati che arrivano direttamente dalla Banca d’Italia. Nella relazione Pecunia olet. L’uso del contante e l’economia sommersa, viene infatti chiarito che “un aumento della quota di transazioni in contanti determinerebbe, a parità di condizioni, un incremento dell’incidenza dell’economia sommersa”. Questa analisi deriva dallo studio dei flussi relativi all’innalzamento del tetto dai mille euro ai tremila del 2016, quindi figuriamoci con una cifra più che triplicata rispetto a quella dei governi Renzi/Gentiloni e quintuplicata rispetto al tetto attuale. Siamo passati dalla prospettiva del limite di mille euro nel 2023 a quella di 10mila, e questo è l’ennesimo favore della destra agli evasori e alle mafie. Mentre l’Europa si modernizza, noi – ancora una volta – arretriamo. A quanto pare è questo il progetto del governo per quanto riguarda diversi ambiti.
Sembra che la politica della destra sia indirizzata agli approfittatori e che tenda una mano a coloro che tentano la “furbata” piuttosto che a chi rispetta le regole; ai discriminatori a scapito dei discriminati; a chi vede lo Stato come un ostacolo da aggirare con le buone e con le cattive invece che a chi tenta, nonostante tutto, di aggrapparsi a esso perché crede nel suo ideale di fondo, ovvero che “lo Stato siamo noi”. “Ma noi chi?”, ci verrebbe da chiedere. D’altronde, anche questa è una forma di conservatorismo: chiudere un occhio sull’evasione – se non alimentarla – vuol dire restare aggrappati alle logiche di quello che, a tutti gli effetti, è un voto di scambio: tu mi voti, io straccio le tue cartelle o ti metto in regola facendoti pagare una piccola percentuale di quello che hai sottratto alla comunità. A pagarne sono tutti gli altri: le persone oneste che invece, in teoria, andrebbero premiate. È quindi la legalizzazione della strafottenza e dell’illegalità, e chi adesso si stupisce – dopo che era tutto scritto nero su bianco nel programma elettorale – pecca di ingenuità e forse ora dovrebbe iniziare a rendersi conto dei danni che la destra arrecherà al nostro Paese.