Per secoli il Mediterraneo è stato territorio di incontro e scontro, condiviso dai Paesi che vi si affacciavano a volte in competizione, altre in aperto conflitto. Lo è anche oggi, ma se in passato la minaccia veniva da chi voleva invadere un territorio per farlo proprio, oggi arriva da chi vuole entrarci per scappare da guerre e discriminazioni. La chiamano comunque “invasione”, anche se è completamente diversa, nella sostanza e nei numeri. Persino nel 2017, quando ancora non era arrivato Matteo Salvini a “salvarci” dagli sbarchi, gli arrivi rappresentavano lo 0,16% della popolazione europea: un numero irrisorio, in grado però di condizionare le paure e il voto di milioni di elettori.
Proprio perché il fenomeno ha assunto un’enorme valenza politica, la sua narrazione è spesso distorta attraverso la creazione di una serie di falsi miti. Il primo è che sia lecito intralciare, senza apparente motivo – se non per convenienza elettorale – la libera navigazione di una nave.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay in Giamaica e resa esecutiva in Italia dal 1994, stabilisce il principio generale di libertà di navigazione nelle acque territoriali di uno Stato, da parte di ogni nave straniera che non abbia una condotta ostile. “Questo principio fondamentale,” ha spiegato a The Vision Gregorio De Falco, capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno ai tempi del naufragio della Costa Concordia e oggi senatore nel gruppo misto, “può essere derogato solo quando vi siano fondati timori che la navigazione della nave straniera sia potenzialmente offensiva. Dunque, secondo le semplificazioni della Convenzione, parliamo di una nave con i cannoni pronti a fare fuoco o che compie operazioni illegali di carico o scarico, o di un sommergibile in immersione.”
Sicuramente non è questo il caso delle Ong. Anche perché quelli che chiamiamo migranti, fin quando non richiedono asilo, protezione internazionale o qualsiasi altra forma di accesso, per il diritto internazionale sono ancora naufraghi. Questa è un’altra grossa distorsione. Come ricorda Annalisa Camilli nel suo libro La legge del mare, in acqua non esistono cittadini o profughi, rifugiati o apolidi: esistono solo naviganti e naufraghi. E i primi, in caso di necessità, devono soccorrere i secondi. Un principio semplice, ma sempre più spesso messo in discussione.
È proprio appellandosi a queste distorsioni, su cui si fonda anche il Dl Sicurezza, che Salvini ha deciso di “chiudere i porti” alle imbarcazioni che trasportano naufraghi. Per di più, non solo ha impedito l’ingresso in acque italiane alle navi straniere (senza che queste avessero i cannoni puntati) ma lo ha fatto anche con quelle italiane. Un modus operandi illecito secondo i senatori De Falco e Loredana De Petris, anche lei del gruppo misto, che hanno presentato l’11 luglio un’interrogazione parlamentare per capire perché il ministro abbia impedito – ponendo un divieto inesistente – l’ingresso in acque territoriali e l’attracco di Alex, veliero battente bandiera italiana. “Lasciando fuori dalle acque territoriali una nave che, nella sua ipotesi, stava violando le norme dello Stato italiano, Salvini ha sottratto alla giustizia qualcuno che lui stesso diceva essere in illecito,” ha spiegato De Falco a The Vision. “In uno Stato di diritto nessuno, tantomeno il ministro dell’Interno, ha la facoltà di sottrarre al giudice un presunto reo.”
Salvini, come d’abitudine, non ha risposto nel merito, ma si è messo a parlare di dati sugli sbarchi e a contestare persino la definizione di naufrago. “Questi non sono naufragi,” ha dichiarato, “Sono viaggi organizzati da trafficanti dietro pagamento di denaro. Naufragio è un evento imponderabile, occasionale, questo è un traffico di esseri umani organizzato.” Non è esattamente così. Secondo la dottrina dominante infatti il naufrago è colui che è in pericolo di perdersi in mare – “Non perdere la vita, ma anche semplicemente perdersi,” ha specificato De Falco. Un naufragio invece si verifica anche solo quando l’imbarcazione non è più in grado di navigare regolarmente. In questi casi, dice la legge, è d’obbligo il soccorso. “Se il comandante di una nave che può intervenire non lo fa, si dovrà assumere non solo la responsabilità del mancato soccorso, ma anche quella di essere parte di una società che non rispetta la vita altrui, una società spregevole. La posizione delle Ong non è lecita, è doverosa.” Il modo in cui le persone o la nave si sono ritrovate in quella situazione, se hanno pagato o meno per partire e se è giusto o meno che si trovino lì, è del tutto irrilevante. “D’altra parte, quando l’ambulanza interviene per un incidente stradale, non può lasciare sull’asfalto il presunto responsabile dell’incidente,” ha ricordato il senatore.
Nonostante questo, dai salotti dei talk show, il vicepremier continua ad accusare le Ong di offrire un servizio a pagamento in combutta con gli scafisti libici – mentre nei fatti, occupandosi dei naufraghi del Mediterraneo, riempiono il vuoto creato dalle stesse istituzioni. “La magistratura ha in mano elementi concreti in base ai quali sono provate telefonate tra scafisti e ONG,” ha dichiarato Salvini. Accuse pesanti, già arrivate in passato da altre parti politiche e che hanno portato all’apertura di un’inchiesta della magistratura durata due anni e conclusasi con un nulla di fatto. Lo stesso pm che aveva iniziato le indagini, Carmelo Zuccaro, ne ha richiesto l’archiviazione per mancanza di prove che attestassero i presunti contatti tra Ong e trafficanti di esseri umani. Ora, le cose sono due: se il ministro dell’Interno avesse informazioni riservate che lo portano a pensare che questa ipotesi sia stata scartata prematuramente, allora forse non dovrebbe parlarne in prima serata su Rete 4, ma in Procura. Se invece si trattasse – come sembra, fino a prova contraria – solo di illazioni, lanciate in una tribuna politica in cui tanto si può dire tutto e il contrario di tutto, sarebbe irresponsabile da parte un rappresentante delle istituzioni.
D’altronde Salvini è stato anche in grado di convincere milioni di italiani – tra cui anche migliaia di uomini legati alla Guardia di Finanza – che Carola Rackete, la comandante della nave Sea Watch 3 arrestata e poi rilasciata, fosse una potenziale assassina. E l’ha fatto contro ogni evidenza. “Se intendessi speronare una nave nemica, farei come facevano i romani,” ci ha spiegato De Falco. “ Ricordate il rostro, quell’elemento offensivo fissato a prua delle navi da guerra? La prua è la parte più robusta di ogni nave. “Inoltre, la motovedetta della finanza percorreva avanti e indietro la banchina, non lasciando intendere le sue intenzioni, mentre la Sea Watch aveva già impegnato quello specchio acqueo per la manovra,” ha concluso. Saranno ora i magistrati a decidere se Salvini ha diffamato la Capitana tedesca oppure no.
Un’altra, forse la più grande delle distorsioni che riguardano le migrazioni e la narrazione sull’accoglienza, è quella che riguarda il Porto Sicuro. “Il Place of safety,” ci spiega De Falco, “è il luogo in cui il coordinatore del servizio Sar (Search and rescue) indica al comandante della nave di sbarcare i naufraghi. Serve a facilitare le operazioni affinché comandante e armatore non abbiano a soffrire un peso economico eccessivo, che possa costituire un deterrente rispetto al dovere di soccorrere.” Ogni volta che si genera un casus belli per un’imbarcazione che trasporta migranti e che vuole attraccare, come lecito, in Italia, i politici contrari all’immigrazione incoraggiano i capitani a dirigersi a volte verso Libia o Tunisia, ignorando, o fingendo di ignorare, che nessuna delle due nazioni è davvero in grado di garantire questo servizio.
La Tunisia, ad esempio, non ha una normativa che regoli l’accesso alla protezione internazionale in quanto ha firmato la Convenzione di Ginevra, ma non l’ha attuata. E non ha nemmeno i mezzi per soccorrere le persone. Meno di un mese prima aveva dato prova concreta di questo, facendo attendere per giorni 74 migranti al largo delle sue coste, per trasferirli in centri di detenzione e imporre loro di lasciare il Paese senza presentare alcuna domanda di accoglienza.
Per quanto riguarda la Libia, non hanno nemmeno un luogo fisico per coordinare l’operazione, né un Pos. “Se dovessimo mettere su carta la longitudine e la latitudine del punto in cui ricade il centro di soccorso, questo finirebbe nell’aeroporto a sud di Tripoli, bombardato più volte”, ci spiega De Falco. Si tratta di un luogo che, di fatto, non esiste più e dove non lavora più nessuno. “Stiamo parlando di un Paese che ha dichiarato di avere la responsabilità di una zona Sar, che non ha un porto sicuro, che non ha una radio, che non ha personale adeguato a interloquire in inglese su turni di 24 ore. Tutto ciò chi lo fa in questo momento?”
Nonostante tutto questo continuiamo a raccontarci che sì, la Libia è un porto sicuro, che le Ong si mettono d’accordo con i migranti, che Carola è un’assassina e che tutto quello che possiamo fare per evitare che l’Africa si riversi in Italia è chiudere i porti a 30-40 disperati e lasciarli in mare per giorni, fin quando la macchina europea, lenta e ignava, non si attivi per promettere il ricollocamento – e a volte nemmeno in questo caso, visto che Salvini ha atteso ad autorizzare lo sbarco anche dopo le dichiarazioni di intenti dei capi di Stato europei nel caso della Sea Watch 3.
Dopo il 13 gennaio 2012, il senatore Gregorio De Falco era stato eletto eroe nazionale, simbolo di un’Italia che non si sente rappresentata dal Capitano Schettino e che crede invece che, in una situazione di emergenza, si comporterebbe proprio come il capo della sezione operativa di Livorno. Salvo poi cambiare idea e passare al team Schettino quando De Falco non ha voluto sottostare ai dettami del Movimento. E oggi, infatti, che l’occasione di stare “dalla parte giusta” c’è per tutti, tutti si sono smentiti e hanno lasciato uomini come De Falco da soli a sostenere che no, Carola Rackete non ha commesso alcun illecito. Secondo un sondaggio di Swg realizzato in seguito al caso della Sea-Watch 3, più del 50% degli italiani concorda infatti con la strategia adottata da Salvini: il 37% pensa l’arresto sia stato lecito perché Carola “ha trasgredito la legge” e il 15% perché “i migranti non dovevano sbarcare in Italia”.
In questo modo non facciamo altro che accrescere i guadagni dei trafficanti di esseri umani, le cui attività hanno un valore economico solo perché non esistono metodi legali per arrivare in Europa per chi ha un “passaporto verde” – così come vengono chiamati i documenti africani, che difficilmente danno libero accesso in Nazioni occidentali. Se esistessero, non ci sarebbe motivo di ricorrere a uno scafista che mette a rischio la tua vita e ti decapita per un succo di frutta. E il paradosso è che stiamo creando tutto questo nel nome di una sicurezza che non sembra davvero in pericolo. L’unica cosa in pericolo, forse, è la tenuta del nostro sistema democratico, viste le continue distorsioni narrative a opera della politica.