Se la politica italiana sembra aver trovato una sua quadra – per quanto precaria – la stessa cosa non si può dire di quella britannica. Non solo il governo del Primo ministro Boris Johnson ha perso la maggioranza, ma la scadenza del 31 ottobre, deadline per la Brexit, si avvicina insieme alla possibilità di un’uscita dall’Unione europea senza accordo. La possibilità fa paura a molti, tanto che il 4 settembre la Camera dei Comuni ha varato una legge per scongiurare il no deal e rimandare l’uscita a quando si sarà trovato un accordo. Non definirne alcuno potrebbe avere conseguenze drammatiche per il Regno Unito, come profetizzato da politologi ed economisti, ma anche quelle per l’Europa non sono da sottovalutare.
Per la zona euro l’addio britannico non sarà sicuramente un colpo mortale, ma a pagarne le spese saranno i 3,5 milioni di europei (di cui 700mila italiani) che vivono e lavorano in Gran Bretagna, e quel senso di “mobilità sempre e comunque” che in questi anni ha fatto parte del modo di vivere di più di una generazione. Da un punto di vista meramente burocratico, l’amministrazione inglese ha rassicurato i cittadini comunitari che vivono sull’isola, che probabilmente non avranno grandi difficoltà a ottenere il Settled Status. La certificazione, pensata per chi arriva da un altro Paese dell’Unione e vive in Gran Bretagna da almeno cinque anni, non richiede molta documentazione: bastano un conto corrente inglese o una proof of residence – ad esempio una bolletta del telefono – per compilare il modulo, tutto via internet. Non serve aver spostato la residenza nel Regno Unito e prevede un’ampia gamma di agevolazioni per il ricongiungimento familiare prima del 31 ottobre.
Marta Musso, docente universitaria presso il King’s College di Londra, spiega però che “L’incertezza si respira nell’aria. La risposta al modulo per il Settled Status è casuale. Alcuni lo hanno ottenuto subito, altri non hanno ricevuto notizia, altri ancora sono stati oggetto di controlli a campione. E se viene rifiutato non si sa che cosa succeda, non si capisce nemmeno quali saranno le dinamiche previste per chi vuole trasferirsi dopo. Inoltre i criteri di accettazione non sono chiari”. Nel clima di incertezza burocratica alcuni cambiamenti sono già saltati all’occhio dei lavoratori stranieri e dei datori di lavoro inglesi: “Attualmente gli aspetti più evidenti sono due – continua la docente – da un lato quello che era visto come il Paese delle opportunità, dove in molti arrivavano anche perché il mondo del lavoro dava una chance anche a chi non parlava bene la lingua, non aveva ‘conoscenze’ o non faceva parte del giro locale, in parte non esiste più. Dall’altro manca manodopera: già quest’estate il calo degli stagionali ha creato parecchi problemi”.
La permanenza sembra garantita – una scelta inevitabile visto il bisogno britannico di lavoratori stranieri, anche per professioni qualificate come ingegneri, docenti, medici – ma rimangono molte criticità. Uscendo dall’Europa, non verranno garantite le tutele sul lavoro attuali. Con la Brexit l’efficacia delle norme europee verrà meno. Parte della normativa in tema di lavoro, sicurezza e privacy, tanto per gli italiani in Italia quanto per quelli in Gran Bretagna, segue direttive comunitarie. Aspetti come salari minimi, flessibilità, contratti e diritti, diventeranno responsabilità della legislazione interna, sempre che non si trovino accordi differenti.
Il no deal danneggerebbe anche importazione ed esportazione, preoccupazione evidenziata dal Consiglio Europeo, che già nel marzo del 2018 sosteneva che “La mancata partecipazione all’unione doganale e al mercato unico produrrà inevitabilmente attriti in ambito commerciale. Le divergenze nelle tariffe esterne e nelle norme interne rendono necessari verifiche e controlli, […] il che avrà purtroppo conseguenze economiche negative, in particolare nel Regno Unito”. Questo porterebbe all’assenza di alcuni beni di uso comune, a un aumento dei prezzi e a un abbassamento del valore della sterlina. Secondo le stime del 2018 della Banca d’Inghilterra, con l’hard Brexit la moneta perderebbe il 25% del suo potere d’acquisto l’inflazione crescerebbe del 6,5%, la disoccupazione raddoppierebbe al 7,5% e il Pil crollerebbe.
La linea dei partiti politici più radicalmente a favore della Brexit è quella di incolpare l’Unione europea per la probabile crisi. Per il leader dell’Ukip Nigel Farage, tra i principali sostenitori del leave al referendum che ha portato all’attuale caos, essere nell’Unione europea significa prendere ordini da qualcun altro. Più gravi le dichiarazioni dell’ex primo ministro Theresa May, che hanno avuto come bersaglio proprio i cittadini europei nel Regno Unito: “Non permetterò agli immigrati comunitari di surclassare gli altri”. A preoccupare è l’insofferenza verso i lavoratori del resto d’Europa, aizzata da diverse frange politiche, con il rischio di tornare all’odio di cui erano vittima le comunità pakistane durante gli anni di governo di Margaret Thatcher. Si sono già avuti dei segnali allarmanti, come nel caso del ragazzo italiano che l’anno scorso è stato apostrofato nella metropolitana di Londra con le parole “tornatene nella tua giungla”.
Un’altra realtà importante minacciata dalla Brexit è quella universitaria e della ricerca. La Gran Bretagna, forte delle sue storiche istituzioni universitarie, ha attirato molti studenti europei, grazie a una serie di fattori: i cittadini dell’Unione pagano le stesse tasse universitarie degli inglesi, di circa 9mila sterline l’anno, mentre gli studenti extracomunitari arrivano a pagare dalle 12mila alle 36mila. Inoltre le università fanno parte dei progetti europei (Erasmus e Leonardo, per esempio) e accedono a una serie di fondi di ricerca e di collaborazioni tra atenei che permettono il mantenimento di progetti di alto livello, oltre a favorire l’arrivo di ‘cervelli’ da altri Paesi europei.
Questa mobilità è il cuore stesso del pensiero fondativo dell’Unione europea. La generazione Erasmus è cresciuta senza barriere, con l’idea di poter studiare e vivere in qualunque paese dell’Unione Europea. Non si sa ancora, sotto questo punto di vista, cosa accadrà dopo la Brexit, come spiega Andrea Ballatore, professore al Birkbeck College di Londra: “È difficile riassumere tutti i cambiamenti possibili nel settore. A livello di ricerca le università britanniche verranno escluse dai finanziamenti europei e la mobilità intra-europea sarà resa più complessa a causa dei visti. Si potrebbe mantenere un’impostazione simile al pre Brexit se il governo inglese trovasse un accordo con Bruxelles. Distinguere tra provocazioni, propaganda e proposte fattibili è attualmente impossibile”. Anche i progetti europei sono chiaramente a rischio: “In caso di no deal – spiega il docente – scatterebbe l’esclusione da progetti come l’Erasmus, perché sono programmi centralizzati. Si potrà, probabilmente, negoziarne la partecipazione, ma per ora non abbiamo nessuna certezza”.
Con la Hard Brexit si apre uno scenario preoccupante, per gli abitanti del Regno Unito, ma soprattutto per gli europei che vi abitano, non tanto per questioni di ‘permesso di soggiorno’, o Settled Status che dir si voglia, ma perché si troveranno ad affrontare tanto le preoccupazioni dei cittadini britannici – recessione, svalutazione della moneta, caos burocratico e apparato giuridico da ripensare da zero – quanto il rischio di diventare il nemico indicato da certa politica per focalizzare la prevedibile rabbia sociale del post Brexit.
La Brexit, Hard o Soft a seconda dei futuri sviluppi, darà comunque un colpo forte a un’idea di Europa nata per superare i nazionalismi, che ora si trova di nuovo a fare i conti con localismi e partiti sovranisti che in tutto il Continente sfruttano la rabbia dei cittadini per fare il pieno di consensi elettorali. Negli ultimi settant’anni si sono creati dei legami all’interno dell’Unione europea che coinvolgono tutti gli aspetti della vita quotidiana: rinunciare a questa realtà non è solo pericoloso a livello ideologico, ma l’abbandono dell’Unione da parte di uno Stato finisce per avere ripercussioni sulla libertà di scelta, di lavoro, di guadagno, di acquisto, di studio, di giustizia e di diritti di ogni suo cittadino. La Brexit ci mostra quanto sia importante continuare batterci per restituire all’Europa la forza e gli argomenti per mettere a tacere le menzogne dei sovranisti e tutelare uno dei progetti politici e sociali più ambiziosi della Storia del continente europeo.