La campagna elettorale di Giorgia Meloni in vista delle elezioni del 25 settembre ha preso in eredità da Salvini il pugno di ferro sull’immigrazione. Alla Lega questa strategia fruttò un 34% alle Europee del 2019, in seguito ad atti politicamente ostili, trattenendo in ostaggio dei migranti per giorni su navi in mare aperto, oltre a promesse di respingimenti (per fortuna) mai realizzate. Meloni però si è spinta oltre, invocando un blocco navale. Un’espressione forte che appare sui cartelli elettorali di Fratelli d’Italia, scritta a caratteri cubitali accanto alla fiamma missina che “sempre arde” e che no, non si riferisce a un falò tra amici, ma al fuoco che viene dalla tomba di Mussolini. Questi stessi termini vengono riproposti anche su tutti i social, ormai terreno di conquista di voti più di qualsiasi confronto televisivo, che a quanto pare non s’ha da fare, in quanto non conforme, secondo l’AgCom, ai principi di parità e imparzialità perché coinvolgerebbe solo il leader del Pd Enrico Letta e Meloni, escludendo le altre forze politiche. C’è però un problema: il blocco navale, oltre a essere eticamente, moralmente e umanamente riprovevole, è una bufala elettorale irrealizzabile, poiché tutti i trattati internazionali impediscono di attuarlo, a meno che non si voglia dichiarare guerra a un Paese.
L’aspetto irriverente è che gli stessi esponenti di Fratelli d’Italia lo sanno. Giovanbattista Fazzolari, senatore responsabile del programma del partito, in un’intervista a Il Foglio ha detto ciò che Meloni non potrà mai ammettere per non rovinare la sua campagna elettorale: il blocco navale in realtà non va a preso alla lettera ma come “scorciatoia semantica” per definire altro, ovvero “ripartire dall’operazione Sophia”. La missione dell’Unione Europea durò un quinquennio (dal 2015 al 2020) e fu avviata in seguito a numerosi naufragi di imbarcazioni provenienti dalla Libia con a bordo richiedenti asilo. L’Ue si attivò per individuare e contrastare i cosiddetti “trafficanti di migranti” attraverso operazioni di sorveglianza preventiva e ricerca in mare di imbarcazioni sospette. Fratelli d’Italia dunque usa l’espressione blocco navale solo per fini elettorali. È bene però citare il nome dell’esponente politico che in quel periodo criticò maggiormente quell’operazione: Giorgia Meloni.
La leader di Fratelli d’Italia disse infatti nel 2019: “Con la missione Sophia, per volontà dei Governi PD, le navi militari di tutta Europa non contrastavano l’immigrazione illegale o le attività delle Ong, ma trasportavano direttamente loro i clandestini in Italia”. Questa frase contiene talmente tanti errori da rendere difficile sceglierne uno da cui partire. Intanto c’è l’ironia di una critica feroce a una misura che poi, tre anni dopo, di fatto sarebbe stata proposta, seppur in modo non troppo palese, da Fratelli d’Italia. Poi c’è il riferimento al PD, quando invece era una missione europea con tutti gli Stati membri come partecipanti, tranne Slovacchia e Danimarca. C’è anche la citazione alle Ong, che non rientravano di certo nella missione come organizzazioni da contrastare. Infine, il discorso sui “clandestini trasportati in Italia” è una conseguenza del diritto internazionale del mare, che prevede che, dopo aver soccorso dei naufraghi, una nave li conduca al porto sicuro più vicino. La zona operativa della missione Sophia era tra Libia e Italia. E la Libia non era, e non è tuttora, un porto sicuro a causa di numerose problematiche interne. Altro paradosso è che lo stesso blocco navale farlocco proposto da Fratelli d’Italia, con tanto di dettagli spiegati sui loro canali principali, porterebbe alla stessa situazione: ingenti investimenti per pattugliare le coste, per poi essere costretti, proprio dai trattati internazionali, a portare in salvo i migranti in Italia.
Fratelli d’Italia in questi mesi sta mettendo in piedi un gioco bizzarro nel quale viene proposto un blocco navale e contemporaneamente vengono spiegati i motivi per cui non lo sia. Se fossi un loro elettore sarei parecchio confuso, ma in realtà sembra più probabile che gran parte di loro si affidino solo alla comunicazione di facciata del partito: Meloni che urla “Blocco navale” in tv e lo scrive a chiare lettere sui social. È bene però capire il motivo per cui Fratelli d’Italia stia tentando sottotraccia, senza farlo notare agli elettori, di ripulire quel termine. Il blocco navale è infatti a tutti gli effetti un atto ostile contro un Paese straniero, un’operazione bellica. Il partito di Meloni ha infatti pubblicato un documento nel quale viene specificato che il fantomatico blocco navale consisterebbe in realtà in “una missione militare europea realizzata in accordo con le autorità libiche per impedire ai barconi di immigrati di partire in direzione dell’Italia”. Dunque un accordo con la Libia. Sembra che Meloni ignori – come anche altri esponenti politici peraltro – cosa stia succedendo in Libia da anni.
Fare un accordo con un Paese straniero sottintende un patto tra autorità, tra due governi. La Libia però è al momento una realtà frammentata con fazioni in conflitto tra loro, motivo per cui la realizzazione dell’accordo sarebbe sostanzialmente impossibile. Se anche, per qualche congiunzione astrale, andasse in porto, entrerebbero in gioco altri trattati a impedire il progetto di Meloni e potrebbe configurarsi un’ipotesi di illecito internazionale. Per esempio, secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani, tutti devono avere il diritto di lasciare un Paese, compreso il proprio. Impedire a un individuo di uscire da un Paese sarebbe dunque una violazione di diversi trattati, come spiega anche l’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea: “L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento”.
Come se non bastasse, c’è anche l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che recita: “Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. E, ovviamente, la Libia rientra tra quegli Stati a rischio per un rifugiato, non essendo un “porto sicuro”, come ribadito più volte anche dall’ONU. Quindi la proposta di Meloni fa acqua da tutte le parti, sia come blocco navale puro, che come “scorciatoia semantica” e ritorno all’operazione Sophia, missione tra l’altro aspramente criticata anche dal suo compagno di coalizione Matteo Salvini. Quest’ultimo, papabile ministro dell’Interno in caso di una vittoria più che probabile del centrodestra alle prossime elezioni, ha replicato alla proposta di Meloni dicendo di non aver bisogno di un blocco navale, perché “Torneranno i decreti sicurezza, che fra due mesi riproporremo identici”. Decreti utili solo per palesare una politica disumana e non per limitare i flussi migratori, considerando che lo stesso Salvini, durante il governo Conte I, operò in base agli accordi con la Libia, altrettanto disumani, realizzati dal suo predecessore Marco Minniti. Per completare le incongruenze all’interno della coalizione, il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani ha dichiarato che il blocco navale è “difficilmente realizzabile”.
In pratica abbiamo la probabile futura leader del Paese, Giorgia Meloni, che usa diversi sotterfugi per nascondere l’inattuabilità di una misura di per sé intollerabile – e funzionale solo alla sua narrazione nazionalista –, mentre contemporaneamente all’interno del suo stesso partito lavorano per smantellare uno slogan – “Blocco navale” – che dal 26 settembre sarà riposto in cantina. Viene da chiedersi in ogni caso l’origine della fascinazione dei cittadini per l’atto di forza, per il respingimento di un essere umano come vittoria sociale e identitaria. Più che antropologico è un processo legato alla costruzione di una propaganda, che necessita di un nemico da cui proteggersi, creando la narrazione di un loro da contrapporre a un noi, di un pericolo esterno contro le presunte identità e radici interne. Qui però siamo a un livello successivo, perché non c’è solo la promessa di un’azione contrastante, ma anche l’ammissione della sua irrealizzabilità. Di solito siamo abituati ai voli pindarici durante le campagne elettorali, ma mai era capitato che un partito prima ancora di salire al potere contraddicesse se stesso, lavorando su due canali. Il primo, quello della propaganda, prevede l’insistenza sul tema del blocco navale ed è indirizzato all’elettorato debole che non va oltre gli slogan. Il secondo, più subdolo, spiega che in realtà la misura consiste in altro – qualcosa di ugualmente meschino e inattuabile – per rassicurare, non si sa come, l’establishment internazionale. Dunque, se quella di Meloni non è un raggiro elettorale, poco ci manca.