Il 22 novembre Angela Merkel ha festeggiato quindici anni ininterrotti come cancelliera della Repubblica federale di Germania. Ormai al suo quarto mandato, Merkel è stata la prima donna a capo del governo e ha dato prova, di cosa significa governare da statista.
La caratura politica di Angela Merkel è perfettamente riassumibile nella conferenza stampa del 16 aprile scorso, in cui, nel pieno della prima ondata della pandemia, la cancelliera ha spiegato ai cittadini tedeschi, con estrema razionalità ed efficacia, la sua strategia di lotta al Covid-19, basata sull’importanza dell’abbassamento dell’indice di contagio (Rt). Niente letterine per Babbo Natale, inviti rassicuranti alla popolazione, ma solo numeri, matematica, grafici e modelli. Grazie a quello che a molti è sembrato un approccio troppo rigido la Germania è riuscita a controllare l’epidemia con risultati decisamente migliori rispetto al resto d’Europa. La Germania è riuscita infatti a contenere il numero dei morti (a oggi le vittime tedesche della pandemia sono sotto le 15mila su un totale di oltre 960mila casi) e gli ospedali hanno retto il colpo, anche grazie al maggior numero di posti letto e di terapie intensive a disposizione, rispetto al resto degli Stati dell’Unione.
Le cause del successo del modello tedesco sono dovute al gran numero di tamponi eseguiti, che ha permesso di isolare in anticipo i casi positivi e spezzare la catena del contagio. A questo si è aggiunta la decisione di isolare, per tutelarla, la popolazione più anziana, contribuendo ad abbassare l’età media dei contagiati, che in Germania si attesta a 50 anni, contro i 62 in Italia. La pandemia ha costituito un banco di prova decisivo per la stabilità dei governi europei. Merkel, utilizzando una comunicazione lucida e trasparente, basata sul buon senso e sul rispetto imprescindibile delle regole, è riuscita a portare fuori il suo Paese dall’impasse e a gestire con successo la crisi sanitaria. Dando prova che il governo avesse tutto sotto controllo e legando quindi al suo operato politico il successo della sua strategia anti-Covid, la cancelliera negli ultimi mesi è tornata a salire nei sondaggi, che hanno mostrato i maggiori indici di gradimento per il suo partito, l’Unione cristiano-democratica di Germania (Cdu), dal luglio del 2017.
Nata ad Amburgo nel 1954, laureata in fisica e con un dottorato in fisica quantistica, nel 1990 Merkel è stata eletta per la prima volta al Bundestag delle due Germanie riunite. Sotto l’ala del centrista e cancelliere Helmut Kohl, ha ottenuto incarichi sempre più importanti: prima il ministero delle Donne e della Gioventù dal 1991 al 1994 poi quello per l’Ambiente dal 1994 al 1998, fino alla presidenza della Cdu nel 2000 (prima donna nella storia del partito). L’anno di svolta è però il 2005: è il 22 novembre di quell’anno che Merkel diventa la prima donna a ricoprire la carica di Cancelleria della Germania.
Oggi è al suo quarto mandato consecutivo, dopo essere stata riconfermata alle elezioni del 2009, del 2013 e del 2017. Durante questi quindici anni di governo Merkel ha dimostrato capacità di equilibrio e leadership, dimostrando in diverse occasioni l’abilità nel prendere decisioni anche impopolari e di andare contro agli interessi del suo stesso partito: ne sono un esempio la legge sulle nozze gay nel 2017, le politiche femminili, l’introduzione del salario minimo nel 2014 e l’accoglienza dei migranti, comunque più flessibile rispetto alle posizioni dei conservatori del CSU bavarese. Il tutto mantenendo i conti federali in ordine, promuovendo l’austerity, e contenendo in politica interna e in Europa l’ondata populista degli ultimi anni.
In questi anni è riuscita a costruire grandi coalizioni di governo con i socialdemocratici, i liberali e anche i verdi, dimostrando l’importanza della trattativa e del compromesso in politica, soprattutto nelle democrazie. Punto centrale che altre democrazie sembrano aver dimenticato. In questo modo Merkel è riuscita a presentare la Germania come nazione leader dell’Unione europea, in grado di tenere testa a Vladimir Putin sul caso Navalny e a non usare mezze misure con l’ex presidente statunitense Donald Trump e la sua volontà di descrivere l’Unione europea e la Germania come avversari degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale. La cancelliera si è confrontata anche con il presidente del Brasile Jair Bolsonaro e le sue politiche ostili all’ambiente e agli abitanti dell’Amazzonia con la decisione di sospendere i finanziamenti tedeschi al Fundo Amazónia, il fondo governativo brasiliano che si occupa della conservazione della Foresta amazzonica, accusandolo di contribuire in realtà alla sua deforestazione.
Merkel ha più volte ribadito la sua contrarietà al populismo e alla retorica sovranista dei porti chiusi senza distinzione. Il caso dei rifugiati siriani dell’estate di cinque anni fa, è sicuramente il più noto. In quell’occasione Angela Merkel decise di offrire ospitalità in Germania a chi scappava dalla Siria nel pieno della guerra civile. Fra il 2015 e il 2016, arrivarono in territorio tedesco circa 1,2 milioni di richiedenti asilo, che fecero balzare la Germania al quinto posto della classifica dei Paesi con la più alta concentrazioni di rifugiati al mondo. Merkel giustificò più volte quella decisione con tre parole chiave: Wir schaffen das, ovvero “ce la possiamo fare”. Si trattava del più grande programma di integrazione realizzato in Europa dal Secondo dopoguerra: cinque anni dopo i dati dimostrano che l’esperimento sembra essere in gran parte riuscito e che i nuovi arrivati sembrano integrarsi positivamente nel tessuto sociale tedesco. Secondo un recente studio dell’istituto di ricerca federale tedesco per il lavoro, il 49% dei rifugiati arrivati nel Paese in quel periodo ha un lavoro o sta seguendo un tirocinio di avviamento al lavoro. Oltre il 60% ha ottenuto almeno un lavoro a distanza di cinque anni dall’arrivo: un numero di poco superiore alle percentuali registrate negli anni Novanta e Duemila tra i migranti arrivati in Germania dall’Europa dell’Est.
Oltre alla capacità di gestire l’arrivo e l’inserimento di un così alto numero di persone, Merkel e i suoi esecutivi hanno saputo anche mantenere competitiva l’economia e l’industria tedesca, tanto che la Germania si è posizionata al primo posto della classifica dei Paesi più innovativi al mondo nell’ultimo rapporto del Bloomberg Innovation Index 2020. Dopo sei anni di vittorie consecutive della Corea del Sud, la Germania è riuscita a conquistare la vetta, mentre gli Stati Uniti sono scesi al nono posto della classifica. L’indice annuale di innovazione Bloomberg, arrivato alla sua ottava edizione, analizza dozzine di criteri utilizzando sette macro categorie, tra cui la spesa per ricerca e sviluppo e la capacità di produzione e concentrazione di società pubbliche ad alta tecnologia. Nell’indice Bloomberg, la Germania ha ottenuto le prime tre posizioni della top-five per produzione a valore aggiunto, densità high-tech e attività brevettuale. Uno status che trova ancora oggi il suo fulcro nell’industria automobilistica, settore trainante dell’economia tedesca ancora altamente competitivo e fonte di grande innovazione.
Forte di un’eredità politica che ha saputo gestire la riunificazione delle due Germanie durante gli anni Novanta e sostenuta da un’opinione pubblica tra le più informate e consapevoli del Pianeta, Merkel ha saputo mettere a frutto nel corso degli ultimi 15 anni il potenziale del suo Paese, definendo il futuro della Germania e con lei dell’intera Unione europea. Un futuro dove competenza, politiche basate su dati e fatti concreti, e confronto e compromesso alla base della dialettica democratica devono tornare a occupare il centro del dibattito pubblico, in Europa e nel resto del mondo.