La Dark Polo Gang è la nostra serie tv preferita. Almeno così sostengono i quattro pischelli di rione Monti, e a giusta ragione: in due anni – a suon di singoli, uso spregiudicato dei social, tormentoni linguistici – i trapper romani sono riusciti a comunicare e imprimere il proprio stile vita. Quello che prima era uno scherzo fra amici adesso è un brand affermato, ancor prima di essere un progetto artistico. British è il loro primo singolo per la Universal, ma il passaggio a una major non ha evitato strascichi traumatici. Sembra che Dark Side – Arturo Bruni, il membro più “introspettivo” del gruppo – non l’abbia presa bene e abbia preferito scegliere la via dell’indipendenza: così è uscito dal gruppo.
Il primo pezzo da solista di Side, Medicine, segna una notevole inversione di tendenza rispetto al passato. Se i suoi compari in British continuano a magnificare la ricchezza attraverso slogan del tipo “la vita è facile/oro giallo al polso sembra senape”, Side tenta una via diversa, più personale e introspettiva, portando alle estreme conseguenze la poetica di luce e ombre lasciata intravedere in Sick Side, l’ultimo album con la Gang. I rumors degli ultimi mesi dipingono Side schiavo delle dipendenze, alle prese con una complicata negoziazione della fama. Non era difficile credere a queste voci – i tatuaggi in faccia si sono moltiplicati in maniera inversamente proporzionale alla lucidità del ventiduenne – ma dopo l’uscita del singolo ne abbiamo avuto la conferma dal diretto interessato. Side ha deciso di confessare le sue dipendenze e di rivelare di aver contemplato l’idea del suicidio. Lo stile a cui si rifà il nuovo Side è una variante “emo” della trap, un filone che si sta affermando come la vera alternativa al cinismo materialista del genere.
Qualche giorno fa la notizia della morte di XXX Tentacion: il rapper americano, ucciso in Florida in uno scontro a fuoco fuori presso un concessionario, aveva solo vent’anni. Al lutto per la scomparsa precoce si aggiungono i commenti sul personaggio controverso: se da una parte c’era il cristallino talento musicale di un giovane attento alla sperimentazione, dall’altra XXX conviveva da tempo con i propri demoni, manifestatisi con le condanne per violenze e abusi ai danni della fidanzata.
È normale che XXX avesse scelto di raccontarsi in musica attraverso un percorso multiforme: dopo il successo fulminante con la hit Look at me, dal testo estremamente violento, il rapper si era rivolto verso territori più intimi. Negli ultimi due album 17 e ? aveva raccontato il dolore, la solitudine, la rabbia per un destino segnato dalla vita di strada. Un modo confuso e contraddittorio di esprimersi, ma che aveva il pregio di essere diretto, e soprattutto di cercare nuove soluzioni a livello musicale. Prendiamo ad esempio Everybody dies in their nightmares: il testo, strutturato come una meditazione sulla solitudine, è accompagnato da una base campionata lontana anni luce dai beat standard della trap; alla cassa dritta e alle melodie di drum machine si sostituisce un giro di chitarra. Siamo molto distanti dalle cantilene consumiste del compagno – anagrafico e di successi – Lil Pump.
L’emo trap ha il pregio di ibridare generi diversi e tentare un racconto più veritiero della realtà nella testa di chi scrive. La principale decodificazione del genere si deve a un altro rapper morto, stavolta per overdose. Si tratta di Lil Peep, artista newyorkese deceduto lo scorso novembre, a ventun anni. La musica di Lil Peep presenta elementi particolari: liriche intimiste e non imparentate con la dinamica machista delle cultura rap, un immaginario che si rifà al pop punk, il pregio di mischiare toni colorati alle ombre di un’esistenza in bilico. Anche lui racconta le sue dipendenze, l’adolescenza turbolenta, i conflitti con le autorità. L’universo comunicato è quello di una generazione cresciuta con la grammatica di MTV, che pesca a piene mani da quegli stilemi per ricombinarli in maniera inedita. Prendiamo Witchblades, uno dei pezzi più famosi: testo fra l’esoterico e il fantastico che parla degli anni del liceo, immaginario dark senza essere estremo, come lo si potrebbe trovare in un video dei Green Day.
L’emo trap si declina in mille variabili, il cui filo conduttore è l’ibridazione della grammatica trap con un genere diverso e – a livello poetico – il racconto di un’interiorità che contrasta l’apologia del consumismo del filone trap principale. Così, nello stesso calderone troviamo l’immaginario black metal di Bones e Gosthemane, o quello hardcore dei Suicide Boys, fino ad arrivare al racconto dell’apatia generazionale di Yung Lean, che pure si avvicina all’emo trap nell’intimismo, nonostante provenga dal cloud rap, un genere con ritmiche più rallentate e “oniriche”. Se da una parte c’è l’interesse per le sperimentazioni musicali che questi artisti suggeriscono, dall’altra troviamo elementi innovativi nel modo di comunicare con il mondo esterno. L’emo trap rappresenta un momento di alterità rispetto al discorso di rispecchiamento fra i valori utilitaristi della nostra società e la produzione culturale che li celebra. In un momento in cui la popolarità della trap è ai suoi picchi storici, avvicinandola al mainstream, una musica che ribalta gli stilemi del genere – pur condividendone l’origine – è sentita come necessaria. Lil Peep raccontava la propria sensibilità, XXXTentacion le proprie controversie, così come i Suicide Boys fanno le cronaca delle periferie povere di New Orleans, e in Italia Dark Side riflette sulla natura effimera della fama; sebbene appartenga a persone di diverse estrazioni sociali (borghese quella di Side e Yung Lean, più umile quella di XXX e dei Suicide) la volontà è esprimere il disagio del proprio contesto, narrare il trauma fra artista e mondo. Ed è un racconto vero, minimamente mediato, animato dalla voglia di esprimersi a tutti i costi: lo dimostrano i casi di Peep e XXX, che lasciandoci la pelle hanno provato la verità di ciò che raccontavano.
Ci sono poi casi più al limite, come quello di Lil Xan, rapper californiano che incentra la sua poetica sul racconto della dipendenza da Xanax. Il suo racconto sfocia nella celebrazione, tant’è che esistono dirette Instagram in cui il rapper mostra ai fan come si assume il farmaco. Recentemente però, segnato dalla morte dell’amico Lil Peep, Xan ha deciso di adottare un approccio più critico: i suoi ultimi pezzi sviscerano il rapporto fra vita da musicista e droghe e mettono in scena il processo di riabilitazione. Il rischio di emulazione di Lil Peep e Lil Xan – da parte dei fan che seguono accaniti le loro dirette – è alto, ma più che demonizzare l’operato dei ragazzi (artisti e fan) è più proficuo andare a scavare alla radice del disagio. Ad esempio è doveroso puntare il dito sulla medicalizzazione di una società, quella americana, che vede il commercio di un farmaco per ciascuno dei nostri mali, come se la chimica fosse lo strumento per superare tutti gli ostacoli.
Si potrebbe obiettare che questo modo di narrarsi sia stereotipato, poco sfumato, volto a mettere in luce solo la negatività del presente. Molti ridono al pensiero che Side se la passi male, in fin dei conti si tratta pur sempre di un ragazzo di buona famiglia che sfoggia Rolex e capi firmati in ogni occasione. Non si può evitare di dare ragione a chi dice che si è rovinato da solo, che Lil Peep è morto a causa della sue dipendenze, che XXX ha commesso atti gravissimi. Ma occorre guardare la questione da un’altra prospettiva: questi artisti sono il simbolo di una generazione cresciuta nel discorso del capitalismo, che sia la bambagia materiale – e l’apatia morale – della Roma bene di Arturo Bruni, o i ghetti sterminati dell’America dei Suicide Boys e di XXX, l’orizzonte è il medesimo, non si scorge alcuna alternativa al sistema in cui si è immersi. Il tentativo di ritrovare la propria soggettività attraverso il dolore e di sperimentare una forma di espressione diversa nella ricerca musicale forse è l’unica via rimasta alle nuove generazioni per affermare la propria esistenza al di là di una quotidianità sempre uguale.