Uno dei momenti più tragicomici della caduta del governo e della formazione di quello attuale è stato quello in cui qualcuno ha tirato fuori un video del neoministro dell’Economia Roberto Gualtieri che suonava “Bella ciao” con la chitarra durante un programma televisivo. Le reazioni furono isteriche da entrambe le parti: a sinistra, nell’entusiasmo per esserci liberati dalla minaccia fascista (speranza mal riposta, a giudicare dagli ultimi fatti di cronaca), il ministro venne subito considerato un faro nella notte, un novello Pertini; a destra, Gualtieri veniva descritto come un pericoloso comunista, perché suonava proprio quella canzone: la canzone patrimonio della nostra storia il cui insegnamento viene impedito nelle scuole da genitori ossessionati dall’idea che l’istruzione pubblica indottrini i bambini dell’asilo con lo stalinismo. Ma “Bella ciao” è oggi diventata un simbolo di protesta universale, cantata in Cile, in Iraq, in Kurdistan. Molti hanno attribuito la fama della canzone alla serie tv Netflix La casa di carta, dove fa da colonna sonora alla rapina della Zecca spagnola. Senza dubbio la serie ha contribuito al recente revival, ma in realtà la canzone ha una lunga tradizione internazionale, ed è sempre stata una canzone di protesta anche al di fuori dei confini nazionali.
“Bella ciao” però, non nasce come canzone comunista, a differenza di altri motivi popolari come “Bandiera rossa” o “Fischia il vento”, né è nata in contesto resistenziale. In effetti, il testo parla soprattutto di amore e morte, anche se fa riferimento a un “invasor” e all’essere partigiani (che non era comunque prerogativa comunista). Carlo Pestelli, nel libro Bella ciao. La canzone della libertà (add), ha riunito le numerose teorie sulla sua origine. Gli etnomusicologi hanno notato somiglianze con alcune canzoni popolari diffuse nel Nord e nel Centro Italia, come “La bevanda sonnifera” (“E con quel ciao, le la m’fa ciao / le la m’fa ciao ciao ciao”) e “Fior di tomba” (che inizia con “Sta mattina mi sun levata … è venuto il primo amor”). Queste hanno tutte un tema amoroso, mentre in Emilia esiste anche una versione cantata dalle mondine sulle fatiche del lavoro. Durante la Prima guerra mondiale si ha testimonianza di una versione a tema bellico, in cui al posto di “e ho trovato l’invasor” si dice “e sono andato disertor”. Alcuni storici sostengono che “Bella ciao” non sia mai stata cantata durante la Liberazione, ma nel corso degli anni molti partigiani (soprattutto di area emiliana e abruzzese) hanno raccontato di averla intonata, seppur con testi diversi.
La canzone torna famosa negli anni Sessanta grazie al rinnovato interesse per la musica popolare e al cosiddetto movimento “folk revival”, il cui momento cruciale è il Festival della canzone popolare a Milano del 1965, che in cartellone prevede proprio “Bella ciao”. Nello stesso periodo viene usata da studenti e operai durante gli scontri del Sessantotto e dell’Autunno caldo. Autori come Gaber (che la esegue in televisione nel 1963) e De André – che si ispira alle sue versioni popolari (sia per il testo che per la melodia) in “Carlo Martello” e “La ballata dell’amore cieco” – contribuiscono al suo successo nella musica leggera. La canta Milva a Canzonissima nel 1971 e il cantautore italiano naturalizzato francese Yves Montand la rende famosa anche Oltralpe. Ma questo non spiega perché oggi venga cantata, in versione tradotta, dai cileni in rivolta contro il presidente Sebastián Piñera, o dalle combattenti curde in Rojava, così come dai manifestanti iracheni in rivolta contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi.
“Bella ciao” diventa famosa anche all’estero, forse ancora prima che in Italia, grazie alla Federazione mondiale della gioventù democratica, organizzazione giovanile antifascista di ispirazione comunista fondata nel 1945. Nel 1947, durante il primo Festival organizzato a Praga, alcuni partigiani emiliani ospiti dell’evento suonano “Bella ciao”, che viene ripetuta anche nell’edizione successiva a Budapest (1949) e in quella ospitata a Berlino Est nel 1951. La canzone si diffonde in tutto il Blocco orientale, comincia a essere utilizzata durante feste, manifestazioni, scioperi e commemorazioni e diventa anche uno degli inni dei Pionieri, gli “scout” comunisti. Anche gli emigrati italiani contribuiscono alla sua popolarità, diffondendola in tutta Europa. Parallelamente, diventa famosa in Catalogna come canzone di protesta nei confronti del regime di Franco tanto che, nel 1969, la versione spagnola cantata da Adolfo Celdrán viene censurata.
Anche in Italia, negli anni Ottanta, “Bella ciao” comincia a essere associata direttamente al comunismo. Il cambio di percezione avviene nel 1984, quando viene usata durante i funerali di Berlinguer, un evento dall’enorme impatto sull’opinione pubblica. Secondo Carlo Pestelli, questo sentimento è esasperato anche dalla feroce campagna politica anticomunista di quegli anni, incoraggiata dalle politiche thatcheriane e reaganiane. La “comunistizzazione” di “Bella ciao” ha un doppio effetto: la rende uno spauracchio per la destra e ne aumenta il legame ideologico e politico con la sinistra. Per questo si ripetono con più frequenza i tentativi di censurare la canzone o di ometterla dalla memoria storica del nostro Paese, perché ricondotta a una sola parte politica, e quindi considerata antidemocratica. Così, nel 2011, in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, dopo le proteste per la scelta di far eseguire la canzone fascista “Giovinezza”, il cda della Rai decide di eliminare anche “Bella ciao”, perché troppo politica.
Sono state però le proteste in Medio Oriente a renderla così popolare all’estero negli ultimi anni. “Bella ciao” è uno degli inni delle proteste turche del 2013 di Gezi Park contro il governo Erdoğan, resa nota dalla band di sinistra Grup Yorum – praticamente i Modena City Ramblers turchi. Anche oggi il canto ha una valenza politica così significativa che nel 2018 un’insegnante viene licenziata da una scuola di Ankara per averla fatta ascoltare ai suoi studenti. Famosa è anche la versione curda, “Çaw Bella”, che fa parte del repertorio musicale popolare e viene insegnata anche ai bambini. La versione del musicista Ciwan Haco è diventata un vero e proprio inno durante la guerra civile siriana. “Mentre ero in Siria del Nord penso di aver cantato ‘Bella Ciao’ migliaia di volte. Le versioni in francese, in turco e in curdo le ho scoperte lì”, ci racconta Jacopo Bindi, partito volontario nel 2017. “Nei momenti liberi o di festa, cantare canzoni di resistenza, rivoluzione e lotta era una delle nostre attività preferite. Cantavamo tante canzoni diverse e di tanti paesi diversi, anche con testi molto più significativi, ma ‘Bella Ciao’ era conosciuta praticamente da tutti. Anche se pochi conoscevano il significato del testo in italiano non era importante: ‘Bella Ciao’ rappresenta un importante esempio di resistenza e sacrificio per il futuro di tutti, che ci dava la forza di andare avanti e affrontare il dramma della guerra e le difficoltà della lotta per la libertà. Le canzoni che cantavano erano il legame ideale con tutti gli uomini e le donne che, in terre diverse e in epoche diverse, hanno lottato per la libertà. Infatti, in Siria del Nord non si lotta solo per il Kurdistan, ma per un mondo più libero e giusto”.
Negli stessi anni, “Bella ciao” si diffonde anche in Europa e negli Stati Uniti. Qui viene sentita durante le proteste di Occupy Wall Street del 2011 e l’anno successivo è scelta per pubblicizzare l’iniziativa Sing for the climate, con un video in cui alcuni manifestanti ambientalisti cantano “Do it Now”, sulle note della canzone. Nel 2015, durante i funerali di Tignous, uno degli illustratori uccisi nell’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, l’attore Christophe Alévêque canta la versione francese, seguito dalla folla radunata nelle piazze per omaggiare le vittime. Anche la musica pop ha la sua parte nel diffondere la canzone. Come si è visto, molti cantanti locali hanno contribuito a far conoscere la canzone nei loro Paesi di origine. “Bella ciao” è un classico dei concerti jazz di Woody Allen, mentre nel 2018 Tom Waits ne fa una cover per la raccolta di canzoni di protesta Songs of Resistance: 1942-2018, curata dal compositore Marc Ribot.
Mai come nel 2019, però, “Bella ciao” ha fatto da colonna sonora alle tante proteste che stanno interessando tutto il mondo. Sicuramente La casa di carta ha dato una spinta propulsiva (e infatti in Iraq, mentre nelle piazze si manifesta, su YouTube circola un videoclip che racconta i problemi del Paese con tanto di maschere di Salvador Dalì). Steve Aoki e il duo elettronico Marnik ne hanno fatto un remix che ha fatto incazzare chi tira fuori il proverbiale “nonno partigiano” solo alla bisogna, ovvero il 25 aprile e quando c’è da indignarsi per l’occasione di turno. In realtà, non bisogna accogliere questa nuova versione come una disgrazia o come un segno del declino dei tempi. Piuttosto, bisogna rallegrarsi perché qualcuno ha scelto di ridare una nuova vita a questa canzone, portandola a tutte le latitudini. O vogliamo lasciare solo alla redazione di Libero il piacere di parlarne indignata quando spunterà il prossimo video di un ministro che la strimpella con la chitarra?