Lundini è la migliore pezza comica in una televisione con un enorme buco di giovani - THE VISION
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Non è un mistero che la televisione italiana degli ultimi anni abbia subìto una battuta d’arresto non indifferente per tutto ciò che riguarda i nuovi talenti, la sperimentazione e in generale le sue declinazioni meno generaliste e, molto spesso, dozzinali. Le ragioni di questo cambiamento, che fa sì che a dominare i palinsesti siano perlopiù format vecchi di vent’anni e prodotti televisivi abbondantemente rodati e testati come le fiction, sono molte: il moltiplicarsi spasmodico dei canali tematici, che spalmano il pubblico su programmi sempre più specifici e selezionati, l’arrivo inarrestabile di internet e il suo impatto sul nostro consumo audiovisivo.

Umberto Eco, nel saggio del 1964 Apocalittici e integrati, analizzava i diversi approcci intellettuali nei confronti della cultura di massa: da un lato gli apocalittici, come Adorno, sostanzialmente critici e scettici nei confronti del mainstream e della cosiddetta industria culturale, dall’altro gli integrati, al contrario ottimisti e accoglienti nei confronti di queste realtà. La verità è che, un po’ come per qualsiasi cosa nella vita, per comprendere l’andamento recente dei mass media serve un approccio che abbia la giusta dose di apocalittico e di integrato; ci sono alcuni aspetti della rivoluzione digitale – in particolare l’impennata dell’ultimo decennio – che hanno alzato il livello dell’intrattenimento, mentre altri lo hanno abbassato di molto. Né la tv è morta, né il suo destino è così chiaro all’orizzonte; di certo però alcune accortezze di auto-conservazione fanno sì che trovare volti e format innovativi e interessanti sia oggi più complicato, specialmente nel campo della comicità, sempre meno presente nei palinsesti televisivi. Per fortuna il programma che finge di essere una toppa in un buco di programmazione, Una pezza di Lundini, lasciando anche che alcuni credano sia davvero così, è stato rinnovato per una seconda stagione.

Il 2020 – e il 2021 come prosecuzione – è stato l’anno in cui due nuovi personaggi hanno oltrepassato il limite della “nicchia” internettiana per essere consacrati in modo definitivo sulla tv generalista, due nomi che non hanno nulla in comune ma che condividono il successo recente, Tommaso Zorzi e Valerio Lundini. Mentre il primo è diventato un nuovo volto Mediaset, vincendo il Grande Fratello Vip 5 e presenziando in qualità di opinionista più che centrale della nuova edizione de L’Isola dei Famosi, il secondo ha scavalcato qualsiasi muro di critica e apprezzamento universale che gli si è parato davanti con la prima stagione del programma che porta il suo cognome. Mentre Zorzi incarna una serie di caratteristiche molto affini alla tradizione televisiva nostrana – con l’aggiunta di ingredienti contemporanei come l’enorme fanbase sui social e il suo ruolo di influencer affermato –, Valerio Lundini si inserisce in un tipo di televisione molto diverso, più legato all’usanza della seconda serata Rai come luogo di sperimentazione e di nascita di avanguardie. Da Renzo Arbore alle trasmissioni di Serena Dandini, passando per i programmi di Enrico Ghezzi, l’intento di Una Pezza di Lundini, programma nato grazie a uno storico autore Rai, Giovanni Benincasa, che ha voluto fortemente il comico romano dopo aver primeggiato nel programma sempre di seconda serata su Rai 2 Battute?, è quello di seguire un flusso di comicità che nasce in un contesto di nicchia per arrivare anche al successo mainstream. Cosa che, nel caso di Lundini, sta succedendo sicuramente da un punto di vista social – gli sketch della sua trasmissione sono diventati popolarissimi nell’ultimo anno grazie a YouTube e Instagram, molto più della trasmissione in sé –, destinato a riflettersi anche su altri media e su un piano sempre più massificato.

Il punto forte di Lundini e del suo programma risiede, a mio avviso, su alcuni aspetti più sottili del filone nonsense che ricalca e che, giustamente, gli si attribuisce con tanto di elogi. Questo nella comicità ha sempre avuto un suo ruolo e una sua dimensione seguita e apprezzata – i Monty Python sono i più noti padri morali del genere, ma lo sono anche Nino Frassica e Lillo e Greg in Italia, tutti comici con cui non a caso Lundini ha collaborato. Per quanto divertente e predominante in tanti sketch del programma, specialmente nelle interviste che virano tutte su un mix di incomunicabilità e imbarazzo pilotato in cui non è mai troppo chiaro quanto il personaggio di turno sia al corrente di quello che sta facendo, il surreale di Lundini rischia alle volte di risultare eccessivamente macchinoso, ammiccando in modo esplicito all’ironia di internet e ai suoi derivati. Ciò non significa che non ci siano gag di questo genere perfettamente riuscite in Una pezza di Lundini – penso ad esempio a quella del servizio sul naso rubato o alla presentazione della fidanzata Eleonora, che in realtà è Martufello – e che questo suo stile volutamente distaccato dalla realtà non costituisca la colonna portante del programma, visto che sono proprio questi siparietti a generare l’enorme interesse di pubblico, specialmente online. La mia attenzione però, da consumatrice assidua di guilty pleasure generalisti, cade sulla satira che mette in scena Lundini durante diversi momenti del programma, che non hanno nulla a che vedere con la politica – e proprio di questo è stato accusato da colleghi di altre generazioni, basti recuperare la querelle con Luttazzi – ma che sono semmai una presa in giro di un politicamente corretto riappropriato del suo senso più classico. Non mi riferisco alla famosa quanto stantia “dittatura del politicamente corretto”, ma a quel modo tipicamente democristiano, bigotto e perbenista di utilizzare gli spazi televisivi, il puro formalismo scenico di cui è imbevuta la nostra tv che non deriva certo dal recente exploit di qualche movimento progressista contemporaneo perlopiù americano.

Quando Valerio Lundini ed Emanuela Fanelli – co-conduttrice e autrice del programma, che definire “spalla comica” è decisamente riduttivo – mettono in scena la loro versione surreale e capovolta della televisione italiana, infatti, il risultato non è semplicemente un ribaltamento della realtà dettato dagli espedienti comici nonsense. In quel ruolo da signorina buonasera che sta sempre “un passo indietro”, nei monologhi in cui Fanelli parodizza la retorica demenziale sull’essere donna in stile “dolcemente complicate”, come nel suo sketch “Voci di donna”, che sembra appunto la parodia di qualche pièce teatrale commissionata dal Ministero delle Pari opportunità per una pubblicità progresso, si mette a nudo il fulcro di ciò che secondo me sta alla base del cosiddetto politicamente corretto italiano: la ridondanza conformista e vuota di messaggi posticci e naif con scopi meramente simbolici e formali. Così come quando Valerio Lundini intervista i suoi ospiti portando all’estremo l’ipocrisia accondiscendente con cui si dialoga nei salotti televisivi, mai una domanda scomoda – ad Andrea Delogu per esempio “censura” il fatto che sia nata nella comunità di San Patrignano – e mai un passo più lungo della gamba, mai citare un’azienda avversaria, né essere in alcun modo blasfemi o laici, nemmeno quando si intervista uno scienziato come Piergiorgio Odifreddi. Stesso meccanismo che si attiva col finto telegiornale di Stefano Rapone o con il piccolo capolavoro, sempre di Emanuela Fanelli, che è il finto trailer di A piedi scarzi, dove si parodizza invece non solo la costante romanocentrica del cinema italiano ma anche tutti i suoi feticci, come il manierismo pasoliniano che indaga da un punto di vista quasi sempre borghese il dramma delle periferie, estetizzando luoghi e situazioni tramite un certo compiacimento auto-assolutorio dello spettatore colto. Una coppia, quella Lundini-Fanelli, che riesce anche a scimmiottare bene il classico schema comico inoffensivo che finge di dover dire qualcosa di irriverente ma che è in realtà un surrogato qualunquista di satira, sempre accompagnato da un finto stupore scenografico che serve a sottolineare la sua sostanziale mansuetudine – sketch che ricorda molto un’altra famosa coppia della nostra televisione che segue questa formula da anni.

Emanuela Fanelli

In un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui non è facile trovare una personificazione unica e universale del potere verso cui indirizzare la propria satira, anche i comici devono reinventare e ridefinire il modo di rappresentare e ridicolizzare la realtà in cui siamo immersi. I tempi in cui politici come Berlusconi dominavano la scena, rendendo per certi versi più “semplice” il lavoro di comici come i Guzzanti o Paolo Rossi sono cambiati, e anche l’idea più surreale è figlia di un ragionamento e di un contesto concreto e tangibile che la stimola, per quanto sia distaccata dalla realtà e fondamentalmente disimpegnata. Nel caso di Una pezza di Lundini, credo che sebbene non si tratti di un programma sovversivo né con alcuna intenzione di essere “scomodo”, la quadra umoristica trovi il suo senso proprio in questo sbeffeggiamento dei codici classici di rappresentazione, della formalità ipocrita e sterile di cui sono imbevuti i mass media, colpevoli negli anni di aver creato una narrazione edulcorata e bigotta del mondo e che, come dimostra Lundini, si può facilmente ribaltare utilizzandone le forme e mescolando i contenuti. E il risultato migliore forse, più che nel compiacimento del pubblico ormai affezionato al format, sta proprio in quella porzione di spettatori talmente abituata alla finzione e al conformismo di certe tv che pensa Valerio Lundini faccia sul serio e si domanda: “Ma questo che dice?”.

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