La sensazione che ho da quando esistono i social è che ogni polemica percorra un ciclo vitale tanto intenso quanto breve, direi paragonabile alla durata sulla Terra di una farfalla. Più o meno ogni giorno c’è un nuovo hashtag che esaurisce il suo potenziale argomentativo nel giro di poche ore, escluso qualche caso fortunato che riesca a sopravvivere alla fine della giornata. La storia della settantesima edizione del festival di Sanremo e del caso Amadeus sembra appartenere a questa seconda categoria di trending topic, che continuano ad alimentarsi aggiungendo sempre qualche tassello in più. Non è strano che la famosa kermesse susciti puntualmente uno spunto di riflessione anche piuttosto concitato, ma quello che sta succedendo a poche settimane dal suo inizio mi sembra interessante per un motivo che mi pare stia sfuggendo di vista quasi a tutti. Sembra infatti che chiunque si sia espresso contro la scelta del presentatore di non accontentarsi della classica doppietta di vallette, seguendo alla lettera le storiche parole di Lucio Battisti, sia come caduto all’improvviso nella realtà della nostra televisione, rendendosi conto solo adesso del fatto che è stracolma di donne che, per dirla con un’espressione in voga di recente, “stanno un passo indietro”, ma anche dimenticando che di figure femminili forti e per nulla secondarie ce ne sono parecchie. Tutto ciò ha generato una nube disordinata e rumorosa in stile rissa tra personaggi dei Looney Tunes, tra dichiarazioni pro-Amadeus, contro-festival, rinunce a partecipazioni e interessanti disamine sul ruolo delle ombrelline. Eppure, a mio avviso, non è così difficile fare chiarezza a riguardo e domandarsi molto semplicemente se, forse, il motivo per cui le dichiarazioni di Amedeo Umberto Rita Sebastiani risultino così polarizzanti è perché il problema è proprio l’oggetto della querelle, senza per forza appellarsi a patiboli e avvocati del diavolo.
Analizziamo la questione da un punto di vista più ampio: la figura della valletta, dell’accompagnatrice che ha come compito quello di essere un puro ornamento alla cornice televisiva, è sempre esistita, e fin qui non mi pare ci siano dubbi. La televisione, infatti, è un luogo composto prima di tutto da immagini – altrimenti staremmo parlando di radio – e Sanremo, con tutto il suo sfarzo annuale e la capacità di catalizzare sempre e comunque così tanta attenzione, è la quintessenza di questo agglomerato audiovisivo che, ci piaccia o meno, rappresenta un momento di coesione collettiva. La sua struttura, anche se può modificarsi nel regolamento o nella scenografia, rimane sempre pressoché identica, cambiando semmai da un punto di vista paradigmatico, dal momento che ogni direttore artistico, ogni presentatore o presentatrice e ogni cantante fa poi la differenza, decretando il successo o l’insuccesso dell’edizione. In questo enorme calderone di ospitate, polemiche, orchestre che lanciano i fogli, persone che minacciano il suicidio dalla piccionaia dell’Ariston e quant’altro, esiste una figura fondamentale, ed è quella della decorazione, ossia di due o più donne in vista in quel determinato periodo che si occuperanno di leggere i nomi dei concorrenti e di partecipare a qualche siparietto. La scelta di Amadeus di averne attorno non due ma addirittura dieci colpisce dritto al nervo scoperto del presente, ossia lo scontro tra passato e modernità che è in atto dal momento in cui la donna non svolge più ruoli prettamente subalterni e secondari a quelli maschili. Mettendo da parte le zappate che si è dato lui stesso sui piedi con le sue dichiarazioni successive, è proprio la formula che ha scelto per presentare che già da sola basta a renderlo bersaglio di critiche: siamo nel 2020, c’è davvero bisogno di costruire attorno a te un harem di donne “bellissime” – precisazione alquanto superflua, visto che è proprio nell’essere bella che consiste il ruolo di valletta – scambiandole ogni sera come se fossero degli accessori da alternare? Il quesito, pur polemico che sia, mi sembra sia legittimo che al passo con il dibattito di oggi, per nulla pretestuoso.
Nel 2010, la scrittrice Lorella Zanardo pubblicava un libro e un documentario dal titolo Il corpo delle donne, un’inchiesta interessante sul modo in cui il corpo femminile, quasi estraniato dalle persone a cui appartiene, veniva rappresentato e oggettificato in modo umiliante nella nostra televisione. In dieci anni la tv si è abbastanza ripulita da una serie di immagini in stile Flavia Vento sotto a un tavolo che viene carinamente spronata da Teo Mammuccari a fare il suo dovere, e di questo possiamo ringraziare la maggiore consapevolezza che si sta diffondendo a proposito di ciò che è divertente, ironico e colorito da ciò che è semplicemente volgare e offensivo. Eppure, ancora oggi ci sono molte trasmissioni che utilizzano le donne come puro e semplice orpello, ma non mi pare che qualcuno si sia mai indignato particolarmente se programmi storici come Striscia la notizia si servono ancora degli stacchetti da pseudo-night club con le veline che si appendono per lo studio o se quiz come L’Eredità facciano uso di quattro “professoresse” che accompagnano Flavio Insinna interpretando un ruolo da intellettuali quando invece appare ovvio che siano state scelte più per l’aspetto – e per il fatto di essere donne – che per le competenze.
Proprio di recente, è andato in onda il reboot di un vecchio programma del palinsesto anni Zero di Mediaset, ossia La Pupa e il Secchione, che è stato debitamente aggiornato con la dicitura “e viceversa” per indicare che nella versione moderna e attenta alle tematiche attuali non ci saranno solo i cliché della pupa ignorante e del secchione vergine campione di scacchi ma anche ragazze con occhiali spessi e bonaccioni con la terza media. Peccato però che di coppie “invertite”, in cui la donna colta e puntigliosa come solo le secchione sanno essere ogni tanto usa parole come “patriarcato”, ce ne siano solo due, sottolineando un altro punto della questione donne accessorio della tv. Tornando infatti alla grande tradizione sanremese, giusto nel 2016 Carlo Conti aveva optato per una versione “vallette e viceversa”, accompagnando alla sua conduzione la presenza evanescente di Gabriel Garko. L’attore infatti avrebbe dovuto incarnare il ribaltamento di uno stereotipo, giocando col ruolo di belloccio senza troppe pretese intellettuali, con il risultato di sottolineare ancora di più quanto ben radicata sia l’idea che quel ruolo spetti alle donne, proprio come con l’esperimento “velini” di Striscia. L’episodio Garko infatti, non può di certo fare da contraltare alla questione donne e tv, considerato che è un caso unico e verrà ricordato solo come un’eccezione che conferma la regola.
Ma non è sempre così scontato che chi si lancia in certe battaglie lo stia facendo per amor di causa e non per una semplice moda, cosa che alimenta ancora di più il cortocircuito del presente per cui un tema come questo diventa così centrale. Di recente infatti, un altro episodio televisivo ha sottolineato un aspetto spinoso di questo fermento sul tema femminile, ed è la storia dell’ex gieffino Salvo Veneziano che è stato squalificato dalla casa del GFVip per aver utilizzato delle frasi decisamente poco consone per parlare di un’altra concorrente. Tutto giusto, siamo d’accordo, una punizione simile era scontata, ma non è stato dato nemmeno l’1% di attenzione a quello che ha detto Adriana Volpe sulla questione contratti televisivi e maternità, e dunque sulla legittima parità in termini lavorativi che spetta tra uomini e donne, in qualsiasi campo. Siamo davanti a un altro paradosso: da un lato un presentatore che non si rende conto del peso delle sue scelte artistiche e delle reazioni che possono suscitare sul pubblico femminile, quasi come se sottolineare cose simili sia un dispetto nei suoi confronti; dall’altro una trasmissione in cui si sventola la bandiera del rispetto delle donne ma solo se si tratta di episodi che si prestano a farci stare incollati alla tv, tanto chi se ne frega delle cose serie come le discriminazioni sul mondo del lavoro.
Dunque è chiaro che stiamo camminando sul filo del rasoio e che precipitare da un lato o da un altro è molto facile e repentino, direi quasi inevitabile, ma è anche evidente che stiamo ridefinendo un linguaggio e un modo di pensare comune, non dobbiamo per forza trasformare qualsiasi polemica in un’arena piena di leoni e teste mozzate, sebbene si tratti di una prospettiva spesso molto allettante. Progresso non significa né censura né moralismo, così come libertà di costume e superficialità non sono incompatibili in termini positivi: in sostanza, non penso che dovremmo intervenire come una polizia del buoncostume abolendo qualsiasi forma di decorazione umana; così come non credo nemmeno che alzare le spalle o uscirsene con le solite esortazioni “Non vi va bene mai nulla” sia la strada giusta. Se ciò che è successo attorno a Sanremo, Amadeus, le dieci donne chiamate in questione e i rispettivi compagni dietro ai quali camminano ha suscitato così tanto dibattere, vorrà pure dire qualcosa, e forse quel qualcosa è semplicemente che i tempi sono cambiati e la donna ornamentale è obsoleta. Allo stesso tempo, la tv è anche immagine, l’immagine può essere anche solo bellezza fine a se stessa – un bel corpo, un bel viso, una bella voce da guardare e ascoltare o semplicemente contemplare – non necessariamente fornita di contenuti o ruoli fondamentali. Magari potremmo riscrivere questa estetica includendo non soltanto una collezione di giovani donne ma tirando in ballo anche bellissimi uomini, senza censurare o privarci di nulla – né facendolo sotto forma di macchietta in stile Garko – ma rendendo paritario a tutti gli effetti uno spettacolo di cui vogliamo godere tutti, a prescindere dal nostro genere e dalle nostre preferenze sessuali. La televisione italiana non manca di figure femminili importanti e di alto livello – anzi, forse al momento sono persino in maggioranza rispetto ai colleghi – così come non manca di uomini attraenti e affascinanti che possono anche parlare poco, che stiamo aspettando a rimescolare le carte e fare contenti tutti?