Come succede puntualmente ogni volta che un nuovo fenomeno virale adolescenziale prende piede a livello trasversale su più fasce d’età – di recente, il caso del corsivo parlato – le reazioni tra gli adulti sono di tre tipi: divertimento, indifferenza e indignazione. Sembra come se, tutto d’un tratto, ci fossimo scordati che gli slang giovanili siano sempre esistiti, che ogni epoca ha il suo, e in un Paese come l’Italia, in cui i regionalismi sono molto vivi e forti, la differenza tra un codice linguistico giovanile e un altro sia ancora più viva. In sostanza: gli adolescenti hanno sempre cercato un modo per non farsi capire e chi prende sul serio questi codici forse si è scordato della sua giovinezza.
Al contempo però, chi li delega a semplici fenomeni passeggeri non tiene in conto della centralità del linguaggio in una fase della vita in cui tutti vogliamo sentirci parte di qualcosa che sia inaccessibile per gli altri, specialmente gli adulti. Ed è innegabile che siano proprio i più giovani a creare sempre, a ogni generazione, elementi nuovi di cultura che rimangono, chi più e chi meno, come testimonianze del tempo che li ha formati. Non è un caso, infatti, che il primo disco di uno degli artisti più giovani e più di successo del momento, Davide Mattei, nato nel 2001, in arte Thasup – ora semplicemente Thasup – avesse come titolo 23 6451. Al suo debutto da solista, nell’autunno del 2019, dopo aver esordito da quattordicenne collaborando con artisti come Salmo e Nitro, Thasup era infatti la quintessenza di un’estetica e di un sentimento generazionale, ossia quello che sottolinea le caratteristiche culturali e di costume che accomunano i nati negli anni Zero. Il modo di scrivere con i numeri che simboleggiano lettere è tipico di internet – 23 6451 sarebbe infatti la trascrizione “in codice” delle parole “Le basi” – è infatti uno degli elementi più zoomer del suo primo disco, ma non è il solo. Un altro elemento fondamentale, oltre a quello della scrittura idiosincratica, è quello dell’identità.
La prima caratteristica di Thasup, infatti, è sempre stata quella di non apparire in prima persona ma di delegare la sua presenza a un avatar che ricorda un personaggio di una serie cult per la GenZ, Rick e Morty, ricalcando quella tecnica cara ad artisti come i Gorillaz che per anni hanno scelto dei cartoni animati al posto delle loro immagini in carne e ossa, anche per la musica dal vivo. Così come internet ci fornisce uno spazio comune per poter moltiplicare la nostra esistenza attraverso un alias di qualsiasi tipo, oltre il quale possiamo anche decidere di non rivelarci nella nostra identità reale, anche il progetto di Davide Mattei sfrutta questa dualità esistenziale con un personaggio che si esibisce, scrive, canta e promuove il disco al posto suo. Ciò riguarda però perlopiù l’inizio della sua attività, dall’esplosione del fenomeno al consolidamento non solo del suo nome ma anche del suo stile. Il secondo album, uscito nell’ottobre del 2022, dal titolo c@ra++ere s?ec!@le, ossia “Carattere speciale”, rimarca dunque a pieno quel percorso linguistico iniziato nel 2019, ma aggiorna il personaggio con un nuovo elemento scenico, la sua presenza fisica, seppur mascherata, e ne conferma la capacità di essere il nome più interessante della scena musicale italiana di oggi. Dopo essersi esibito in diverse occasioni sotto forma di ologramma, Thasup, che in questa nuova fase diventa Thasup e porta alla tridimensionalità il suo avatar in 2D, si è spinto anche a un live segreto per lanciare il disco in cui per la prima volta è Davide Mattei a salire sul palco.
Questa novità lascia intendere uno spostamento in termini di evoluzione non solo stilistica ma anche di pubblico: se al suo esordio Thasup era un artista indirizzato più verso la fascia giovanile e confinabile a un universo rap-trap, a distanza di tre anni possiamo assimilarlo a un genere molto più trasversale: la sua ultima opera ricorda per varietà e sperimentazione album come Jazzmatazz del rapper Guru, uscito nel 1993, o – per restare nell’ambito italiano – le produzioni di Dj Gruff e Fritz Da Cat. Il disco, infatti, segue un principio molto sfruttato dall’industria musicale contemporanea, ossia quello di includere diversi featuring al suo interno, mettendo in scena una grande jam session, una scelta oltre che funzionale anche affine a esperimenti di alto profilo per la scena rap italiana, come l’album del 1998 di Neffa, 107 elementi. Dietro questa tecnica di ibridazione, spesso utilizzata nella produzione contemporanea, c’è anche una ragione pratica, ossia che il pubblico odierno è sempre meno abituato all’ascolto di un intero album. Un modo per giustificare agli ascoltatori la produzione di venti tracce, all’interno delle quali si percepisce l’intenzione di Thasup di non limitarsi alle logiche di mercato, ma di sperimentare e fare un po’ come gli pare attraverso questa grande session musicale con tanti artisti diversi, è proprio quello di coinvolgere cantanti e rapper che provengono da ambienti anche molto distanti da quelli dell’artista principale e che allargano di molto i confini di fruizione del disco.
Pensiamo per esempio a un brano come “r()t()nda”, dove canta anche Tiziano Ferro. L’effetto di sentire una delle pop star più grandi degli ultimi vent’anni duettare con un giovanissimo artista, abbracciandone sia stile che contenuti – Ferro canta strofe come “No props ai fake bro” – è quello di creare un ponte tra due generazioni musicali. Lo slang che Thasup ha sempre usato per i suoi testi, resi anche incomprensibili non solo dai suoni che usa ma anche dal vocabolario poco accessibile a chi non ha la sua età – sempre tornando al discorso del linguaggio giovanile idiosincratico – viene utilizzato con disinvoltura da Tiziano Ferro, in una commistione inedita che difatti viene commentata con sorpresa dagli utenti, “Tiziano che canta in slang è la cosa più trap di sempre”.
Mara Sattei, Shiva, Tananai, Rkomi, Pinguini Tattici Nucleari, Lazza, Coez, Salmo, Rondodasosa, Sfera Ebbasta: in Carattere speciale compaiono più o meno tutti i nomi attualmente in vetta alle classifiche italiane. Ma al di là dei featuring più interessanti, c’è un elemento compositivo di questo album che non può passare inosservato, ovvero la presenza sia di una parte melodica dominante che di una parte strumentale con una forte presenza di chitarre. Fa parte anche questo di un trend contemporaneo che riporta in auge la musica rock dopo anni di dominio del rap nella scena mainstream – pensiamo al ritorno di band come i Blink 182, ai Måneskin e al featuring tra Fedez e Salmo – attraverso l’uso di suoni acustici che hanno un impatto molto meno campionato rispetto alle basi classiche del genere.
Oltre a ciò, la parte più interessante di questo album sono proprio le canzoni in cui Thasup è solo, brani in cui la melodia è centrale: sebbene i suoni delle parole si confondano tra loro in quello stile fluido tipico di questo artista, l’armonia tra basi e voci risulta molto più compatta e ricercata di tanti altri esperimenti recenti che dal 2016 circa a oggi hanno dominato le classifiche del pop. Sembra come se dopo diversi anni di puro nonsense trap, che volutamente abbandonava non solo la musicalità ma anche le forme di incastro metrico tipiche del rap in favore di un suono quasi infantile e stilizzato, con Thasup si imponga una rivalutazione melodica che risulta fruibile non solo a orecchie più in linea con il target del disco. C’è infatti un richiamo a tanti altri artisti degli scorsi decenni, dalle chitarre malinconiche in stile Radiohead al mix di elettrico e acustico in stile Alt-J, con giri di accordi semplici e scarni e bassi dritti o funky.
Non molto tempo fa, su internet, circolava un meme in cui due cartoni animati si passavano una canna, e la didascalia diceva “Passami lo sdrogo fra’ che tengo i demoni in capa – Squid Game”. Vedere questa immagine senza conoscerne il retroscena ti lascia con un totale senso di insensatezza: non vuol dire assolutamente nulla. In realtà, però, significa molte cose, una su tutte la traduzione in immagini e parole di un sentimento generazionale che per i nativi digitali ha molteplici significati, anche quello di non essere decodificabile per gli estranei. Il livello di lettura del linguaggio di internet è iper-stratificato e, per alcune generazioni, specialmente quelle più recenti, rappresenta un vero e proprio manifesto di sentimenti e usi condivisi che si porteranno avanti nel tempo. Thasup è un po’ come quel meme, difficile da comprendere nell’immediato se non si ha un’età che conferisce gli strumenti interpretativi, pregno di un’estetica internettiana – il colore viola, gli avatar, le scritte in codice – ma al contempo anche molto orizzontale e capace di individuare la grandezza dell’onda mainstream, con due dischi che riescono a coniugare sia la ricerca di un linguaggio musicale pop sia la sperimentazione di uno stile inedito.