“Tutte le ragazze avanti! All girls to the front! I’m not kidding. All girls to the front! All boys be cool, for once in your life. Go back. Back. Back”. Con queste parole Kathleen Hanna – leader del gruppo punk Bikini Kill, figura simbolo del femminismo anni Novanta all’inizio dei concerti della sua band invitava le giovani spettatrici a farsi coraggio e ad andare sotto il palco per partecipare più attivamente. La cantante in più occasioni ha tenuto a precisare che dietro la sua esortazione gridata con veemenza non c’era astio nei confronti del genere maschile ma solo una reazione di riappropriazione di uno spazio generalmente destinato agli uomini. L’idea di volere le ragazze in prima fila ai concerti era nata per contrastare in maniera simbolica una società che in diversi ambiti tendeva ad escluderle. Per Kathleen Hanna e gli altri componenti della band – Billy Karren (chitarra), Kathi Wilcox (basso) e Tobi Vail (batteria) – le esibizioni dal vivo diventarono lo strumento privilegiato per portare avanti vere e proprie battaglie politiche. In alcuni testi delle loro canzoni venivano affrontati temi come la violenza domestica, lo stupro, i disturbi alimentari, gli abusi sul lavoro; e in altri venivano celebrati la libertà sessuale, l’importanza dell’amicizia tra donne (di cui parla il celebre brano “Rebel Girl”) e l’empowerment femminile. La scelta di fare esplicitamente riferimento ad argomenti legati alla violenza sulle donne era un modo per spingere le vittime a parlarne, a denunciare e ad aprirsi senza vergogna; talvolta durante i concerti veniva anche fatto passare il microfono tra il pubblico per dare la possibilità a chi voleva di raccontare la propria storia.
Le Bikini Kill sono state il gruppo simbolo del movimento punk femminista Riot Grrrl, nato agli inizi degli anni Novanta nello stato di Washington e che raccolse al suo interno diverse band, composte esclusivamente o prevalentemente da donne, animate dal desiderio di lottare per la parità di diritti, di opporsi al sessismo e di affermarsi in un genere musicale che fin dai suoi esordi era stato dominato da figure maschili. Il nome del movimento, che unisce il termine “Riot”, ovvero sommossa, con il neologismo “Grrrl” (usato al posto della parola “girl” perché il suono poteva far pensare a un ringhio), fu scelto per sottolineare la rabbia delle giovani attiviste nella quale confluivano il desiderio di far sentire la propria voce e la necessità di proporre un’immagine femminile forte. Il merito del movimento statunitense non è stato solamente quello di rendere le donne protagoniste in un contesto in cui avevano un ruolo secondario, ma anche di aver contribuito a determinare un nuovo sviluppo dell’attivismo politico e delle battaglie femministe. Attraverso i testi delle canzoni, gli slogan e le eccentriche performance dal vivo, le attiviste Riot Grrrl portarono avanti il sogno di quella che venti anni prima Shulamith Firestone, aveva definito una rivoluzione femminista.
Ma la forza rivoluzionaria di questo movimento non può essere interamente compresa se non si considerano due aspetti fondamentali tra loro connessi: da un lato la forte influenza che esercitarono su di esso le femministe americane degli anni Sessanta e Settanta, dall’altro il fatto che la sua nascita ha coinciso con una fase della storia del femminismo nota come “terza ondata”.
Riprendendo le tesi di Betty Friedan esposte nel best-seller del 1963 La mistica della femminilità, le Riot Grrrl hanno sostenuto l’urgenza di mettere in discussione l’immagine della donna come angelo del focolare domestico. Nel suo saggio Friedan si era concentrata sul sentimento di frustrazione e infelicità delle donne americane che avevano rinunciato a realizzarsi per occuparsi della famiglia. La mistica della femminilità era per lei un’immagine ideale che veniva costantemente proposta dai media tradizionali, secondo la quale una donna poteva sentirsi pienamente realizzata solo con il matrimonio e la maternità. L’inchiesta scoperchiò un vaso di pandora su un sentimento che le casalinghe americane, appartenenti alla classe media, prima di allora non avevano avuto il coraggio di esprimere; un ulteriore aspetto messo in luce nel libro fu che in alcuni casi la rinuncia alle proprie aspirazioni coincise con l’uso di tranquillanti o l’abuso di alcool.
Le Grrrl, pur riconoscendo i risultati raggiunti nella seconda ondata e desiderando svilupparli ulteriormente, ne criticarono alcune posizioni sostenendo che la strada per il raggiungimento della parità tra i sessi fosse ancora lunga e che ci fosse la necessità di perseguire nuovi obiettivi. A distinguere la terza ondata femminista dalle precedenti fu innanzitutto la necessità di affrontare tematiche nuove e di attualizzare i discorsi sulla femminilità e sul corpo. Al centro delle rivendicazioni delle donne oltre alla denuncia della cultura maschilista, c’era il diritto di vestirsi secondo il proprio gusto senza lasciarsi condizionare dal giudizio esterno e di esprimere liberamente la propria sessualità. Le femministe degli anni Novanta hanno posto l’accento e rivalutato il concetto di bellezza, affermando che la cura dell’estetica può essere considerata come un modo per esprimere se stesse e non esclusivamente come una dimostrazione di sottomissione della donna al volere dell’uomo.
Il movimento Riot Grrrl ha contribuito a determinare una nuova fase del femminismo non solo per avere proposto nuove forme di attivismo e aver parlato in maniera esplicita di tematiche fin ad allora ignorate, ma anche per aver promosso l’autodeterminazione della donna attraverso la musica punk. Tali aspetti mostrano che sebbene da un punto di vista politico le Riot Grrrl abbiano avuto un ruolo innovativo, per quanto riguarda la musica abbiano abbracciato un genere del passato. Il movimento punk – nato negli anni Settanta negli Stati Uniti e poi sviluppatosi in Inghilterra grazie a gruppi come The Clash, Sex Pistols, Buzzcocks, The Jam, The Stranglers, The Damned – cambiò radicalmente la storia della musica rock. Gli artisti puntarono su un suono sporco e grezzo, si presentarono con look stravaganti e creste, scrissero canzoni provocatorie o fortemente politicizzate, furono promotori dell’etica del DIY (sigla abbreviata di Do It Yourself), crearono etichette discografiche indipendenti e usarono come mezzo privilegiato per diffondere notizie ed idee legate al mondo punk delle riviste autoprodotte, ovvero delle fanzine. All’interno della scena punk di fine anni Settanta le band composte da ragazze ebbero pochissimo spazio e non vennero mai prese sul serio; gli autori del magazine punk Sniffin’ Glue scrissero un messaggio chiaro: “Punks are not Girls”. La decisione di creare un movimento punk femminista e di formare delle band nacque proprio dalla necessità di far sentire la propria voce all’interno di un mondo che aveva escluso le ragazze e ignorato la loro voce. Le Grrrl scelsero un genere musicale di rottura e dichiaratamente contro il sistema partendo dalla convinzione che questo fosse il modo migliore per esprimere tutta la loro rabbia e il desiderio di un cambiamento.
La storia delle band punk rock femministe degli anni Novanta ha avuto origine dalla rabbia e da un sentimento di frustrazione nei confronti di una società e di una scena musicale che vedeva le donne come il sesso debole (un’idea che le Riot Grrrl hanno descritto nel loro manifesto: Ragazza=Idiota, Ragazza=Cattiva, Ragazza=Debole). La rabbia come espressione di un dolore profondo – non più necessariamente dovuta alla cultura sessista – è stata il sentimento che ha accomunato una serie di cantanti rock e leader di gruppi donne nell’era del grunge. L’eredità delle Bikini Kill, che hanno preso strade separate nel 1997, è stata solo in parte raccolta dai gruppi rock al femminile contemporanei o immediatamente successivi. Band come le Sleater-Kinney, le L7, le Babes in Toyland e le Hole per via dei loro testi, meno politicizzati, o per il tipo di ricerca musicale, hanno mostrato un lato diverso del rock femminile anni Novanta. La loro musica, pur restando permeata da un sentimento di rivalsa, non più animata da un sentimento giustizia o il desiderio di aiutare altre donne è diventata semplice espressione di una sensibilità personale.
Il sentimento d’indignazione e il desiderio di cambiamento in alcuni casi si sono trasformati in una tendenza autodistruttiva, con una prevalenza di pessimismo e di sfiducia verso il futuro. Dopo gli anni Duemila le battaglie femministe e la prevalenza di star femminili sul palcoscenico hanno caratterizzato e influenzato la musica pop, mentre da questo punto di vista il rock non ha saputo mantenere quella tensione che aveva contribuito a creare nei due decenni precedenti. Attualmente la scena rock femminile vive delle leggenda di quei gruppi e di quelle cantautrici che hanno raggiunto il successo in quel periodo, aspettiamo con fiducia l’arrivo della prossima ondata.