Che senso ha organizzare Miss Italia nel 2019? - THE VISION

Quando Trump cominciò la sua campagna elettorale, l’opinione pubblica liberal americana si trovò a dover affrontare per la prima volta un problema di cui si erano occupate praticamente solo le femministe: è giusto seguire i concorsi di bellezza? Gli americani ne sono ossessionati: i 3000 pageant che si tengono ogni anno negli Stati Uniti alimentano un mercato da 5 miliardi di dollari, con oltre 250mila partecipanti che si contendono corone e scettri luccicanti. All’epoca, The Donald era ancora proprietario di Miss USA, il concorso più famoso del Paese assieme al concorrente Miss America, ma quando scese in politica mostrando idee estremamente retrograde e sessiste, una buona parte degli appassionati spettatori cominciò a domandarsi se fosse giusto continuare a guardare Miss USA e quindi, indirettamente, sostenere il futuro presidente. In Italia, il concorso più prestigioso è Miss Italia, quest’anno giunto alla sua 80esima edizione, ma ormai agonizzante negli ascolti. Dopo sei anni su La7, la diretta della finale tornerà sulla Rai 1 sovranista, che oltre a Dio, patria e famiglia, non disdegna nemmeno delle ventenni scosciate. Anche senza Donald Trump a influenzare la nostra percezione, è giunta l’ora di chiederselo anche qui: nel 2019 ha ancora senso Miss Italia?

Un tempo Miss Italia era un’opportunità per scoprire e lanciare nuove star nel firmamento italiano: Gina Lollobrigida e Sophia Loren, ad esempio, parteciparono rispettivamente alle edizioni del 1947 e del 1950 e, anche se nessuna delle due vinse il primo posto, entrambe diventarono attrici. E così Stefania Sandrelli, Lucia Bosè e Silvana Mangano. Anche in tempi più recenti molti volti del mondo dello spettacolo sono passati dalla competizione, anche se hanno avuto più fortuna in televisione che sul grande schermo, come Anna Valle, Cristina Chiabotto, Martina Colombari e Simona Ventura. L’ultima vincitrice che si è fatta notare è stata Miriam Leone, reginetta nel 2008 e oggi attrice molto apprezzata, ma è da tempo che la magia e il prestigio di Miss Italia sembrano essersi esauriti. Ormai le edizioni si ricordano più che altro per le gaffe delle concorrenti, come quando nel 2015 la vincitrice Alice Sabatini alla domanda: “In che epoca storica ti sarebbe piaciuto vivere?”, rispose: “Nel 1942, al tempo della guerra. Tanto io sono donna e sarei stata a casa”. La finale del 2018, in onda su La7, ha raggiunto solo il 4,9% di share, con un tonfo del 2% durante la semifinale.

Il punto è che i concorsi di bellezza sono una cosa superata e sessista, che non interessa più a nessuno. Sono nati in un’epoca in cui l’unico ruolo delle donne era quello di essere dei soprammobili da ammirare, e oggi questo metro di giudizio non ha più motivo di esistere. Chi ha ancora voglia, nel 2019, di assistere allo spettacolo di un conduttore di mezza età che si destreggia in mezzo a una cinquantina di sorridenti adolescenti in costume con un numero appiccicato addosso, facendo loro domande banali e ricevendo risposte ancora più banali? E cosa resta poi, se non qualche meme, qualche clip di figuracce da riguardare su YouTube e una bella ragazza che nella migliore delle ipotesi diventerà l’ennesima influencer che vende tisane detox su Instagram? E la cosa peggiore è che per riscattarsi negli ultimi anni Miss Italia ha tentato un rebranding maldestro all’insegna della body positivity, per cercare di convincerci che in questo concorso mica si guarda davvero la bellezza, perché la bellezza vera è quella dentro. Così ora abbiamo reginette curvy, con disabilità, madri (che fino al 1994 non potevano partecipare), di origini non italiane, bullizzate da bambine per il loro aspetto. Quest’anno poi, le aspiranti reginette hanno inscenato un flash mob “contro la mercificazione” e “a sostegno della libertà”, esponendo slogan come “La bellezza non è una colpa” e “Tutte le donne sono Miss Italia”. Ma a vincere è ovviamente la solita bellezza canonica, magra e rigorosamente bianca, e quando vinse la prima miss non caucasica, Denny Mendez, si sentivano i fischi provenire dal pubblico.

Da tempo negli Stati Uniti i vari pageant hanno scelto una strada ancora più ambiziosa, ovvero quella di rivendersi come prodotti femministi: dopo che l’Huffington Post ha pubblicato alcune mail in cui gli organizzatori di Miss America insultavano le concorrenti facendo commenti sul loro peso, il concorso ha deciso di abolire la sfilata in costume e ha escluso gli uomini dalla giuria, affidandola a ex reginette, scatenando l’ira e l’indignazione di chi si occupa di fare le gallery su Il Giornale. La nuova brand image di questi concorsi è ormai tutta orientata all’empowerment: alle classiche domande sulla pace nel mondo, adesso si aggiungono domande sul femminismo o sulle discriminazioni di genere, e si parla dei concorsi di bellezza come delle occasioni per far vedere talenti, intelligenza e interessi e per lanciare messaggi positivi alle bambine che ci seguono da casa. E poi c’è sempre qualche miss che ha alle spalle qualche storia tragica pronta a commuoversi in diretta, nell’ennesima spettacolarizzazione del dolore. E così la bellezza diventa l’elefante nella stanza di George Lakoff: si fa finta che non esista o non sia rilevante, quando in realtà è l’unica cosa che conta per vincere.

Il problema è che gli organizzatori possono provare a indorare la pillola con il pinkwashing più sofisticato (cosa che in Italia si fa, tra l’altro, in modo poco convincente), ma i concorsi di bellezza sono quello che sono: concorsi di bellezza, in cui non importa se leggi Bataille per diletto, studi Relazioni internazionali o fai volontariato in Uganda. Conta solo quanto sei alta, proporzionata e “convenzionalmente” bella. Le ragazze che partecipano a Miss Italia si sottopongono a un tritacarne di giudizi che vaglia i loro corpi secondo standard radicati e immutabili, mentre si espongono ai commenti del pubblico che, dal salotto di casa, le critica con ferocia come se fossero merce esposta al mercato . E come se non bastasse, per dimostrare che oltre le gambe c’è di più, alle reginette vengono chieste pure le tabelline, le date delle grandi battaglie e le ultime letture. È una triste messinscena dell’oggettificazione del corpo femminile, che illude giovani donne motivate che quella possa essere effettivamente  l’occasione e soprattutto il modo per “farsi notare”, che per realizzare il loro sogno di lavorare nel mondo dello spettacolo non c’è altro modo che dire quanto fa 4 per 8 in bikini di fronte ad Andrea Scanzi – e in effetti in Italia sembra essere così.

Nel 1968, Carol Hanisch (autrice del famoso slogan femminista “Il personale è politico”) guidò la celebre protesta del Women’s Liberation Movement contro Miss America ad Atlantic City, dove si tiene ancora oggi la finale del concorso. La protesta diventò famosa per qualcosa che in realtà non accadde: il New York Post infatti riportò che le femministe avevano bruciato i propri reggiseni in piazza, quando invece si erano limitate a buttare in alcuni bidoni quelli che consideravano i simboli dell’oppressione femminile: scarpe col tacco, trucchi, riviste di moda e, appunto, reggiseni. I media parlarono delle proteste inorriditi, insistendo sul fatto che un manipolo di donne esaltate, arrabbiate e non depilate avesse dato fuoco alla biancheria intima perché odiava le reginette di bellezza. “Uno dei nostri errori più grandi,” scriverà Hanisch qualche mese dopo la protesta, “è stato opporci ad altre donne. Miss America e tutte le belle donne sembravano le nostre nemiche anziché le nostre sorelle che soffrono con noi”.

Ancora oggi il problema di Miss America, Miss Italia o di qualsiasi altro concorso di bellezza non è chi vi partecipa, ma l’idea di donna che queste manifestazioni portano ipocritamente avanti. Qualcuno dirà che alla fine, nel cinema e nell’intrattenimento italiano, è solo la bellezza che conta e non il talento: forse è vero, ma finché si continuerà a perpetrare questa idea anche attraverso concorsi come Miss Italia non cambierà niente. Non ci si può più nascondere dietro le scuse del “fenomeno di costume” o della “manifestazione storica”: l’unica cosa bella che nel 2019 ci resta dei concorsi di bellezza è il video di Sandra Marchegiano, che è contenta pe’ fa’ ‘sta sfilata. Noi donne, invece, saremmo più contente se l’avventura di Miss Italia finisse qui.

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