La geniale critica alla mediocrità nel sottotesto delle battute di Maccio Capatonda - THE VISION

Non so dire quale sia il primo vero contenuto virale di riferimento per la generazione Z, ma sono sicura che, per tutti quelli che come me fanno parte dei millennial, ci sia un punto di svolta nei primi anni del Duemila. Quando YouTube è sbarcato in Italia, tra il 2005 e il 2006, una nuova frontiera si stava aprendo davanti ai nostri occhi; da quel momento in poi, la chat di MSN Messenger sarebbe stata solo un lontano ricordo e l’onda d’urto di Facebook avrebbe spazzato via anche l’almeno all’apparenza intramontabile MySpace. In quel decennio di grandi cambiamenti, film scaricati illegalmente, musica da ascoltare su prestigiosi lettori mp3 da due giga e altri dispositivi che oggi sembrano appartenere al Medioevo, una serie di video mandati in onda in un primo momento sul grande contenitore comico di Italia Uno, Mai Dire…, successivamente caricati su YouTube in tempi in cui il copyright e il web camminavano su due strade parallele che non si erano ancora incontrate, hanno fatto la storia di internet senza saperlo. Erano i trailer di Maccio Capatonda: un insieme di parodie girate alla buona, senza nessun particolare mezzo produttivo – cosa che li rendeva ancora più divertenti –, che si sarebbero trasformati di lì a breve in ciò che, per certi versi, forse potremmo definire tra i primi veri meme italiani.

Ridurre a meme il personaggio Maccio Capatonda, pseudonimo di Marcello Macchia – comico abruzzese che ha creato questo alter ego ormai conosciuto dal grande pubblico – e di tutti gli altri attori al seguito di questo collettivo che negli anni ha perso e aggiunto pezzi, sarebbe ingiusto. Maccio Capatonda ha creato una serie di tormentoni che, proprio agli albori della cultura digitale iper-condivisa su strato nazionale, hanno determinato i primi veri momenti di condivisione che andassero oltre la diffusione televisiva, un fenomeno che a quindici anni di distanza ha quasi ribaltato il rapporto tra vecchi e nuovi media, dando vita una nuova gerarchia del contenuto. I suoi sketch, che ben si prestavano a quel grande laboratorio umoristico che erano i vari Mai dire… pilotati dalla presenza metafisica della Gialappa’s, hanno infatti tutti gli elementi di una comicità che non si limita più solo all’audiovisivo, ma che diventa potenzialmente cornice di significato per altre infinite riproduzioni: pensiamo per esempio alla famosa gag degli spot Piccol, in cui venivano parodizzati i volantini delle offerte dei discount in stile Lidl. La sequenza di finti prodotti da supermercato, tutti improntati su giochi di parole brillanti e al contempo demenziali – “frutti di Mario”, “a sedicenti Euro” – erano una perfetta sintesi del contenuto comico di internet, una scusa per spingere il pubblico a generarne di propri, utilizzando lo stesso stile e lo stesso principio umoristico di Maccio.

Italiano Medio (2015)

Tanto è forte l’impronta che lascia lo stile del comico negli anni successivi che, per esempio, in un programma che con Maccio Capatonda non ha niente a che fare come Live non è la D’Urso, sembra che ci sia il suo intervento, quando è invece la trasmissione a caricare l’enfasi dei suoi trailer quasi come se fossero uno sketch del comico abruzzese. Il trailer parodia, infatti, è forse la cifra stilistica più riconoscibile di Maccio Capatonda, il vero bollino di fabbrica su cui si sono poi diramate tutte le altre performance successive, ed è anche il nucleo della sua satira, se così possiamo definirla, condensata in un principio di scimmiottamento di tutti quegli elementi ridicoli del mondo che si prende sul serio, specialmente quello del cinema e della televisione. In questa parodia, il linguaggio, così come capita spesso nella comicità surreale che sfocia nel demenziale, è la base di tutto; ed è interessante che sia l’elemento che più è rimasto intatto delle sue opere iniziali, tanto che, per chi conosce la sua comicità, non è difficile trovarsi a dire di qualcosa “Sembra un trailer di Maccio Capatonda”. La Febbra, Mobbasta Veramente Però, Hogiammangiato, Fernet 9/11, il regista “Evìto Di Dirlo”, “Bruno Liegi Bastoliegi”, Bip Bip Ballerina, Billy Ballo, Anna Pannocchia e soprattutto l’incredibile trailer di Natale al cesso, prima iconica parodia di tutto il cinema vanziniano, una boccata d’aria per chi ormai quasi vent’anni fa subiva l’egemonia umoristica dei vari Natale a… . Ciascun trailer della saga di Maccio Capatonda è caratterizzato da una battuta, un personaggio, un nome che il pubblico ricorda, ognuno ha il suo preferito, tutti lo abbiamo citato almeno una volta.

La Febbra
Il montatore gelosone
L’uomo che usciva la gente
Bip Bip Ballerina

Il punto dolente della parodia però, a qualsiasi livello, è sempre la sua ambiguità e il rischio di essere fraintesa, un rischio che si può evitare ma non eliminare mai del tutto. I fratelli Vanzina, per esempio, hanno detto spesso che il problema non erano i loro personaggi gretti, orrendi, spietati e volgari, maschere dell’umanità anni Ottanta, ma chi non capiva che quella rappresentazione era una grottesca imitazione e non un elogio; un appunto sensato, se non fosse che raramente nella loro cinematografia troviamo quella pars destruens necessaria al capovolgimento del senso, elemento dissonante che nelle commedie all’italiana degli anni Sessanta, per esempio, era sempre molto forte e chiaro. Si è detta poi la stessa cosa in tempi molto recenti, con la sua partecipazione a Sanremo, riguardo a Checco Zalone, che già nel nome d’arte sceglie un gioco di parole che alluda alla bassezza etica ed estetica del suo alter-ego – “cozzalone” in barese vuol dire proprio tamarro. Scegliere di rappresentare umoristicamente il brutto e il basso della società vuol dire avere a che fare con una linea molto sottile tra l’accondiscendenza e la denuncia, e non tutti i comici, anche i più esperti e affermati come Luca Medici, ci riescono sempre alla perfezione, indugiando in una critica velata che rimane in superficie senza particolare analisi del fenomeno. Ed è un tema su cui si interroga anche l’alter-ego di Marcello Macchia, in alcuni casi anche esplicitamente come in un recente spot del vino Tavernello, dove il protagonista si chiede se in tutti questi anni le sue parodie e i suoi personaggi, da Padre Maronno a Mariottide e la sua tristezza a palate, fossero stati presi sul serio: quanto è facile e automatico per il pubblico individuare il doppio piano di lettura della satira di costume?

Mariottide
Maccio Capatonda nello spot del vino Tavernello

Nel caso di Maccio Capatonda, la risposta a questa domanda trovo che sia abbastanza scontata. Per credere che il suo famoso Italiano medio sia quello originario del trailer che del film omonimo del 2015 – sia una rappresentazione celebrativa della parte più bieca e vuota della nostra coscienza collettiva ci vuole molto sforzo di immaginazione. Piuttosto, il senso della comicità di Maccio Capatonda e del suo seguito di personaggi si trova in bilico tra un esercizio di nonsense e uno di caricatura, come se il suo tocco abbassasse a un livello mostruoso tutto ciò che ci circonda, in una sorta di macciocapatondizzazione della realtà. L’Italiano medio, figura mitologica che muta da generazione a generazione ma mantiene l’approccio alla vita fatto di orgogliosa ignoranza, non è così un’immagine unica e circoscritta (solo quella della famosa gag “Scopare!”), ma un insieme di impressioni e parodie che provengono un po’ da tutto e da tutti noi. Una multisfaccettatura comica che si perde semmai nella lunghezza di un film, forma di rappresentazione che snatura il senso dello sketch e della brevità bozzettistica di un personaggio come Maccio Capatonda. Ragion per cui, come è successo spesso anche con altri tentativi degli ultimi anni di trasposizione dal piccolo al grande schermo – The Jackall e The Pills, per esempio – la resa dalla forma frammentata al lungometraggio è sempre un po’ deludente.

Italiano Medio (2015)

Di certo Maccio Capatonda non ha cambiato il mondo con i suoi sketch demenziali e i suoi giochi di parole, né penso sia mai stato l’intento del suo inventore creare un tipo di comicità che fosse paragonabile alla satira raffinata e pungente in stile Corrado Guzzanti o al cinismo cinematograficamente perfetto di Paolo Villaggio. Piuttosto, Marcello Macchia si inserisce in un segmento di umorismo che riesce a stare in equilibrio tra il mondo di internet e quello della televisione, creando anche un ponte tra questi due media, un’operazione che ha anticipato in tempi non sospetti, quando YouTube era ancora solo un sito americano dove si potevano vedere video e non un vero e proprio competitor della televisione. In questo senso, potremmo definire Maccio Capatonda un’avanguardia, una sorta di Forrest Gump all’italiana, uno scemo del villaggio che, nella sua idiozia generale, ha idee geniali, come quella di creare un mondo parallelo in cui pubblicità, programmi tv, serie televisive, reality, trailer e tutto ciò di cui ci nutriamo ogni giorno con i nostri occhi e le nostre orecchie possano trovare la loro declinazione più stupida e divertente, senza assolvere nessuno.

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